Il taccuino pubblicato a cura di Annamaria Andreoli
consta di circa 100 pagine manoscritte databili al periodo compreso tra
il 1912 e il 1917 e contiene scritture di carattere composito: abbozzi
narrativi e teatrali, pagine di ‘Journal intime’, e un ampio elenco di
modi di dire, formule gergali, battute di dialogo, similitudini ardite,
compilato come serbatoio cui attingere per la stesura di opere di vario
genere letterario (molte delle formule qui registrate si ritrovano
utilizzate nella sterminata produzione pirandelliana). Tra gli abbozzi
di novelle si incontra un embrionale studio intorno a Moscarda, poi
protagonista di ‘Uno, nessuno, centomila’, e tra quelli teatrali ‘A
Giarra’ che anticipa i ‘Sei personaggi in cerca d’autore’.
Descrizione
Il
laboratorio pirandelliano è stato soggetto ad una vera e propria
distruzione. Ad abbozzi e scartafacci, a prove di stesura o a tappe
elaborative tocca in sorte, il più delle volte, il cestino dei rifiuti. E
mentre l’altro sempre mutevole corregge e ricorregge quanto ha già dato
alle stampe, i materiali dell’officina, in funzione anche a ritmo
prodigioso, svaniscono nel nulla. A meno che non si tratti di certi
germi dai quali Pirandello sa far nascere i soggetti delle opere.
Sequestrato dalla propria arte, il solerte scrittore fa leva su alcuni
inossidabili attrezzi che lo soccorrono immancabilmente. Sono i
taccuini, quadernetti tascabili, questi sì conservati con cura gelosa.
Le miriadi di frammenti che tesaurizzano riflettono autore e personaggi
in un puzzle da ricomporre secondo infiniti disegni possibili. Riemerso
solo ora, grazie ad un meritorio salvataggio, il Taccuino segreto
rappresenta il più rilevante lavoro di recupero del singolare
laboratorio dello scrittore. Come lavorava Pirandello? Allo spinoso
interrogativo è oggi possibile rispondere al di là delle congetture.
Il Taccuino segreto, che dalla maturità giunge fino alle soglie della morte, accoglie dunque i canovacci che il recluso frustrato recita a tutti i costi, sia che si tratti di temporeggiare con il racconto sia che infine il teatro gli spalanchi quelle porte che per anni gli ha sbattuto sulle dita.
Libresche o carpite sul campo, una ridda di battute in cerca d’autore giacciono qui in un’attesa sempre coronata: non c’è pagina, non c’è lacerto o verso che dal Taccuino non travasi in questa o quell’opera.
Qui non abbiamo né un diario né uno zibaldone, ma l’altro diario e l’altro zibaldone del Pirandello che non sa parlare di sé se non attraverso la propria opera.
Il Taccuino segreto, che dalla maturità giunge fino alle soglie della morte, accoglie dunque i canovacci che il recluso frustrato recita a tutti i costi, sia che si tratti di temporeggiare con il racconto sia che infine il teatro gli spalanchi quelle porte che per anni gli ha sbattuto sulle dita.
Libresche o carpite sul campo, una ridda di battute in cerca d’autore giacciono qui in un’attesa sempre coronata: non c’è pagina, non c’è lacerto o verso che dal Taccuino non travasi in questa o quell’opera.
Qui non abbiamo né un diario né uno zibaldone, ma l’altro diario e l’altro zibaldone del Pirandello che non sa parlare di sé se non attraverso la propria opera.
Prefazione
di Annamaria Andreoli
Tutto
faceva grumo alla rapida e urgente creatività di Pirandello:
l’inchiostro, la carta, l’espressione stessa … Appartenendo alla specie
di chi abdica alla vita per votarsi alla letteratura (è il suo assioma
di sempre: «la vita o si vive o si scrive »), il narratore o il
drammaturgo divengono lo strumento del messaggio imperioso che non sanno
tacitare. Così, la pagina di Pirandello equivale a una seconda pelle
che si rinnova via via; e ciò che è stato – che è stato scritto –
appartiene ormai a un altro, a un diverso, a un estraneo,
la cui mano, per giunta, viene spesso forzata da petulanti Personaggi.
Ossessivamente molesti, esigono da lui la vera vita: quella letteraria.
Non
sorprende, allora, la distruzione del laboratorio pirandelliano. Ad
abbozzi e scartafacci, a prove di stesura o a tappe elaborative tocca in
sorte, il più delle volte, il cestino dei rifiuti. E mentre l’altro
sempre mutevole corregge e ricorregge quanto ha già dato alle stampe, i
materiali dell’officina, in funzione anche a ritmo prodigioso,
svaniscono nel nulla.
A meno che non si tratti di
certi germi dai quali Pirandello sa far nascere i soggetti delle opere.
Sequestrato (come Flaubert, come Proust…) dalla propria arte, il solerte
scrittore fa leva su alcuni inossidabili attrezzi che lo soccorrono
immancabilmente. E sono i taccuini, quadernettitascabili,
questi sì conservati con cura gelosa. Le miriadi di frammenti che
tesaurizzano – specchio in frantumi – riflettono Autore e Personaggi in
un puzzle da ricomporre secondo infiniti disegni possibili.
Riemerso solo ora, grazie a un meritorio salvataggio, il Taccuino segreto
che si propone alla lettura rappresenta il più rilevante recupero del
singolare laboratorio dello scrittore. Come lavorava Pirandello? Allo
spinoso interrogativo è oggi possibile rispondere al di là delle
congetture. Ecco le interminabili liste gergali, vergate con minuta
grafia, che fanno intanto luce su una proterva vocazione teatrale.
Costretto alla narrativa, poiché le scene sono conquista ardua e lenta,
Pirandello insiste comunque sul copione da recitare: solo che quando si tratta di novella o di romanzo l’attore e il narratore coincidono.
Il Taccuino segreto,
che dalla maturità giunge fino alla vigilia della morte, accoglie
dunque i canovacci che il recluso frustrato recita a tutti i costi, sia
che si tratti di temporeggiare con il racconto, sia che infine il teatro
gli spalanchi quelle porte che per anni e anni gli ha sbattuto sulle
dita.
Libresche o carpite sul campo, una ridda di
battute in cerca d’autore giacciono qui in un’attesa sempre coronata:
non c’è pagina, non c’è lacerto o verso (persino la Musa si fa udire)
che dal Taccuino segreto non travasi in questa o quell’opera.
Se
esiste un piacere del testo, esiste anche un piacere investigativo del
testo che si va formando, con in più il frutto sicuro della nuova
comprensione offerta dalla possibilità, cattivante quanto indiscreta, di
entrare nel vivo dei meccanismi misteriosi dai quali scaturisce il
capolavoro. Perché non abbiamo qui né un «diario» né uno «zibaldone», ma
l’altro diario e l’altro zibaldone del Pirandello che non sa parlare di sé se non attraverso la propria opera.
Annamaria Andreoli
Da https://www.pirandelloweb.com/biblioteca/luigi-pirandello-taccuino-segreto/
La
fabbrica di Pirandello
“O
filosofi, abbiate tutti un cane!” Perché, chi vi dice che il cane, come il
bruto, non abbia ambizioni? “Dio è soltanto nell’uomo. La filosofia s’impiccia
dei soli uomini, come se nel mondo non ci fossero anche le bestie, le piante,
le pietre. E come se in cielo non ci fossero le stelle!”. A seguire è l’ipotesi
inversa, di quello che “si regolava come le bestie, egli era volpe”, e allora,
“è imputabile la volpe delle sue azioni?”. Per una verità subito sancita:
“L’unità è nella relazione degli elementi tra loro. Variando la relazione varia
l’unità”. E subito dismessa: “Noi siamo quello di cui ci accorgiamo”.
Si è subito, alle prime righe, in
Pirandello. Ma non in pensieri sparsi dell’adolescenza - o allora di un
Pirandello eterno adolescente. Né in un diario, o uno zibaldone: il taccuino è
un attrezzo di lavoro. Questo è, in edizione critica, il terzo e ultimo
taccuino “segreto” ritrovato. Di un lascito andato colpevolmente disperso,
biblioteca e “scartafacci”.
Un taccuino di un centinaio di
pagine manoscritte, 105 qui a stampa. Rintracciato negli 1980 e comprato dai
Beni Culturali. Di cui Annamaria Andreoli cura l’edizione critica. Con una
documentazione in facsimile, la trascrizione per esteso, doppiato da una nota
critica della curatrice. Una paziente diffusa ricerca degli echi del taccuino
nell’opera di Pirandello, articoli, saggi, racconti, teatro. Rivedendo anche le
edizioni “critiche” dei due altri taccuini scovati e pubblicati in precedenza,
il “Taccuino di Bonn” e quello “di Coazze”.
“Parole in cerca d’autore” le disse Lucio
D’Ambra. Un “estesissimo prontuario linguistico”, dii di gerghi e costrutti, e
un repertorio occasionale di immagini, considerazioni e battute di dialogo,
degli anni 1912-1917, lo trova la curatrice di questa edizione critica,
Annamaria Andreoli. Ripreso da Pirandello variamente in scritti editi:
articoli, saggi, racconti, teatro. In “Uno, nessuno, centomila” in particolare.
Ma anche in “Si gira…” e - la farsa dialettale “A giarra” (da cui pescherà a
piene mani l’argot agrigentino di
Camilleri) - in “Sei personaggi”. Di I cui la curatirce trova infiniti
riferimenti, e forse tutti.
Una ricerca puntigliosa, quella di
Annamaria Andreoli, che testimonia di un Pirandello scrittore senza
requie e senza soste – “la vita o si vive o si scrive”. Nonché glottologo
acuminato e instancabile, che recupera costrutti di Dino Compagni, o di Edoardo
Giacomo Boner, germanista messinese coetaneo, morto nel terremoto del 1908.
Pirandello scrive. Scrive sempre, e molto rielabora, anche quando l’ha
stampato, e molto butta via. Più che un’edizione critica, questo “Taccuino
segreto” è testimone di una sorta di morbo della scrittura.
Un taccuino di poco
posteriore al “Taccuino segreto”, che Annamaria Andreoli aveva appena
pubblicato. Questo parte del fondo Pirandello alla biblioteca di Harvard, che
lo aveva rilevato da un libraio antiquario di New York – il lascito di
Pirandello è stato disperse dagli eredi. Fausto, Stefano, Lietta e i loro
figli.
Una
cornucopia di spunti: di poesia, teatro, racconti, romanzi, riflessioni.
Ordinata e rifinita. Da “cacciatore di
parole” (A. Andreoli) soprattutto. Modi di dire. Di cui le curatrici ritrovano
“un utilizzo piuttosto metodico e sistematico” nell’opera.
La
redazione datano in quattro periodi: il primo foglio attorno al 1887, seguito
da un blocco databile attorno al 1897-98, poi la sezione principale, dal
reperto 4 al 7, negli anni 1898 e 1901-2, infine un segmento finale di tre
pagine, non databile, ma anteriore al 1916.
Segue un lavoro minuzioso di tracciamento delle annotazioni nei
racconti, i romanzi e i drammi. Per un centinaio di pagine piene di fittissime.
Con un inedito utile collegamento di Pirandello a Pascoli - una storiella non
da buttare.
Pascoli
aiuta Pirandello a pubblicare, benché debuttante sconosciuto, fresco germanista
degli studi a Bonn, la sua traduzione delle “Elegie romane” di Goethe. Ma si
vede dal giovane sconosciuto deprezzata, sotto pseudonimo, la quarta edizione
di “Myricae”. Mentre con Gnoli, che ha
stroncato il libro di versi da lui subito proposto dopo l’avallo di Pascoli alle sue
“Elegie romane”, la raccolta “Mal giocondo”, Pirandello progetterà di rilevare
dieci anni dopo la “Nuova Antologia”. Investendoci i soldi, notano le
curatrici, della dote non ancora ricevuta della moglie Antonietta Portolano,
attesa fin dal giorno delle nozze – di Pirandello si sa tutto, scriveva di
tutto ai familiari e agli amici, di ogni minimo evento quotidiano.
Un’edizione
critica, sebbene in economica, che è un racconto del racconto. Uno dei tanti
“cartolari, scartafacci”, nella terminologia pirandelliana. Per afferrare, si
dice, “le idee del tempo - idee circolanti – quasi aria d’idee, aria per
l’anima, aria che l’anima respira e di cui si nutre”. Con liste di autori
soprattutto interessati alla verbalità, di verbalità inventiva. Ombretta Frau e
Cristina Gragnani decifrano il taccuino, riga per riga con annotazione
esplicative e riferimenti esegetici, che fanno riemergere il taccuino
nell’opera, con un lavoro costante di utilizzo e riutilizzo – come se
Pirandello non scrivesse sull’ispirazione del momento ma componesse le sue
ricerche. Una ricostituzione delle fonti per la gioia dei filologi, come
pescatrici di perle.
Luigi Pirandello, Taccuino di
Harvard, Oscar, pp. CLVIII + 161
Da http://www.antiit.com/2019/
Nessun commento:
Posta un commento