01 giugno 2019

I TACCUINI DI PIRANDELLO






Il taccuino pubblicato a cura di Annamaria Andreoli consta di circa 100 pagine manoscritte databili al periodo compreso tra il 1912 e il 1917 e contiene scritture di carattere composito: abbozzi narrativi e teatrali, pagine di ‘Journal intime’, e un ampio elenco di modi di dire, formule gergali, battute di dialogo, similitudini ardite, compilato come serbatoio cui attingere per la stesura di opere di vario genere letterario (molte delle formule qui registrate si ritrovano utilizzate nella sterminata produzione pirandelliana). Tra gli abbozzi di novelle si incontra un embrionale studio intorno a Moscarda, poi protagonista di ‘Uno, nessuno, centomila’, e tra quelli teatrali ‘A Giarra’ che anticipa i ‘Sei personaggi in cerca d’autore’.

Descrizione


Pirandello, manoscrittoIl laboratorio pirandelliano è stato soggetto ad una vera e propria distruzione. Ad abbozzi e scartafacci, a prove di stesura o a tappe elaborative tocca in sorte, il più delle volte, il cestino dei rifiuti. E mentre l’altro sempre mutevole corregge e ricorregge quanto ha già dato alle stampe, i materiali dell’officina, in funzione anche a ritmo prodigioso, svaniscono nel nulla. A meno che non si tratti di certi germi dai quali Pirandello sa far nascere i soggetti delle opere. Sequestrato dalla propria arte, il solerte scrittore fa leva su alcuni inossidabili attrezzi che lo soccorrono immancabilmente. Sono i taccuini, quadernetti tascabili, questi sì conservati con cura gelosa. Le miriadi di frammenti che tesaurizzano riflettono autore e personaggi in un puzzle da ricomporre secondo infiniti disegni possibili. Riemerso solo ora, grazie ad un meritorio salvataggio, il Taccuino segreto rappresenta il più rilevante lavoro di recupero del singolare laboratorio dello scrittore. Come lavorava Pirandello? Allo spinoso interrogativo è oggi possibile rispondere al di là delle congetture.
Il Taccuino segreto, che dalla maturità giunge fino alle soglie della morte, accoglie dunque i canovacci che il recluso frustrato recita a tutti i costi, sia che si tratti di temporeggiare con il racconto sia che infine il teatro gli spalanchi quelle porte che per anni gli ha sbattuto sulle dita.
Libresche o carpite sul campo, una ridda di battute in cerca d’autore giacciono qui in un’attesa sempre coronata: non c’è pagina, non c’è lacerto o verso che dal Taccuino non travasi in questa o quell’opera.
Qui non abbiamo né un diario né uno zibaldone, ma l’altro diario e l’altro zibaldone del Pirandello che non sa parlare di sé se non attraverso la propria opera.

Prefazione

di Annamaria Andreoli
Tutto faceva grumo alla rapida e urgente creatività di Pirandello: l’inchiostro, la carta, l’espressione stessa … Appartenendo alla specie di chi abdica alla vita per votarsi alla letteratura (è il suo assioma di sempre: «la vita o si vive o si scrive »), il narratore o il drammaturgo divengono lo strumento del messaggio imperioso che non sanno tacitare. Così, la pagina di Pirandello equivale a una seconda pelle che si rinnova via via; e ciò che è stato – che è stato scritto – appartiene ormai a un altro, a un diverso, a un estraneo, la cui mano, per giunta, viene spesso forzata da petulanti Personaggi. Ossessivamente molesti, esigono da lui la vera vita: quella letteraria.
Non sorprende, allora, la distruzione del laboratorio pirandelliano. Ad abbozzi e scartafacci, a prove di stesura o a tappe elaborative tocca in sorte, il più delle volte, il cestino dei rifiuti. E mentre l’altro sempre mutevole corregge e ricorregge quanto ha già dato alle stampe, i materiali dell’officina, in funzione anche a ritmo prodigioso, svaniscono nel nulla.
A meno che non si tratti di certi germi dai quali Pirandello sa far nascere i soggetti delle opere. Sequestrato (come Flaubert, come Proust…) dalla propria arte, il solerte scrittore fa leva su alcuni inossidabili attrezzi che lo soccorrono immancabilmente. E sono i taccuini, quadernettitascabili, questi sì conservati con cura gelosa. Le miriadi di frammenti che tesaurizzano – specchio in frantumi – riflettono Autore e Personaggi in un puzzle da ricomporre secondo infiniti disegni possibili.
Riemerso solo ora, grazie a un meritorio salvataggio, il Taccuino segreto che si propone alla lettura rappresenta il più rilevante recupero del singolare laboratorio dello scrittore. Come lavorava Pirandello? Allo spinoso interrogativo è oggi possibile rispondere al di là delle congetture. Ecco le interminabili liste gergali, vergate con minuta grafia, che fanno intanto luce su una proterva vocazione teatrale. Costretto alla narrativa, poiché le scene sono conquista ardua e lenta, Pirandello insiste comunque sul copione da recitare: solo che quando si tratta di novella o di romanzo l’attore e il narratore coincidono.
Il Taccuino segreto, che dalla maturità giunge fino alla vigilia della morte, accoglie dunque i canovacci che il recluso frustrato recita a tutti i costi, sia che si tratti di temporeggiare con il racconto, sia che infine il teatro gli spalanchi quelle porte che per anni e anni gli ha sbattuto sulle dita.
Libresche o carpite sul campo, una ridda di battute in cerca d’autore giacciono qui in un’attesa sempre coronata: non c’è pagina, non c’è lacerto o verso (persino la Musa si fa udire) che dal Taccuino segreto non travasi in questa o quell’opera.
Se esiste un piacere del testo, esiste anche un piacere investigativo del testo che si va formando, con in più il frutto sicuro della nuova comprensione offerta dalla possibilità, cattivante quanto indiscreta, di entrare nel vivo dei meccanismi misteriosi dai quali scaturisce il capolavoro. Perché non abbiamo qui né un «diario» né uno «zibaldone», ma l’altro diario e l’altro zibaldone del Pirandello che non sa parlare di sé se non attraverso la propria opera.
Annamaria Andreoli

Da   https://www.pirandelloweb.com/biblioteca/luigi-pirandello-taccuino-segreto/



La fabbrica di Pirandello

“O filosofi, abbiate tutti un cane!” Perché, chi vi dice che il cane, come il bruto, non abbia ambizioni? “Dio è soltanto nell’uomo. La filosofia s’impiccia dei soli uomini, come se nel mondo non ci fossero anche le bestie, le piante, le pietre. E come se in cielo non ci fossero le stelle!”. A seguire è l’ipotesi inversa, di quello che “si regolava come le bestie, egli era volpe”, e allora, “è imputabile la volpe delle sue azioni?”. Per una verità subito sancita: “L’unità è nella relazione degli elementi tra loro. Variando la relazione varia l’unità”. E subito dismessa: “Noi siamo quello di cui ci accorgiamo”.
Si è subito, alle prime righe, in Pirandello. Ma non in pensieri sparsi dell’adolescenza - o allora di un Pirandello eterno adolescente. Né in un diario, o uno zibaldone: il taccuino è un attrezzo di lavoro. Questo è, in edizione critica, il terzo e ultimo taccuino “segreto” ritrovato. Di un lascito andato colpevolmente disperso, biblioteca e “scartafacci”.
Un taccuino di un centinaio di pagine manoscritte, 105 qui a stampa. Rintracciato negli 1980 e comprato dai Beni Culturali. Di cui Annamaria Andreoli cura l’edizione critica. Con una documentazione in facsimile, la trascrizione per esteso, doppiato da una nota critica della curatrice. Una paziente diffusa ricerca degli echi del taccuino nell’opera di Pirandello, articoli, saggi, racconti, teatro. Rivedendo anche le edizioni “critiche” dei due altri taccuini scovati e pubblicati in precedenza, il “Taccuino di Bonn” e quello “di Coazze”.
 “Parole in cerca d’autore” le disse Lucio D’Ambra. Un “estesissimo prontuario linguistico”, dii di gerghi e costrutti, e un repertorio occasionale di immagini, considerazioni e battute di dialogo, degli anni 1912-1917, lo trova la curatrice di questa edizione critica, Annamaria Andreoli. Ripreso da Pirandello variamente in scritti editi: articoli, saggi, racconti, teatro. In “Uno, nessuno, centomila” in particolare. Ma anche in “Si gira…” e - la farsa dialettale “A giarra” (da cui pescherà a piene mani l’argot agrigentino di Camilleri) - in “Sei personaggi”. Di I cui la curatirce trova infiniti riferimenti, e forse tutti.
Una ricerca puntigliosa, quella di Annamaria Andreoli, che testimonia di un Pirandello scrittore senza requie e senza soste – “la vita o si vive o si scrive”. Nonché glottologo acuminato e instancabile, che recupera costrutti di Dino Compagni, o di Edoardo Giacomo Boner, germanista messinese coetaneo, morto nel terremoto del 1908. Pirandello scrive. Scrive sempre, e molto rielabora, anche quando l’ha stampato, e molto butta via. Più che un’edizione critica, questo “Taccuino segreto” è testimone di una sorta di morbo della scrittura.







Un taccuino di poco posteriore al “Taccuino segreto”, che Annamaria Andreoli aveva appena pubblicato. Questo parte del fondo Pirandello alla biblioteca di Harvard, che lo aveva rilevato da un libraio antiquario di New York – il lascito di Pirandello è stato disperse dagli eredi. Fausto, Stefano, Lietta e i loro figli.
Una cornucopia di spunti: di poesia, teatro, racconti, romanzi, riflessioni. Ordinata e rifinita.  Da “cacciatore di parole” (A. Andreoli) soprattutto. Modi di dire. Di cui le curatrici ritrovano “un utilizzo piuttosto metodico e sistematico” nell’opera.
La redazione datano in quattro periodi: il primo foglio attorno al 1887, seguito da un blocco databile attorno al 1897-98, poi la sezione principale, dal reperto 4 al 7, negli anni 1898 e 1901-2, infine un segmento finale di tre pagine, non databile, ma anteriore al 1916.  Segue un lavoro minuzioso di tracciamento delle annotazioni nei racconti, i romanzi e i drammi. Per un centinaio di pagine piene di fittissime. Con un inedito utile collegamento di Pirandello a Pascoli - una storiella non da buttare.
Pascoli aiuta Pirandello a pubblicare, benché debuttante sconosciuto, fresco germanista degli studi a Bonn, la sua traduzione delle “Elegie romane” di Goethe. Ma si vede dal giovane sconosciuto deprezzata, sotto pseudonimo, la quarta edizione di “Myricae”.  Mentre con Gnoli, che ha stroncato il libro di versi da lui subito proposto dopo l’avallo di Pascoli alle sue “Elegie romane”, la raccolta “Mal giocondo”, Pirandello progetterà di rilevare dieci anni dopo la “Nuova Antologia”. Investendoci i soldi, notano le curatrici, della dote non ancora ricevuta della moglie Antonietta Portolano, attesa fin dal giorno delle nozze – di Pirandello si sa tutto, scriveva di tutto ai familiari e agli amici, di ogni minimo evento quotidiano.
Un’edizione critica, sebbene in economica, che è un racconto del racconto. Uno dei tanti “cartolari, scartafacci”, nella terminologia pirandelliana. Per afferrare, si dice, “le idee del tempo - idee circolanti – quasi aria d’idee, aria per l’anima, aria che l’anima respira e di cui si nutre”. Con liste di autori soprattutto interessati alla verbalità, di verbalità inventiva. Ombretta Frau e Cristina Gragnani decifrano il taccuino, riga per riga con annotazione esplicative e riferimenti esegetici, che fanno riemergere il taccuino nell’opera, con un lavoro costante di utilizzo e riutilizzo – come se Pirandello non scrivesse sull’ispirazione del momento ma componesse le sue ricerche. Una ricostituzione delle fonti per la gioia dei filologi, come pescatrici di perle.

Luigi Pirandello, Taccuino di Harvard, Oscar, pp. CLVIII + 161



Da http://www.antiit.com/2019/

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