05 marzo 2024

LA NATURA COME COMPAGNA E MAESTRA DI VITA

 


LA NATURA COME MAESTRA E COMPAGNA DI VITA: UN MONDO DI MERAVIGLIE DI AIMEE NEZHUKUMATATHIL

di Mara Famularo

Nel 1978 gli artisti inglesi Brian Froud e Alan Lee pubblicarono Fate, un libro illustrato in cui presentavano con dovizia di particolari le creature magiche della tradizione irlandese. Nelle pagine ritraevano le varie tipologie di elfi e folletti e il loro habitat naturale, accompagnando le immagini con le storie di chi, incontrando le fate, aveva trovato la propria fortuna o sventura. A colpire, oltre alle bellissime illustrazioni a colori, è il tono della narrazione, che non è quello di un libro di fiabe ma piuttosto di un diario di esploratori del XIX secolo, attenti a registrare nel modo più asciutto e obiettivo possibile quello che vedono e ascoltano, quasi a voler restituire a chi legge quella percezione animista del mondo da cui sono nate le leggende del folklore.

Eppure l’idea di una natura senziente e sensibile, che per gli esseri umani è un’interlocutrice tanto imprevedibile quanto imprescindibile, non è un racconto d’invenzione ma una realtà che tutti possono sperimentare ogni giorno. Ce ne parla Aimee Nezhukumatathil, poetessa e saggista americana, nel suo volume Un mondo di meraviglie.

Nata a Chicago, Nezhukumatathil è di origini filippine per parte di madre e indiane per parte di padre. Questo bagaglio familiare meticcio, legato a culture più antiche e vicine alla natura di quella statunitense, e i frequenti traslochi che nel corso della sua infanzia e adolescenza l’hanno di volta in volta sradicata da città e amicizie, hanno fatto sì che l’autrice sviluppasse un’attenzione particolare al paesaggio che la circondava e un dialogo diretto con le piante e gli animali che ne facevano parte.

Il risultato di questa attitudine è Un mondo di meraviglie, una sorta di antologia composta di testi brevi in cui Nezhukumatathil giustappone le caratteristiche proprie di piante e animali al significato simbolico che questi hanno assunto in alcuni episodi della sua vita.

Segno di questa compresenza di realtà oggettiva e verità soggettiva è la scelta di intitolare ogni capitolo con il nome comune delle varie specie, subito seguito dal nome scientifico. Le illustrazioni, a colori e in bianco e nero realizzate da Fumi Mini Nakamura, rafforzano l’impressione di sfogliare una sorta di reinterpretazione personale del modello di bestiari ed erbari medievali. Così, per esempio, l’imponente e fiorito albero di catalpa, che apre la sua chioma fiorita sotto il sole inclemente, pronto a dare sollievo a chi vorrà fermarsi sotto la sua ombra, si sovrappone all’immagine della madre dell’autrice, tenace e resistente anche di fronte agli insulti razzisti e sessisti assorbiti nel corso della sua carriera di dottoressa (donna e dai tratti somatici orientali) in un’America decisamente poco accogliente. Mentre al pavone, animale vistoso per eccellenza e simbolo nazionale dell’India, è associato il ricordo di un gesto di ribellione con cui l’autrice, all’epoca bambina, riuscì a prendersi un’amara e sonora rivincita su un’insegnante di scarse vedute.

Nezhukumatathil indaga nel suo vissuto per rintracciare sentimenti e stati d’animo comuni a tutti. Nei suoi aneddoti personali individua il filo narrativo utile a rendere visibile quelle corrispondenze tra l’istinto naturale di piante e animali e le paure e i desideri delle persone. Si tratta di corrispondenze arbitrarie perché nascono da una suggestione soggettiva, eppure capaci di evocare verità universali, secondo un processo che appartiene di diritto alla poesia lirica. È proprio in queste intuizioni tanto libere quanto fulminanti, più che nelle fioriture della scrittura e nella sovrabbondanza di aggettivi volti a ingentilire ogni descrizione, che si può apprezzare il background di poetessa dell’autrice, laddove alla sua esperienza di insegnante di scrittura creativa si deve il tono aperto e franco del racconto, l’incoraggiamento costante a trovare le proprie personali consonanze con la natura e a riconoscere la bellezza che esiste tutt’intorno. «La meraviglia è così: serve un po’ di pazienza, e serve trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Ci chiede di essere abbastanza curiosi da rinunciare alle piccole distrazioni per scoprire il mondo», scrive l’autrice.

Un mondo di meraviglie è un invito ad allenare uno sguardo diverso, una testimonianza per molti versi naïve che però porta con sé una certa saggezza sempreverde. La natura è lo specchio dell’essere umano, non un suo mero riflesso. Nel momento in cui riconosciamo che le piante e gli animali ci somigliano, riconosciamo anche che siamo fatti della loro stessa sostanza. Se osservando una lucciola, un fiore cadavere o addirittura un monsone riusciamo a capire come reagire in determinati contesti ed elaborare le nostre emozioni, dobbiamo anche ammettere che come esseri umani siamo parte di un tutto, abbandonare qualsiasi preconcetto di gerarchia e dominanza di specie. Questa è una strada per recuperare la meraviglia e, ancor prima, per conservare un pianeta da poter guardare con meraviglia.

 

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