Ho
frequentato molto, sia da lettrice, sia da insegnante, Elsa Morante; ma
la Morante onirica e visionaria, che ho idealmente messo in rapporto con Anna
Maria Ortese. Perciò ho sempre messo da parte La storia di Elsa,
che avevo letto, giovanissima, al momento della sua pubblicazione: lettura che
mi aveva commossa, ma non particolarmente colpita. Ho riletto recentemente
questo famosissimo romanzo e ho riconfermato la mia predilezione per altri
testi di questa scrittrice. La rilettura mi ha ricordato anche le polemiche
ideologiche, politiche - poco letterarie -, tipiche degli anni settanta, che
hanno accompagnato il successo di pubblico del romanzo. E alcuni giudizi, forse
eccessivi, hanno comunque fatto sorgere in me il rimpianto per un periodo in
cui si chiedeva alla letteratura un contributo alla condivisione di una
prospettiva, non solo politica, civile e umana (a volte in modo un po'
velleitario, con un pizzico di dogmatismo). Ma il giudizio che condivido
pienamente è quello – letterario, nel senso più profondo - di Pier Paolo
Pasolini. Questi rimprovera alla sua grande amica un'eccessiva indulgenza a
quello che definisce "manierismo", con cui si compiace di descrivere
il mondo infantile e animale e una certa prolissità nella descrizione della
folla di diseredati durante l'occupazione tedesca. Il rimprovero di Pier Paolo
è dunque rivolto al tradimento, da parte di Elsa, della sua vena più autentica,
la dimensione mitica, che permane nella prima, e più riuscita, parte del
romanzo. E in effetti mi sembra che la prolissa narrazione della Roma occupata
lasci in ombra la parte conclusiva del romanzo, molto significativa, sia sul
piano ideologico, che su quello letterario. Non si devono infatti sottovalutare
le pagine non narrative in cui Elsa traccia in modo lucidissimo una denuncia
dei limiti delle due prospettive politiche del secondo dopoguerra e accenna a
un'analisi antropologica che collima con quella degli Scritti corsari di
Pasolini. Il romanzo è quindi il mezzo con cui la vitalità di Elsa, disperata
come quella di Pier Paolo, gestisce la consapevolezza che vivere nella sua -e
nostra - contemporaneità significa fare i conti con la falsa coscienza del
mondo "civile".
Cosa
scriveva in quegli anni Pier Paolo? Insieme alle tante sue note manifestazioni
di disperata vitalità, si misurava con una prova letteraria per lui nuova,
difficile e complessa, la stesura di Petrolio: con soluzioni
stilistiche estreme gestisce la consapevolezza del marcio terribile dell'Italia
democratica, senza fare sconti a nessuno, fondendo critica sociale e un
senso di angosciosa solitudine esistenziale. E' questo il suo modo di gestire l’immersione
in una realtà torbida, senza via d'uscita: creando una dimensione mortuaria che
si avvicina a quella, commovente, dell'ultima parte de La storia.
Ecco, quasi
senza accorgermene, ho riconciliato due amici che, per troppo amore di
sincerità e coerenza, disperatamente vitali, si erano allontanati nell'ultima
parte della loro vita.
ELISA
LANZILAO
Straordinaria la capacità di sintesi di Elisa: in mezza cartella è riuscita a toccare, insieme a tante cose, alcuni dei nodi più problematici dell'opera di due tra i maggiori autori italiani del 900.
RispondiEliminaPer confermare e rafforzare la grande amicizia che ha legato i due autori, voglio ricordare i magnifici versi che nel febbraio del 1976 Elsa Morante dedicò all'amico assassinato il 2 novembre del 1975. I versi di Elsa s'intitolano "IN NESSUN POSTO" e possono essere letti nel sito del CENTRO STUDI PASOLINIANO DI CASARSA.
RispondiEliminaIl testo della Morante lo potete trovare anche sul mio diario Facebook odierno
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