Era il processo che prometteva di rivelare in Andreotti l’architrave delle mafie, e dei misteri d’Italia, e invece finì “come e perché Andreotti è stato assolto”. Jannuzzi, cronista implacabile malgrado l’età e la nuova carriera, era senatore, si sorbettò le udienze del lungo processo. Fin da subito mostrando però la debolezza dell’accusa. Il Procuratore Capo di Palermo Caselli e i suoi collaboratori fecero un processo politico senza curarsi di trovare un appiglio di prova, anche un solo testimone non falso (ne produssero cinque o sei di falsi, andavano processati loro).
Le corrispondenze di Jannuzzi erano in realtà la denuncia del tentativo giudiziario, di cui cui Caselli era solo la punta di un iceberg sommerso molto vasto, specialmente a Milano, di sovvertire la politica. Riuscendoci ma senza vincere – anzi perdendo: hanno portato al governo la destra, per la prima volta in Italia, e ininterrottamente, anche se alcuni governi si sono fatti poi con maggioranze alternative. Di Andreotti non si sono in realtà curati.
Era anche facile legare Andreotti alla mafia. Ma loro volevano processare la storia. Processavamo Andreotti perché era stato il leader politico più influente e duraturo al potere, per ben sette goverrni, di destra, di sinistra, di centro. Senza coglierne l’essenziale.
Andreotti è stato potente da subito, dal 1947, sottosegretario alla presidenza del consiglio di De Gasperi per sette anni, da quando ne aveva 27 ed era uno conosciuto, se non non in Vaticano. Ma era un leader politico molto minoritario, di una corrente del 2-5 per cento. Divenne leader nazionale nel 1974, sfidando Moro con spregiudicatezza e asprezza, con una forte campagna di stampa. Al punto che Moro dovette cooptarlo quale capo del governo monocolore che creò nel 1976 con il voto Pci – e per due governi successivi, sempre col Pci. Andreotti governò la fermezza, quando Moro prigioniero implorava di essere salvato. E al voto del 1979 portò il Pci alla prima sconfitta elettorale in trent’anni, del 4 per cento.
Un freddo. L’Andreotti del 5 per ceto aveva qualche seguito a Roma, in Ciociaria, e in Sicilia. Qui portato da Salvo Lima, un ex fanfaniano. Che, come l’altro grande ex fanfaniano, Ciancimino, governava accordandosi con le mafie – barcamenandosi. Andreotti sapeva? Poteva non sapere, ma questo non discolpa - non è nemmeno un’attenuante. Caselli e la turba di sostituti che per trent’anni poi s’illustreranno con sceneggiati variamente immaginari – semrpre meglio che lavorare – hanno riscritto, dicevano, la storia d’Italia, senza curarsi di fare un vero processo, in Tribunale – Di Pietro, uno che la giustizia politica ha saputo utilizzarla con grandi vantaggi, li prenderà per i fondelli in un’intervista qualche anno fa sull’“Espresso”
Lino Jannuzzi, Il processo del secolo, Mondadori, pp. 277 € 4,90
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