Nelle
classiche pagine di Ernesto De Martino sul lamento funebre (Morte e pianto
rituale), la morte individuale e le morti collettive si intrecciano
nell’affrontare il tema del ‘rischio di non esserci nella storia umana’, della ‘destorificazione’
di chi resta senza riuscire ad affrontare e superare la morte col
trascendimento nel valore. Il rischio di perdersi con colui che non c’è più,
apre all’esigenza etica di farlo morire dentro di noi e di portarlo nel futuro
come valore che supera la morte.
Vi è un forte nesso tra il ricordare i nostri
morti e portarli con noi nel futuro, e il vivere il dramma quotidiano dei
massacri delle guerre che ci circondano. Sono ferite aperte, forse non
risarcibili, che si iscrivono nella storia umana. Questo nesso porterà De
Martino allo studio delle apocalissi culturali e al libro postumo La
fine del mondo.
Vi è dentro
di noi una oscillazione tra la morte vicina delle persone care e la morte
lontana e sempre più tragica di donne, uomini, bambini sconosciuti che
rappresentano la violazione di ogni ordinamento universalistico, di ogni
speranza storica costruita nel Novecento.
I morti
insepolti che tornano a inquietare i sonni dell’Occidente che, in questo gioco
di morte, ha perso ogni apparenza di superiorità e di umanità inquietano anche
i miei sonni.
Dobbiamo ‘continuare a pensare’ i
nostri morti e “trascenderli nel valore” scriveva De Martino in
dialogo con Benedetto Croce. A questo proposito mi piace ricordare una frase
bellissima che A. M. Cirese scrisse per ricordare Italo Signorini, collega
romano morto in giovane età: «la morte lacera e stronca. Agli studi cui egli
si affidò noi ci affidiamo per riallacciare il filo».
"La
fine del mondo" di Ernesto De Martino va ormai annoverato tra i classici
del pensiero europeo contemporaneo. La presente edizione offre numerosi
elementi di sostanziale novità rispetto a quella pubblicata da Einaudi nel
1977, e consente ai lettori di gettare nuova luce sul capolavoro del grande
studioso. Il lavoro collegiale di valutazione critica dei materiali preparatori
dell'ampio saggio rimasto incompiuto si è proposto di far emergere in tutta la
sua portata un pensiero complesso, situato al punto d'incrocio tra
antropologia, filosofia e storia, in cui convergono stimoli intellettuali di
varia provenienza, rielaborati dall'autore in modo del tutto personale. A tale
scopo i tre curatori hanno deciso sia d'inserire nel testo una selezione degli
scritti filosofici piú rappresentativi, non presenti nell'edizione italiana,
sia di porre in risalto i nessi strutturali tra le varie sezioni in cui si
articola il progetto dell'opera: ciò ha comportato la revisione dell'intera
architettura del volume, nel rispetto delle intenzioni dell'autore. Alla base
dell'indagine sulle diverse declinazioni storiche del tema della «fine del
mondo» vi è il bisogno di fare luce sul presente della civiltà occidentale,
attraversata da una crisi che sembra corroderne le fondamenta dall'interno,
avviandola verso un assai probabile declino. De Martino s'interroga sulle
motivazioni profonde di questo complesso fenomeno, volgendo lo sguardo alla
psicopatologia, alla filosofia, all'arte e alla letteratura. Lo studioso
affronta una serie di nodi cruciali, che vanno dal senso di «spaesamento»
dell'uomo d'oggi allo sfaldamento della memoria storica, in cui sono
sedimentate le scelte culturali che contraddistinguono una determinata civiltà.
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