08 gennaio 2016

ANDIAMO A VEDERE IL CINEMA POESIA



Un mondo tutto al femminile in un fluttuare di ricordi, rancori, delusioni e forti rimpianti. Dopo Le ricette della signora Toku un altro bel film giapponese in programmazione nelle sale italiane.
Cristina Piccino
I fantasmi silenziosi del Giappone nel diario intimo di quattro sorelle

Sovrastato dalle commedie annuali e dall’urto di Star Wars è da ieri in sala Little Sister di Hirokazu Kore-eda, giapponese, tra i più importanti registi contemporanei, anche se forse il nome dice poco al pubblico italiano visto che i suoi film non hanno circolato troppo spesso sul nostro mercato così ristretto nonostante siano presentati nei principali festival internazionali (compresa la Mostra del cinema di Venezia). Non perdetelo perché è davvero un bel film nonostante le inevitabili penalizzazioni del doppiaggio (più forti e fastidiose in film come questo), di quelli che regalano momenti di intensa emozione, leggerezza, e felicità.
Ispirato a un manga «familiare» di Akimi Yoshida, Little sister segue la vita quotidiana di quattro ragazze, quattro sorelle che vivono un una vecchia casa di legno nel bosco di Kamakura, a sud di Tokyo. Cosa racconta la semplicità apparente di quel presente, in bilico su equilibri rischiosissimi come quello di ciascuna esistenza? Piccoli drammi o episodi lontani, l’incognita del futuro, sentieri impalpabili lungo i quali si avventurano i personaggi che il suo sguardo segue con pudore e dolcezza.
Ci sono tre sorelle, la maggiore ha cresciuto le due più piccole quando la madre le ha abbandonate, appena adolescenti, nella vecchia casa di famiglia, dopo che il padre era andato via con un’altra donna. Al funerale dell’uomo le tre ragazze conoscono la sorellina, una ragazzina di tredici anni, Suzu, che la maggiore, Sachi, decide di portare con loro riconoscendo in lei la sua stessa dolorosa sofferenza alla sua età, quel sentirsi responsabili per tutto e per tutti che, come le dice l’uomo con cui ha una relazione, le ha tolto il piacere dell’infanzia. Ma la presenza di Suzu cambierà anche i rapporti tra le sorelle portandole dolcemente a riflettere su sè stesse e sulle scelte reciproche.
Siamo in un mondo declinato interamente al femminile, le sorelle, la anziana pro zia, la madre delle tre ragazze, la piccola Suzu, che condividono il fantasma paterno, quella figura per le tre maggiori fantasmatica, per Suzu invece concreta intorno alla quale continuano a fluttuare ricordi, rancori, delusioni, rimpianti. La memoria soffusa e delicata dell’infanzia, anche nel dolore, per una delle ragazze è l’odore della nonna, per un’altra i kimoni dell’estate, per Suzu le giornate col padre a pesca, per la sorella maggiore l’ostinazione a mantenere le tradizioni, come il liquore di prugna, e per quella appena più giovane, e molto fashion, lo smalto per le unghie che la madre le ha regalato quando aveva solo sei anni.

Il Diario narra lo scorrere di queste giornate, il rito sospeso del tempo quotidiano in cui nulla sembra accadere, i passaggi dell’esistenza, gli incontri e gli addii, le lente scoperte di sé, la crescita dei desideri, la necessità di lasciarsi alle spalle l’infanzia mondo dell’infanzia …
Oltre i bordi delle immagini balena, il Giappone in crisi delle piccole imprese oppresse dai debiti e dalle banche, di un’irrequietezza giovane, di sogni lasciati a metà. Non è facile mantenere teso questo filo dell’emozione, e renderlo immagine.
Kore-eda guarda al cinema classico del Sol levante, alle sfumature emozionali impalpabili di Ozu, anzi Little sister è forse il più vicino per sensibilità alle storie del regista di Viaggio a Tokyo, e non solo per i fiori di pesco che danzano spinti dal vento o per la delicatezza con cui costruisce la sua messinscena. Il movimento delle esistenze tra conflitti, silenzi, ferite anche involontarie, sorrisi, umorismo che disegna questa geometria narrativa c parlano di una ricerca del proprio posto al mondo in cui ognuno porta in sé le tracce di qualcun altro: le sorelle e la sorellina, il paesaggio, la memoria e i cambiamenti intimi del presente, quel passaggio tra le generazioni che procede per salti (la nonna più della madre), che può essere paura, follia, rimpianto ma anche una consapevolezza determinata che si palesa all’improvviso. E ai fantasmi sostituisce la realtà delle cose. Un film «piccolo» questo Little sister, senza proclami, che lieve rende la vita, e lo scorrere delle sue stagioni nel tempo del cinema.

Il Manifesto – 2 gennaio 2016

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