21 gennaio 2016

MACBETH AL CINEMA


La vita non è che un ombra che cammina; un povero commediante che si pavoneggia e si agita, sulla scena del mondo, per la sua ora, e poi non se ne parla più; una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e di furore, che non significa nulla”.(Shakespeare)

Paolo D'Agostini

Alla corte di Shakespeare Fassbender e Cotillard diventano due giganti

Ispiratrice di un’interminabile galleria di interpretazioni teatrali, alimento per musica (Verdi, per esempio) e arti figurative, la tragedia di Shakespeare conta numerose rivisitazioni cinematografiche. Le più celebri quelle di Orson Welles e Akira Kurosawa ( Trono di sangue). I personaggi di Macbeth e di Lady Macbeth sono diventati un archetipo, un paradigma: dell’ambizione senza freni e della cieca smania di potere, dell’insinuarsi velenoso dell’invidia, del sospetto e della gelosia che armano l’insaziabile vendetta.

Ricordiamo. Macbeth signore di Glamis, combattente intrepido e leale quanto valoroso generale al servizio del re di Scozia Duncan, ha sconfitto sul campo di battaglia (scena potentissima, nel film di Justin Kurzel: cruenta e dominata dalla cupezza della brughiera che fa da grigio scenario, ma ben lontana dalla pacchiana dismisura ostentatamente ultrarealistica di tanti spettacoloni bellici in costume medievale) il traditore Macdonwald. Vittoria consegnata fedelmente nelle mani del re. Però turbata dalla profezia delle tre streghe che gli sono apparse sul campo di battaglia annunciando per lui un futuro da re ma per il suo compagno Banquo un destino da capostipite di una dinastia di re: Macbeth e sua moglie hanno appena perduto il loro unico figlio.

Sarà lei, in occasione del ricevimento offerto presso la loro residenza di Inverness a re Duncan – che annuncia il passaggio della corona a suo figlio Malcolm – a suggerire al marito un piano regicida. Che Macbeth esegue nella notte riuscendo a dirottare i sospetti proprio su Malcolm (che dopo averlo visto uccidere è fuggito), e ad essere incoronato erede di Duncan.

Da qui un’escalation di delirio omicida. Macbeth ordina l’uccisione di Banquo, e subito dopo viene perseguitato dal suo fantasma, e di suo figlio Fleance. Il prossimo nemico da neutralizzare è il dignitario Macduff, che ha iniziato a sospettare di lui. Macbeth fa sopprimere tutta la sua famiglia mentre Macduff ha raggiunto Malcolm in Inghilterra dove sta organizzando una spedizione contro Macbeth.

Un’ulteriore appendice di profezia delle tre streghe gli dice, in modo sibillino, che non avrà nulla da temere fino a quando la foresta non raggiungerà il castello reale di Dunsinane, e che egli non morirà per mano di un uomo nato da una donna. Solo più tardi il mistero si chiarirà. Quando l’assedio portato dall’esercito di Malcolm e Macduff, incendiando la foresta, otterrà che il vento sospinga fumo e fuoco verso Dunsinane. E quando Macbeth scoprirà che il rivale Macduff è nato da parto cesareo. Intanto però Lady Macbeth, schiacciata dalla colpa, abbandona il marito alla sua deriva di follia tirannica. Che non gli impedirà, malgrado il coraggio, di soccombere.

L’immagine che forse ci è stata tramandata più forte è quella dell’insopportabile peso della colpa che induce Lady Macbeth ad abbandonare suo marito dopo essere stata l’ispiratrice della sua perdizione. Ma la metafora sulla follia cui può portare la brama di potere ha trovato innumerevoli quanto infauste conferme nel corso della storia successiva. Giganteggiano le due performance principali di Michael Fassbender e di Marion Cotillard circondati da comprimari di classe. In un disegno che armonizza il devoto rispetto per un classico con la creatività di soluzioni adatte al mezzo di espressione.

La Repubblica – 7 gennaio 2016

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