06 gennaio 2016

LA DEMOCRAZIA SECONDO M. L. SALVADORI



  Il primo vero libro sulla questione meridionale che ho letto con piacere è stato quello di M. L. Salvadori intitolato Il mito del buongoverno. La questione meridionale da Cavour a Gramsci.   Salvadori è uno storico serio che ha dedicato tutta la sua vita a comprendere le ragioni delle difficoltà storiche di realizzare concretamente i principi della democrazia. Anche per questo leggerò quest'ultimo suo lavoro.

Michele Salvati

L’utopia del popolo al potere legittima il governo delle élite

Tra le strenne natalizie ogni tanto si infila un libro serio, un libro di studio, da conservare e a cui ritornare. Il libro di Massimo L. Salvadori Democrazia (Donzelli) si può leggere di seguito, capitolo dopo capitolo, come si legge una storia. Perché è una storia, la Storia di un’idea tra mito e realtà , come dice il sottotitolo: l’idea di democrazia, «dall’antica Grecia al mondo globalizzato», specifica il frontespizio. O si può leggere il capitolo che interessa, quello su Machiavelli o Rousseau, sulla Rivoluzione francese o Tocqueville, su Schumpeter o la Democrazia cristiana, sul comunismo o sulla democrazia liberale.

Dunque, insieme, un libro di storia e di consultazione, scritto in una prosa semplice, con tutti i riferimenti necessari ad approfondire l’autore o il momento storico che interessa. E reso avvincente dalla percezione, sempre più chiara mano a mano che si procede, che sotto la storia c’è una biografia, la biografia di un autore che sul problema della democrazia ha ruminato per decenni, che su questa forma di governo ha intrattenuto illusioni, che per un breve periodo l’ha vissuta come uomo politico, e che su di essa ha raggiunto una conclusione serena.

«La democrazia, quando la si intende come il potere del popolo, continua a restare prigioniera di un dilemma irrisolto: da un lato si fonda sul principio che il potere debba appartenere all’insieme del popolo; dall’altro l’esperienza offerta da tutti i regimi definiti come democratico-liberali dice che questo insieme non può esprimersi e agire se non per mezzo delle élite che lo dirigono, lo rappresentano, e anche lo manovrano. (...) Ma tra la democrazia intesa in senso forte e la democrazia ridotta a mera formula (…) vi è uno stadio intermedio che ha già avuto una storia e che è possibile abbia ancora una storia: un sistema in cui il potere non risulti del tutto sbilanciato da una parte». Anche se è improprio definire questo sistema come democrazia (…in senso forte), «è stata la storia che chi scrive ritiene aver trovato la sua migliore espressione nel “compromesso socialdemocratico”». Con queste frasi si chiude il libro di Salvadori.

Raramente è una buona strategia, per raccontare un libro, cominciare dalla fine. Ma questo è un libro singolare: è sì una storia, ma è soprattutto una raccolta — ordinata storicamente lungo i 2.500 anni presi in considerazione, dalla Grecia di Pericle alla globalizzazione di oggi — delle riflessioni che maggiormente hanno contribuito a farci comprendere che cosa sia stata e cosa sia oggi questa forma di governo. E delle circostanze politiche e sociali che a quelle riflessioni dettero origine.

Dunque un insieme di quadri e di ritratti — di politici, di studiosi, di momenti storici di cambiamento intenso — staccati l’uno dall’altro nel tempo e nello spazio, anche se tutti radicati nella cultura occidentale: Salvadori è critico del tentativo di Amartya Sen di iscrivere altre culture nella storia della democrazia. Ho allora cominciato dalla fine — dalle concezioni disincantate, ma non totalmente prive di speranza, che oggi Salvadori condivide — perché queste fanno capire meglio il percorso politico e intellettuale dell’autore ed evitano di assimilare quest’insieme di ritratti e di quadri storici tra loro staccati a una antologia universitaria di dottrine politiche.

Se si vuole, il libro può essere usato a questo scopo, anche se le scelte dell’autore non derivano tanto da un intento didattico, quanto da un percorso di ricerca individuale. I ritratti di singoli studiosi e politici e i quadri storici meglio riusciti sono quelli sui quali Salvadori si è interrogato più a lungo e da cui ha tratto le sue conclusioni politiche più forti: Tocqueville e gli studiosi e protagonisti della democrazia americana dell’Ottocento, Marx, Kautsky e le vicende del socialismo e del comunismo, Max Weber, John Stuart Mill. Ma tutti i medaglioni sono utili ed efficaci, anche quelli di autori e momenti che Salvadori non ha approfondito nei suoi studi. Rispetto agli studiosi che arrivano a queste opere di sintesi provenendo dalla filosofia o dalla scienza politica, Salvadori ha il grande vantaggio di provenire dalla storia: anche argomenti molto teorici e astratti sono inquadrati in un contesto descrittivo storicamente ricco, che ne rende la lettura agevole e la comprensione approfondita quanto basta a un non specialista: il resto lo fanno i rimandi bibliografici.

Tutte luci, niente ombre? In una storia di questa ampiezza e ambizione di ombre ce ne sono ovviamente molte, anche se chi scrive fa fatica a vederle, perché proviene da un percorso intellettuale molto simile a quello dell’autore, suo coetaneo e compagno di esperienze politiche. E perché, più o meno, nei confronti della democrazia è arrivato alle stesse conclusioni, disincantate, ma non prive di speranza: quantomeno la speranza che in qualche forma politica futura, anche se non propriamente democratica, «il potere non risulti del tutto sbilanciato da una parte».

In una presentazione che non si rivolge a specialisti, tralascio una elencazione di punti di dissenso o una segnalazione di lacune e mi limito a indicare l’«ombra» più evidente, quella che si stende sugli ultimi due capitoli del libro, dedicati all’evoluzione della democrazia negli ultimi trent’anni, nell’era del neoliberalismo e della globalizzazione. La riflessione in materia è ben lontana dall’essersi assestata e richiede competenze, soprattutto di natura economica e di relazioni internazionali, che l’autore non controlla direttamente.

Tolti alcuni grandi nomi — Bobbio, Dahl, Sartori — egli è allora costretto ad affidarsi a una letteratura corrente di qualità eterogenea e ne fa buon uso: la definizione dell’attuale democrazia come «governo a legittimazione popolare passiva» è convincente. Ma, ed è inevitabile, la sua guida è meno sicura di quanto lo sia stata per i periodi precedenti, sui quali l’autore ha dato contributi importanti e per i quali i materiali storici sono più abbondanti e più solidi.

Il Corriere della sera – 20 dicembre 2015

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