01 marzo 2025

CI SIAMO CONSUMATI

Ci siamo consumati Francesco Fantuzzi 02 Marzo 2025 L’uomo si è trasformato nelle stesse merci che produce, consuma e, quando gli vengono a noia, getta e trasforma in rifiuti. È entrato a sua volta a far parte della catena dei prodotti, ereditandone il carattere strutturale di obsolescenza e trasformandosi in rifiuto quando non è più funzionale al mondo del lavoro. Il suo stesso corpo è divenuto una merce da sostituire. Già nel 2007, in Homo Consumens, Zygmunt Bauman scriveva: Il segreto di un sistema sociale duraturo, cioè in grado di riprodursi, è la sua capacità di proiettare i suoi “prerequisiti funzionali” nei comportamenti dei suoi membri. In altre parole, la socializzazione efficace è quella che induce gli individui a desiderare di fare ciò che il sistema necessita che essi facciano per continuare ad esistere […]. Quando questi modelli sono stati osservati e assorbiti fino a diventare automatici, gradualmente i modelli alternativi e le capacità necessarie per metterli in pratica spariscono. Questa è la fase della modernità liquida, cioè della società dei consumatori. L’uomo consumatore, nella lucidissima accezione espressa da Bauman, è quello che ritiene di essere libero, in quanto ha la possibilità di scegliere prodotti fra loro diversi sul mercato, ma la cui libertà essenziale è in sostanza soltanto quella di scegliere tra alternative commerciali, stabilite per di più altrove. L’unico ambito di libertà è, non casualmente, quello che invita al consumo: non siamo più liberi di esprimere sogni, bisogni, visioni, se non nella cornice consumistica. Aggiunge Bauman: La scelta in quanto tale non è in discussione, dato che è esattamente ciò che si deve fare e che non si può in alcun modo evitare di fare, se non si vuole rischiare l’esclusione. Né tanto meno si è liberi di influire sull’insieme di scelte disponibili tra cui scegliere. Ecco perché l’uomo post-contemporaneo si è trasformato nelle stesse merci che produce, consuma, getta e trasforma in rifiuti. Ma c’è di più: è l’ossatura della post-contemporaneità che ci priva di un’idea di genere umano e di futuro e ci inchioda alla croce simbolica di una perenne incertezza coronata da beni superflui che non ci donano benessere e che divengono l’essenza stessa del nostro tormento. Il senso di estraniazione, base dell’analisi marxista, che il lavoratore prova svolgendo la propria attività, poiché “l’oggetto che il lavoro produce, il prodotto del lavoro, si contrappone ad esso come un essere estraneo, come una potenza indipendente da colui che lo produce”, non è oggi l’unico nodo esistenziale da affrontare e che faceva affermare a Marx “perciò l’operaio solo fuori dal lavoro si sente presso di sé, e si sente fuori di sé nel lavoro”. Parafrasando Marx, possiamo dire che l’uomo post-contemporaneo solo dentro l’oggetto si sente presso di sé, entrando a tutti gli effetti a far parte della catena dei prodotti e seguendone il ciclo di vita, non soltanto come forza lavoro soggetta all’obsolescenza dell’età, col rischio di trasformarsi in rifiuto se e quando non più funzionale al mondo del lavoro, anche per l’avvento ormai incontrollato delle nuove tecnologie. Insomma, l’uomo è oggi sempre più simile ai prodotti di cui si circonda, soggetti all’obsolescenza programmata imprescindibile per la continuità del sistema economico e per stimolare nuovi bisogni di consumo dei medesimi manufatti, modificati sovente solo da una sigla numerica o da una qualità più scadente. L’uomo ha ereditato il carattere strutturale di obsolescenza di ciò che produce. La forma di vita che ne consegue è dunque quella del continuo riplasmare dei propri desiderata, non legati a un senso ma a oggetti che cambiano continuamente, e dunque di una perenne insoddisfazione e inadeguatezza sulla quale il mercato costruisce la propria forza e stabilità, nonostante gli evidenti limiti fisici di un pianeta finito che non può reggere la crescita infinita di Pil e consumi. In sostanza, un continuo senso di urgenza nell’adeguarsi alle nuove tendenze prende il sopravvento, accompagnato dalla rapidità dei cambiamenti e dalla necessità di sostituire il prima possibile gli oggetti precedenti divenuti sorpassati. La temporalità, invece di associarsi come dovrebbe essere consueto alla malattia, alla senescenza e alla morte, sempre più confinate al ludibrio delle case di riposo e degli ospedali e rimosse anche grazie al supporto della chirurgia estetica e delle nuove tecniche di immagine (come fotoshop e affini), è l’essenza dell’uomo consumatore il cui scorrere della vita non è più scandito dal flusso del tempo e delle inevitabili trasformazioni fisiche, bensì al passaggio costante e rapido degli oggetti di cui ci circondiamo e che non placano mai la nostra ansia di stabilità, anzi ne sono la componente essenziale. Il mondo appare allora come un enorme contenitore di parti di ricambio, estese ormai ai nostri organi (per chi può permetterselo, come i transumanisti) dove rifornirsi di continuo con l’illusione di poter trovare un equilibrio e un senso. In definitiva, oggi tutto si crea e tutto si consuma, anche le parti dello stesso corpo umano e i legami sociali, e li si sostituisce, esattamente come accadrebbe con qualunque altro oggetto di consumo. L’uomo consumatore diviene uomo consumato dallo stesso mostro che ha creato e a cui affida la propria impossibile felicità. Francesco Fantuzzi lavora da molti anni anni a Mag 6, cooperativa di finanza mutualistica e solidale di Reggio Emilia. È autore di La società dell’emergenza (Sensibili alle foglie). Ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura

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