10 marzo 2025

LASCEREMO AI NOSTRI FIGLI UN PAESE TERRIBILE

Lasceremo ai nostri figli un paese terribile Bruna Bianchi 10 Marzo 2025 Articolo ripreso da: https://comune-info.net/lasceremo-ai-nostri-figli-un-paese-terribile/ Le manifestazioni del 2022 promosse in Russia contro la guerra hanno avuto attenzioni in tutto il mondo. Poi il dissenso si è manifestato a livello di piccoli gruppi e ha preso forme diverse, ma per lo più ignorate dai grandi media e dalla società civile internazionale. Significative, ad esempio, sono state le protese del “Consiglio delle mogli e delle madri dei soldati”, capace di estendersi in 89 città. A differenza del “Comitato delle madri dei soldati di Russia”, il Consiglio ha preso apertamente posizione contro la guerra. Di grande interesse è stata anche la proteste del gruppo “La strada di casa” formato da donne senza alcuna esperienza politica. In un primo momento, a ridosso delle elezioni, le autorità hanno cercato di persuadere e soprattutto pagare purché le donne non scendessero in strada, poi si sono moltiplicati i divieti di raduno e le irruzioni nelle case per intimidire. Un documentario messo in rete racconta la loro esperienza: ad oggi è stato visto da oltre 1 milione di persone. Di certo tantissime donne si sono interrogate sulla natura del regime e sugli scopi della guerra, hanno affermato il diritto al dissenso, hanno acquisito una nuova consapevolezza di sé. “Anche coloro che si sono definite “comuni donne di campagna” hanno rifiutato la logica amico/nemico – scrive Bruna Bianchi in questo articolo di grande valore – e invocato la fine della guerra…” [Questa pagina fa parte di Voci di pace, spazio web di studi, documenti e testimonianze a cura di Bruna Bianchi] Screenshot dal video di YouTube di un documentario sui parenti dei coscritti di Vazhnye Istorii Cosa è trapelato delle proteste contro la guerra in Russia a tre anni dall’inizio del conflitto e dalle grandi manifestazioni del febbraio-marzo 2022? Sappiamo che da aprile ad agosto di quell’anno le proteste di massa sono cessate per poi riaccendersi a settembre-ottobre contro il provvedimento che inaugurava la “mobilitazione parziale”. Da allora il dissenso si è manifestato più frequentemente a livello individuale o di piccoli gruppi e ha assunto forme meno esplicite e dirette, come la deposizione di fiori ai monumenti dedicati alla poetessa ucraina Lesja Ukraïnka e al poeta Taras Ševčenko, l’aiuto ai profughi, il sostegno ai prigionieri politici con lettere, raccolte di fondi o la presenza alle udienze, iniziative di cui le donne sono state in molti casi le promotrici. Negli ultimi due anni OVD-info ha continuato a monitorare la repressione che si è abbattuta anche sulle più piccole manifestazioni di dissenso – in particolare sui bambini, i giovani e le insegnanti – e ha portato alla luce un malessere sotterraneo. A partire dal 2023 sono state le mogli, le madri e le sorelle dei richiamati a fare sentire la propria voce, una protesta portata avanti da vari comitati e gruppi che si è rapidamente estesa a varie zone della Federazione. Il Consiglio di Samara Il 29 settembre 2022, pochi giorni dopo l’annuncio della mobilitazione, mentre fiumane di giovani che volevano sottrarsi al provvedimento si ammassavano ai confini, è sorto a Samara il “Consiglio delle mogli e delle madri dei soldati” promosso da Olga Zukanova, madre di un coscritto di vent’anni. Sin dai primi giorni della sua costituzione pervennero al Consiglio migliaia di richieste di aiuto da parte di mogli, madri e sorelle il gruppo crebbe rapidamente estendendo la sua presenza in 89 città. Zukanova e le aderenti al Consiglio hanno preteso che i soldati avessero un addestramento e un equipaggiamento adeguati, che si facesse luce sulle coscrizioni illegali di giovani, vuoi per ragioni di età, malattia o disabilità, e si sono rivolte direttamente alle autorità statali affinché ottemperassero ai loro obblighi legali. Attraverso appelli e denunce hanno cercato di garantire la sopravvivenza dei loro figli e mariti e non hanno esitato a condannare l’ipocrisia e le menzogne della propaganda. A Putin il Consiglio chiese di rendere conto della sorte dei dispersi denunciando che le donne erano state lasciate sole nella ricerca di notizie sul destino dei loro famigliari presso le istituzioni, gli ospedali, gli obitori. Non sono riuscita a raccogliere notizie più precise sull’attività del gruppo, sulla sua composizione sociale e sull’evoluzione dei suoi orientamenti, ma sappiamo che, a differenza dello storico Comitato delle madri dei soldati di Russia, il Consiglio prese apertamente posizione contro la guerra. Il 14 novembre, ad esempio, le donne che si erano radunate di fronte al distretto militare di San Pietroburgo, chiesero il ritiro delle truppe da Belgorod al confine con l’Ucraina, l’avvio dei negoziati di pace e l’abbandono delle armi nucleari. Nel maggio 2023 Zukanova, già arrestata, rilasciata, multata e denunciata per “incitamento alla negazione dei doveri civici”, è stata considerata insieme al Consiglio “agente straniero”, uno stigma che pose fine all’esperienza. Poche settimane dopo, tuttavia, il 20 giugno 2023, veniva lanciato su Telegram un nuovo gruppo femminile, “La strada di casa”, con lo scopo di ottenere il congedo dei mariti e dei figli dal fronte e di creare contatti con altri gruppi di mogli e madri che si erano formati nel tempo. Per ritrovare “La strada di casa” Quando nacque “La strada di casa” erano trascorsi nove mesi dalla “mobilitazione parziale” e il carico di patemi di dolore che la guerra aveva portato con sé si era fatto intollerabile. Molti dei richiamati, come quelli reclutati dalle prigioni, erano uomini di 40 anni e più (il limite di età del servizio militare fu elevato a 65 anni) con responsabilità famigliari. Mentre le perdite crescevano di giorno in giorno e i feriti giungevano a “fiumane interminabili” ai centri di medicazione, come fece sapere il marito medico a Maria Andreevna, la portavoce principale del gruppo, le licenze venivano negate. La mancanza di rispetto per i più semplici bisogni umani, la decisione che i richiamati sarebbero rimasti in servizio al fronte fino alla conclusione della “operazione militare speciale”, le notizie che continuavano a raggiungere le famiglie: le compagnie decimate, i maltrattamenti, i messaggi di addio prima di un’azione bellica disperata, hanno spinto le donne all’azione. Il 7 novembre a Mosca si svolse la prima uscita pubblica (fotografia); trenta mogli e madri di richiamati si unirono, senza essere invitate, a una manifestazione del Partito comunista nell’anniversario della Rivoluzione russa; tra le mani tenevano poster su cui avevano scritto: “Stiamo vivendo in un inferno”, “Hanno ridotto le persone in schiavitù”, “Ridate i padri ai loro figli”. Cinque minuti dopo l’irruzione della polizia mise fine alla protesta, ma l’evento ebbe una vasta risonanza e su Telegram apparve il messaggio: “Ci stanno ascoltando, portate avanti il buon lavoro, sorelle”. Nei giorni successivi altri messaggi invitavano a coordinarsi: “Ragazze, chi può svolgere il ruolo di organizzatrice?”; “Chi può presentare domanda al sindaco?”. Senza alcuna esperienza di attivismo politico, le donne confidavano nel rispetto della legge, ovvero di ottenere i permessi per manifestazioni in tutto il paese. Al contrario, tutte le domande furono respinte e iniziarono i primi blocchi dei social. Così, le aderenti al gruppo decisero di sommergere di lettere deputati e funzionari, ma le risposte erano più o meno sempre le stesse, di carattere burocratico: “non era possibile mutare i termini dell’arruolamento”, o patriottico: “secondo la Costituzione è dovere del cittadino difendere la patria”. In un primo momento, specie nell’imminenza delle elezioni, l’atteggiamento delle autorità fu quello di “persuadere, promettere, e soprattutto pagare”, purché le donne non scendessero in strada e non intaccassero l’immagine della propaganda incentrata sulla “moglie dell’eroe”, colei che offre orgogliosamente il suo compagno alla patria e a cui era stata dedicata una mostra di fotografie nel dicembre 2022 alla Biblioteca presidenziale. Rifiutando con indignazione lo scambio della vita dei propri uomini per una somma di denaro, Maria Andreevna incoraggiò le compagne a non avere paura delle ritorsioni: “Sono le autorità ad avere paura di noi. Siamo un gruppo sociale molto imbarazzante”. A differenza di coloro che scesero nelle strade nel febbraio 2022, infatti, le aderenti alla “Strada di casa” provenivano in buona parte da zone rurali, tradizionali bacini di influenza di Putin. Un manifesto e un appello All’inizio della sua attività il gruppo aveva avanzato la proposta della rotazione degli uomini al fronte, ma ben presto si orientò per la smobilitazione totale, come si legge nel Manifesto diffuso il 12 novembre. Né mancarono accuse esplicite a Putin, in particolare per aver dichiarato il 2024 anno della famiglia. “Ma quale famiglia? Avete distrutto migliaia di famiglie. Di quale famiglia state parlando?”. Le mogli piangevano senza mariti, i bambini crescevano senza padri e molti erano già orfani. È stata la violazione dei valori famigliari all’origine della rivolta morale che ha acceso la protesta. Siamo tradite e sterminate dalla nostra stessa gente, si legge nel Manifesto. […] Ci hanno fregato e ci fregheranno. Per tutto questo tempo ci hanno mostrato solo una parvenza di stabilità, affidabilità e sicurezza. Ricordiamo che il presidente aveva promesso che i riservisti non sarebbero stati richiamati […] e poi hanno mandato i nostri cari in Ucraina. Le promesse si sono rivelate vane. Molti non torneranno mai più. La mobilitazione è stata un terribile errore. Siamo state punite per il nostro rispetto della legge. Dietro a un velo di stabilità, i nostri uomini pagano con il sangue e noi con la salute e le lacrime. Nell’appello che accompagnava il Manifesto si chiedeva il rispetto della dignità di ogni cittadino e cittadina russa, la smobilitazione completa, l’osservanza della Costituzione, dei diritti umani, del diritto alla protesta sociale e alla riunione pubblica. Si denunciava la schiavitù forzata del servizio militare obbligatorio (12 mesi per tutti gli uomini tra i 18 e i 27 anni), la disumanizzazione e l’incitamento all’odio che stavano dilagando. Già il 16 novembre apparvero sui social insulti volgari e violenti e si insinuò che le donne non potevano aver scritto da sole il Manifesto, dovevano averlo fatto sotto una qualche influenza maschile. “Noi ragazze – ha commentato Kristina, una portavoce del gruppo – siamo economiste, avvocate, esperte di marketing […]. C’è uno stereotipo: se sei una moglie che si è mobilitata per il marito, devi per forza essere una casalinga. Noi, invece, abbiamo analizzato così tante leggi, e abbiamo avuto così tanti incontri con i deputati”. Le aderenti del comitato, ha ricordato Maria Andreevna, hanno scritto duecento lettere al giorno a tutti i componenti della Duma con le loro richieste. Anche le mogli delle zone rurali hanno dimostrato di voler sfidare lo stereotipo della casalinga passiva e obbediente. Quando mio marito è stato mobilitato il 26 ottobre dello scorso anno – ha dichiarato Kristina – nostro figlio aveva appena un anno. Ricevette la notifica immediatamente dopo l’inizio della mobilitazione e sconsideratamente, l’ha firmata. Gli avevo detto di non farlo, ma la gente delle zone rurali è ingenua. E quella firma ha segnato il suo destino. Alcune di loro hanno espresso la volontà, un tempo impensabile, di prendere parte alla protesta e talvolta si sono sobbarcate viaggi in treno di 15 ore per incontrare le compagne: Sono una comune donna di campagna – ha detto una madre intervistata da Robyn Dixon e Natalia Abbakumova – e mio figlio non poteva uccidere neppure una gallina, e ora è accaduto tutto questo. Ogni giorno si vive nella paura e nell’angoscia […]. Non ho mai partecipato a riunioni o proteste di strada, ma penso che molto presto lo farò. La radicalizzazione della protesta Nonostante gli insulti, la paura delle ritorsioni nei confronti dei congiunti, le irruzioni della polizia nelle case per dissuadere e intimidire, il costante divieto dei raduni, il gruppo ha continuato per un certo tempo a crescere. Le 4.000 aderenti iniziali del novembre 2023, divise in circa 30 sezioni locali, sono salite a 70.000 nel marzo 2024, e la determinazione a proseguire la mobilitazione si è rafforzata. Niente ci può fermare proprio adesso. Niente può fermare le donne che si sono unite perché non hanno niente da perdere. I loro uomini stanno affrontando situazioni tali che non abbiamo paura di niente. Sono parole che una donna di 26 anni ha scritto in un messaggio sul canale del gruppo. Come lei, Paulina, 20 anni, ha detto: “Non c’è bisogno di aver paura e di nascondersi perché la cosa peggiore è già accaduta: ci hanno portato via i nostri cari”. Con questo spirito “La strada di casa” ha promosso “la campagna degli adesivi” sulle auto: “Che ritorni mio marito! Sono arcistufa!”, ha espresso apertamente il suo dissenso e l’invito a non votare Putin, l’unica incognita delle ultime elezioni. Le attiviste, inoltre, hanno affrontato gli agenti di polizia che intimavano di non partecipare a manifestazioni non autorizzate. “Perché non andate voi al fronte?” ha risposto Ekaterina, e ha aggiunto: “A differenza di mio marito, io non sostengo tutto quello che accade”. Anche ai mariti sono state rivolte minacce di ritorsioni. Le autorità russe, infatti, attraverso agenti del Servizio di sicurezza nazionale hanno ammonito i mariti delle donne che avevano protestato: se non avessero ridotto le loro mogli al silenzio sarebbero stati mandati in prima linea. La risposta è stata immediata. Il 19 dicembre in un post sul canale della “Strada di casa” si leggeva: “I vostri sono sporchi metodi. State cercando di calmare la nostra rabbia esercitando pressioni sui nostri congiunti. State giocando con le loro vite e con le nostre” (ivi). Il 6 gennaio, indossando la sciarpa bianca, emblema del gruppo (fotografia), le donne hanno manifestato di fronte al ministero della difesa e dell’Amministrazione presidenziale e hanno organizzato raduni in varie parti della Russia. Sul poster di una di loro era scritto: “Il governo ha trasformato la mia vita in un inferno da quando quindici mesi fa i civili sono stati mandati al fronte. Noi chiediamo la smobilitazione!” (fotografia). Il primo dicembre “La strada di casa” ha messo in rete un documentario in cui una dopo l’altra molte donne hanno raccontato la loro esperienza. Al gennaio 2024 le visualizzazioni erano 700.000, oltre 1 milione oggi. Dal gennaio 2024 ogni sabato in piccoli gruppi si sono recate a deporre fiori al monumento al milite ignoto con poster per la smobilitazione e hanno invitato le vedove a unirsi a loro. Dopo alcuni arresti di giornalisti intervenuti per dare testimonianza degli eventi, il gruppo ha adottato una modalità di protesta parallela lanciando, nella primavera 2024, la Marcia delle pentole vuote. Le mogli, le madri, le sorelle dei soldati avrebbero dovuto aprire le finestre alle 17 precise di ogni sabato e battere sulle pentole con i cucchiai (fotografia). “Molti [russi] vivono ancora la loro vita tranquilla, come facevo io prima – ha detto Varya, una fondatrice della Strada di casa – E probabilmente ci sono molti altri famigliari di soldati che non sanno come unirsi a noi o chiedere aiuto […]. Questa azione è incentrata sul rumore, che potrebbe svegliare qualcuno, non solo a livello locale, ma in tutto il Paese”. Ispirandosi alle proteste che si erano svolte in Cile nel 1972, la manifestazione è stata concepita come un’alternativa più sicura rispetto alla deposizione di fiori ai monumenti commemorativi della Seconda Guerra Mondiale, e avrebbe potuto avere maggiore risonanza. Dopo vari tentativi di indebolire il gruppo, con intimidazioni, incentivi in denaro, chiusura di canali regionali e alcuni arresti, il 31 maggio “La strada di casa” e Maria Andreevna sono state dichiarate “agenti straniere” e immediatamente dopo Maria Andreevna ha perso il suo lavoro di pediatra e ha abbandonato l’impegno per la smobilitazione. Si sarebbe occupata della figlioletta che, per i patemi causati dalla guerra, aveva smesso di parlare. Le espressioni di indignazione per il provvedimento non si sono fatte attendere. La follia e la paura sono sempre più forti, si leggeva sul canale Telegram. Quale sarà il prossimo passo? I soldati mobilitati e a contratto che si lamentano per la mancanza di pagamenti e uniformi diventeranno agenti stranieri? Agenti stranieri con le armi in mano? O forse tutti, tranne i membri di Russia Unita, sono agenti stranieri? L’assurdità sta prendendo piede. Ma non intendiamo fermarci. I nostri parenti sono ancora in pericolo di vita, sotto il dominio dei “patrioti” della Russia e degli amici dello Stato. Bene, ora siamo entrati nella lista dei rappresentanti della cultura: attori, musicisti, scrittori. Ci stanno facendo i complimenti o cosa? Come valutare l’esperienza della “Strada di casa”? È vero, come hanno osservato le studiose Jennifer Mathers e Natasha Danilova, che le aderenti del gruppo nel loro appello e nel loro Manifesto, rivolgendosi alle cittadine russe, si sono distanziate dalle altre nazionalità della Federazione e dagli immigrati, tuttavia, non si può non cogliere che nel tempo il linguaggio è cambiato e che mobilitandosi per i loro congiunti, molte di loro si sono interrogate sulla natura del regime e sugli scopi della guerra, hanno sfidato l’idea della guerra a oltranza, hanno esercitato il loro diritto di cittadine di chiedere conto al governo delle proprie decisioni, hanno affermato il diritto al dissenso e alla libertà di parola e di associazione, hanno dimostrato la capacità di cambiare strategie e tattiche e hanno acquisito una nuova consapevolezza di sé. Come coloro che avevano preso parte alle manifestazioni delle prime settimane di guerra, molte aderenti della “Strada di casa” hanno messo in discussione i “valori tradizionali” su cui si fonda il regime autoritario di Putin, ovvero l’immagine della “maternità patriottica” e della “mascolinità guerriera”. È vero anche che esse non hanno espresso ufficialmente rammarico per le vittime ucraine e hanno evitato di condannare esplicitamente la guerra, ma sul loro canale a partire dal dicembre 2023 sono apparsi messaggi che ne chiedevano la fine. Alcune non concordavano con questo obiettivo, altre non avevano fiducia che potesse realizzarsi, come ha detto Paulina: “Credo che qualsiasi movimento contro la guerra in Russia sia destinato a fallire”. Ma se c’è la possibilità di chiedere almeno l’annullamento del decreto presidenziale [sulla mobilitazione], la colgo. Tra le intervistate nel documentario c’è stata anche chi ha chiesto che non si uccida più: “Dobbiamo fare di tutto per non uccidere altre persone”. Le loro parole, infine, rivelano che il ritorno dei mariti è tanto desiderato quanto temuto. Temuti i mutamenti e i silenzi strazianti che la guerra potrebbe aver introdotto nelle loro vite: “È difficile immaginare con quale mentalità torneranno da lì”; “Non ho osato chiedergli se ha ucciso”. Temute le conseguenze sui figli e su se stesse in quanto madri, “C’è da aver paura a mettere al mondo figli in questo paese. Specialmente maschi”; “Lasceremo ai nostri figli un paese terribile”. Anche coloro che si sono definite “comuni donne di campagna” hanno rifiutato la logica amico/nemico e invocato la fine della guerra. Mi sento ingannata. Mi rendo conto che in ogni conflitto tutte le parti sono da biasimare, ma ho una domanda: “Quand’è che coloro che hanno la responsabilità di porre fine alla guerra si siederanno al tavolo dei negoziati”? . Pezzo ripreso da: https://comune-info.net/lasceremo-ai-nostri-figli-un-paese-terribile/ Bruna Bianchi ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura

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