Nel mio ultimo libro EREDITA' DISSIPATE, nella parte dedicata alla vita e all'opera di Antonio Gramsci, ho cercato sommariamente di sottolineare, accanto al rigore del suo pensiero, l'umanità e la tenerezza del grande sardo.
Oggi voglio ricordare una delle prime lettere scritte da Gramsci in carcere alla madre che mostra, senza tante parole, la sua statura umana. (fv)
[Lettera alla madre del 25 aprile 1927]
La mia vita scorre sempre uguale. Leggo, mangio, dormo e penso. Non posso fare
altro. Tu però non devi pensare a tutto ciò che pensi e specialmente non devi
farti illusioni. Non perché io non sia arcisicuro di rivederti e di farti
conoscere i miei bambini (riceverai la fotografia di Delio, come ti ho
annunziato; ma Carlo non te ne aveva consegnata una nel 1925? quando Carlo
venne a Roma? e Chicchinu Mameli ti aveva dato uno scudo di argento che avevo
mandato a Mea perché si facesse fare un cucchiaino? e una tabacchiera di legno
speciale per te? — mi sono sempre dimenticato di domandarti queste cose), ma
perché sono anche arcisicuro che sarò condannato e chissà a quanti anni. Tu
devi capire che in ciò non c’entra per nulla né la mia rettitudine, né la mia coscienza,
né la mia innocenza o colpevolezza. È un fatto che si chiama politica, appunto
perché tutte queste bellissime cose non c’entrano per nulla. Tu sai come si fa
coi bambini che fanno la pipí nel letto, è vero? Si minaccia di bruciarli con
la stoppa accesa in cima al forcone. Ebbene: immagina che in Italia ci sia un
bambino molto grosso che minaccia continuamente di fare la pipí nel letto di
questa grande genitrice di biade e di eroi; io e qualche altro siamo la stoppa
(o il cencio) accesa che si mostra per minacciare l’impertinente e impedirgli
di insudiciare le candide lenzuola. Poiché le cose sono cosí, non bisogna né
allarmarsi, né illudersi; bisogna solo attendere con grande pazienza e
sopportazione.[…]
ANTONIO GRAMSCI
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