22 agosto 2013

ERMANNO OLMI E ITALO CALVINO



Nel 1947 Ermanno Olmi, allora sedicenne, lesse “Il sentiero dei nidi di ragno” di Italo Calvino e si entusiasmò della storia e di Pin, bambino-adulto in una Sanremo sconvolta dalla guerra civile. Tanto da disegnare alcune tavole, oggi ritrovate.

Ermanno Olmi - I ragni di Calvino – 1947

La mattina del 25 aprile del '45, come tutte le mattine, prima d'andare a scuola vado a comperare il pane dal fornaio di Piazzale Nigra, alla Bovisa, un quartiere di fabbriche della periferia di Milano. Appena in strada, incontro Michel che abita nel caseggiato di fronte e mi grida: "È finita! Finita!". Era finita la guerra. Anzi, no: la guerra c'era ancora, ma era finita per noi, perché i tedeschi in ritirata lasciavano libera l'Italia.

La radio trasmetteva continuamente notiziari e annunciavano la formazione di partiti con nomi tutti nuovi. E in frammezzo, canti patriottici che noi ragazzi non avevamo mai sentito. Salvo un po' di Bandiera Rossa che l'imbianchino del quarto piano cantava sottovoce quando c'era l'allarme e si andava al rifugio anti-aereo negli scantinati del caseggiato.

Quella sera stessa, niente più oscuramento. Adesso si accendevano le luci di tutte le case e nessuno chiudeva più le imposte oscuranti. Finalmente tutti giù in strada, senza più il coprifuoco. Da una finestra a pianterreno, spuntò la tromba di un grammofono e Alberto Rabagliati cantava "ba-ba-baciami piccina sulla bo-bo-bocca piccolina". Giovanotti e signorine danzavano e si intendevano da piccoli segnali del corpo più che con le parole: un abbraccio più avvolgente, un contatto più intimo. Anch'io avevo imparato a ballare il "bughi" e quando c'era un lento e l'accostamento si faceva più stretto, provavo il languore della sensualità. A ottobre, di malavoglia, riprese la scuola. Ma mi annoiavo. Mi piaceva di più andare in giro libero a vedere cosa mi offriva il mondo che ancora non conoscevo e che mi faceva fantasticare.

Una mattina piovosa, che alla "montagnetta" non ci sarebbe stato nessuno, gironzolavo a caso per le vie del centro e così capitai in Piazzetta Filodrammatici, proprio di fianco alla Scala. A un portone di un palazzo austero c'era un cartello con la scritta: PCI - Casa della Cultura. E più sotto, un foglio vergato a mano con l'avviso: "OGGI alle ore 17.30 Presentazione del Libro Il sentiero dei nidi di ragno. Opera prima dello Scrittore Italo Calvino - Ingresso libero". Già il titolo mi affascinava e poi non avevo mai assistito alla "presentazione" di un libro. Le ore non passavano mai. Continuava a piovere e non facevo che camminare senza mai uscire dai portici: Galleria, Piazza Duomo, Corso Vittorio Emanuele, San Babila. Avanti e indietro, in attesa della presentazione dei Nidi di Ragno. Ogni tanto entravo alla Rinascente, i grandi magazzini di Milano dove potevi anche solo guardare senza comperare e lì c'era un buon odore di cose nuove e anche un calduccio gradevole.

Mezz'ora prima ero già davanti al portone della Casa della Cultura. Altri erano arrivati ancor prima di me e pareva che tutti si conoscessero già da prima perché man mano arrivavano, parlavano subito tra loro con grande confidenza e familiarità.



La sala della Casa della Cultura era strapiena. Uno che pareva quello che comandava, parlava di letteratura non soggetta alle classi privilegiate, e i protagonisti de Il sentiero dei nidi di ragno erano eroi del popolo che avevano maturato una nuova coscienza politica. Per rendere più espliciti questi concetti, ogni tanto interrompeva il suo sermone e leggeva alcune pagine del romanzo. "Basta un grido di Pin, un grido per incominciare una canzone... Pin sa tutte le canzoni che gli uomini dell'osteria gli hanno insegnato...". Sono bastate poche righe che già io ero diventato Pin. "... Pin ha una voce rauca, da bambino vecchio...". E poi, quando gli uomini dell'osteria gli chiedono di rubare la pistola del marinaio tedesco quando va a letto con la sorella di Pin che fa la prostituta. ""E come faccio?..""... T'arrangi"".

Più il lettore leggeva più la storia di Pin mi esaltava. Pin ha la mia stessa età di allora. Quando uscì il libro, nel 1947, anch'io avevo sedici anni e, allo stesso modo di Pin, mi sentivo precipitato nel mondo degli adulti. Mio padre era morto con gli ultimi bombardamenti di Milano e non fece nemmeno in tempo a vedere la fine della guerra. Mia madre andò a lavorare per tirare avanti. Nessuno mi controllava e passavo le giornate marinando scuola. Pin frequentava le osterie del porto e cantava canzoni oscene. Io andavo allo zoo dove, in un angolo defilato che chiamavamo "la montagnetta", si davano convegno altri sbandati come me: ragazzi e ragazze che bigiavano scuola, ma anche quelli più grandi che raccontavano storie eccitanti dei loro amori.

In chiusura della presentazione, quello che comandava disse che si doveva sostenere la diffusione del libro parlandone in giro e che la Casa della Cultura lanciava un concorso di disegni fra i ragazzi come Pin. Come me.

(E. O. Asiago, 7 luglio 2013)



I ragni di Calvino – 2013

Il tempo ha tante misure. Lo sappiamo. Ma di solito non ci facciamo caso. Eppure, qualche volta, capita di doverci mettere lì a fare i conti col calendario perché non abbiamo più nozioni di quanti anni sono passati da un certo accadimento che vogliamo ricordare. Così come mi sta accadendo adesso, mentre scrivo queste note tenendo in mano alcuni fogli che ho ritrovato cercando in quelle cartelle dove si conserva quel che ancora si vuole salvare.

Sono quei miei disegni di quando ero un ragazzo di soli sedici anni e mi ero entusiasmato per Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino. Tutto era accaduto per puro caso in quella mattina piovosa che avevo marinato scuola e gironzolavo a perditempo per le vie del centro di Milano.

Quanti anni? Ho subito fatto i conti: tra pochi giorni, il 24 luglio, ne compio 82 e tirandone via i sedici che avevo allora, ecco che di anni ne sono passati ben sessantasei! Una vita.

E tuttavia, ci sono tempi di altre misure che non sono quelle dei numeri. Sono i tempi dei sentimenti quando all'improvviso, senza averli sollecitati, ecco che si richiamano fra loro e si ripresentano con straordinaria lucidità restituendoci le emozioni che avevamo provato allora e ancora riproviamo dopo tanto tempo nel ritrovarli intatti e persino più vivi della prima volta.

Andò così. Sono a Venezia per la Mostra del Cinema. È il 1983. Mi avevano affidato la presidenza di una giuria di un premio collaterale. Arrivai al Lido con alcuni giorni di ritardo perché impegnato nella lavorazione di un nuovo film. Per recuperare la visione delle opere in concorso, che gli altri giurati avevano già visto, dovevo rincorrerli con almeno tre proiezioni al giorno riservate espressamente per me nella mitica Saletta Volpi. Confesso che questa esclusiva non mi piaceva per niente. Il cinema si gusta quando la sala è al completo di spettatori.



La mattina del secondo giorno, appena spente le luci di sala, in quei pochi istanti di buio prima che parta il fascio luminoso della proiezione, ecco che avverto un fruscio alle mie spalle. Mi volto e intravedo la pesante tenda oscurante dell'ingresso che si muove perché dietro c'è qualcuno che sta tentando di entrare. Infatti, un'ombra si compone nel buio, avanza silenziosa e si siede un paio di file dietro di me. Strano. Chi sarà mai costui? Sicuramente un "clandestino" sfuggito al controllo degli addetti di sala. Non mostro alcuna reazione. Anzi, confesso che mi fa piacere che ci sia lì, in quella sala vuota, qualcun altro a scongiurare la mia solitudine.

Ricordo perfettamente: il film era Pianeta azzurro di Franco Piavoli, un capolavoro di limpida, indimenticabile poesia.

Per tutto il tempo della proiezione, è come se il "clandestino" non ci fosse e io mi sono quasi dimenticato di lui. Alla fine, quando si riaccendono le luci, rimango seduto, in silenzio. Ci vuole il giusto tempo prima di staccarci dalla struggente emozione della poesia. Ma al tempo stesso voglio vedere come il "clandestino" si comporterà, adesso che la sala non è più al buio. E così aspetto che si decida. E invece non accenna ad andarsene e se ne sta lì, seduto, sempre senza proferire parola. Dovremo pur deciderci. Allora dico a mezza voce come se parlassi solo a me stesso: "Bellissimo". Dopo un istante, anche il "lui" ripete: "Sì, bellissimo".

Ma io non mi volto. A questo punto, però mi ha rubato la mossa e non posso più ignorarlo: sono costretto ad alzarmi e subire la sua presenza. Proprio in quell'istante, entra il proiezionista con il tipo camice azzurro che ci informa: "Oggi pomeriggio, abbiamo altre due proiezioni, a partire dalle ore 15". A questo punto il "clandestino" si decide a parlare: "Il dottor Lizzani mi ha fatto un elenco di titoli da non perdere...". E tira fuori un foglietto scritto a mano per mostrarlo al proiezionista. Guardo il "clandestino" con più attenzione e comincio a rendermi conto che costui è una fisionomia nota. Sicuramente un intellettuale che ama il cinema. Ma no, cosa dico? Sono proprio via di testa! Com'è possibile non averlo riconosciuto subito? Calvino, sant'Iddio!



E allora, recitando la parte di chi è del tutto consapevole di chi gli sta davanti, mostro un sorriso di complicità, come se lo avessi ravvisato fin da subito, e dico: "Eh, che bel ricordo è per me quel suo sentiero dei nidi di ragno... ".

Calvino stacca l'attenzione dal foglio, appena per un'occhiata. Io non faccio cenno dei miei disegni e invece gli confido: "L'ho letto che avevo la stessa età di Pin, e per molto tempo immaginavo d'essere anch'io come lui... e di cantare le canzoni sconce dei grandi... per considerarmi uno di loro...".

Calvino mette via il foglietto dei film e mi guarda.

E io: "Ma Pin... è un personaggio reale o inventato?".

Lui: "Tutte e due le cose... - e aggiunge, come se rivelasse un piccolo segreto - più una".

"Quale?"

"Il lettore".

(E. O. Asiago, 8 luglio 2013)


(Da: La Repubblica del 21 luglio 2013)

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