13 agosto 2013

LA PRESA DEL POTERE DI GIORGIO NAPOLITANO





          Le incredibili vicende politiche italiane hanno fatto assumere alla figura del Presidente della Repubblica un ruolo da protagonista. Non a caso, per la prima volta nella storia della nostra Repubblica, è stato rinnovato l’incarico al Presidente uscente.
           Le osservazioni critiche sul suo operato sono cresciute negli ultimi mesi e in questi ultimi giorni. Noi oggi preferiamo astenerci da ogni giudizio sommario e consigliamo di leggere il libro recensito nelle seguenti righe:


LUCA MENICHETTI – LA PRESA DEL POTERE DI GIORGIO NAPOLITANO

Se ci pensate bene la biografia di un personaggio ancora in vita, e per di più in carica come Presidente della Repubblica, rischia di vedere la luce comunque con un finale del tutto aperto e lasciando irrisolti molti dubbi. Così è stato anche con “L’ultimo comunista” di Pasquale Chessa, il racconto “tra luci e ombre” delle varie stagioni di Giorgio Napolitano militante comunista e poi uomo delle istituzioni: pubblicato nell’aprile del 2013, proprio il 20 di quel mese l’ottantottenne Napolitano, a seguito di una miseranda manovra di palazzo Pd-Pdl, stupidamente favorita dall’intransigenza della coppia Grillo-Casaleggio, viene rieletto Presidente della Repubblica. Visti i precedenti, un’elezione che faceva tirare un sospiro di sollievo a questi signori: le cosiddette “larghe intese” si sarebbero finalmente fatte, ufficializzando una prassi esistente fin dagli anni ’90. La biografia scritta da Chessa si ferma quindi poco prima di questo estremo (e non ultimo) tentativo di una classe politica totalmente screditata di conservare potere e privilegi. Ma al di là di questo mancato aggiornamento che, nell’equilibrio tra luci e ombre, potrebbe far pesare diverse ombre in più, rispetto ad esempio al libro “Il custode” di Giampiero Cazzato (pubblicato nel 2011), c’è da dire che “L’ultimo comunista”, pur limitandosi a riassumere a grandi linee quanto accaduto in questi ultimi due anni di fallimentare governo tecnico, proprio alla luce degli ultimi accadimenti ci propone un’interpretazione forse più completa dell’operato di questo Presidente; ovvero di un Napolitano che ha assunto poteri fino ad ora inimmaginabili per un Capo di Stato italiano, ma che nello stesso tempo – pensiamo alla copertura politica riservata ad un governo fiduciato da un Parlamento di nominati e che per di più vuole modificare l’art. 138 della Costituzione – da “custode”  rischia di non custodire proprio un bel nulla, se non appunto i poteri e i privilegi della classe politica che lo ha malamente rieletto. Fin qui le considerazioni personali aggiornate all’agosto 2013 ed in presenza di un governo frankenstein eterodiretto da un pregiudicato.
Pasquale Chessa, che non è soltanto giornalista ma anche storico, ha un approccio meno polemico e come in una biografia che si rispetti, utilizzando documenti di partito, lettere, testimonianze di amici e nemici ed anche una ricca bibliografia, compresi i libri di memorie dello stesso Napolitano, dei quali propone una personale parafrasi, ricostruisce il percorso personale e politico dell’undicesimo (e dodicesimo) presidente della Repubblica: dallo stalinismo agli anni delle invasioni dell’Ungheria e della Cecoslovacchia, ai vari comunismi esistenti malgrado il cosiddetto centralismo democratico, le correnti ufficiose del Pci tra la destra amendoliana, la sinistra di Ingrao, la corrente migliorista; ed infine il tracollo del socialismo reale e della stessa idea comunista, tangentopoli, il coinvolgimento della corrente migliorista con tutte le allusioni maligne degli ex socialisti e degli ex comunisti passati a Forza Italia, l’inaspettata elezione al Quirinale, il complesso gioco delle parti con Berlusconi, il braccio di ferro con la Procura di Palermo.

Andando a ritroso ritroviamo buona parte di quanto avevamo letto tra le pagine del “Custode” di Cazzato: dall’origine borghese alla gavetta politica con Salvatore Cacciapuoti e Giorgio Amendola, tra le arroganti epurazioni dei presunti e degli autentici trotzkisti e la cosiddetta scissione di Montesanto, cooptato nel Centro Economico Italiano per il Mezzogiorno, militante insieme a tanti altri noti nomi del comunismo napoletano come Clemente Maglietta, Carlo Fermariello, Aldo De Jaco, Gerardo Chiaromonte. Negli anni emerge il ritratto di un politico molto abile, puntiglioso, che non lascia dubbi sulla sua concezione di militanza di partito: sempre e comunque il primato della politica sull’ideologia, in qualche modo la soluzione più lineare per motivare la sua scelta comunista senza sentirsi antidemocratico e totalitario. Tutto questo malgrado episodi eclatanti e a dir poco indecorosi – pensiamo alla posizione del Pci durante la rivoluzione ungherese del ’56 – che Chessa è riuscito a raccontare con un’efficace capacità di sintesi, dal periodo di cieca fedeltà alla linea sovietica fino ai difficili mea culpa di cinquant’anni dopo. In questa sua “scissione spirituale tra corpo politico e anima ideologica” Chessa vede un esempio della famosa “doppiezza togliattiana”, declinata da Napolitano con meno cinismo ed attingendo a quel bagaglio culturale che proveniva dai suoi studi giovanili e dalla sua famiglia liberale: “ La sua autobiografia è costellata di incontri speciali che tramanderanno di lui il profilo di un comunista anomalo, già postcomunista senza mai diventare ex comunista” (pag. 101).

L’anomalia di questo comunista figlio di liberali si coglie ancora in alcuni passaggi della biografia, in particolare nella polemica che lo vide contrapposto a Berlinguer: “Napolitano [n.d.r.: con frasi dal suo libro di memorie pubblicato nel 2005] ricorda con lucidità il tentativo, tipico della pedagogia berlingueriana, di ricapitolare l’intera storia del Pci entro un più vasto quadro mondiale ed europeo, su una linea di anacronistica ortodossia comunista in cui trovavano posto il rifiuto di qualsiasi abiura dell’esperienza sovietica e della Rivoluzione d’Ottobre, e contemporaneamente le rinnovata condanna della socialdemocrazia e i suoi esiti politici tutti all’interno della logica del capitalismo” (pag. 145).

Ancora più attuale la lettura di Chessa sulle esternazioni e manovre di Napolitano uomo delle istituzioni: malgrado nelle vesti di Capo dello Stato per il momento abbia sposato la linea delle “larghe intese”, evitando di promuovere una sorta di “governo del Presidente”, nel lontano 1994 non appariva affatto ben disposto nei confronti dell’ex premier Berlusconi, appena sceso in politica per regalarci il miracolo italiano”. Così scriveva nel suo libro “Dove va la Repubblica”: “Conduzione aziendale combinata con gli strumenti della persuasione pubblicitaria […] Questa è la politica dell’antipolitica”.

Chessa inoltre ritiene che Napolitano, per contenere le barbarie giuridiche imbastite dall’ultimo governo Berlusconi, abbia messo in campo degli autentici stratagemmi e manovre tali da disinnescare gran parte dei provvedimenti più indecorosi: da una lato la promulgazione con monito, che di fatto si traduce in un atto di direzione politica; dall’altro “una sorta di sabotaggio politico organizzato attraverso sommerse procedure che non lasciano tracce ma si possono dedurre e intuire dai risultati. Fra moniti, suggerimenti, correzioni e rinvii, sono molti le leggi che svaniscono nelle pieghe delle procedure. Succede per la legge bavaglio sulle intercettazioni […] Con meno clamore, ma con le medesime procedure, è vanificato il devastante piano casa che avrebbe sfigurato per sempre i profili delle città e gli orizzonti del paesaggio italiano [...] La strategia delle pietre di inciampo viene messa in atto anche per il caso Englaro” (pag. 13).

Un Capo dello Stato che, vista la latitanza di una politica decente, a buon titolo ha potuto dire: ”In questi sei anni di Quirinale ho potuto comprendere come il Presidente della Repubblica italiana sia forse il capo di Stato europeo dotato di maggiori prerogative”. Poteri, come ricorda ancora Pasquale Chessa, all’inizio del mandato neppure pensava di avere. “E che ha saputo di sapere usare con scaltrezza da vero, ultimo comunista”.

EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE

Pasquale Chessa, giornalista e storico, vive fra Roma, Parigi e Alghero, dove è nato. Dopo i programmi culturali di Radio Rai, ha lavorato per i servizi culturali de "l'Espresso", "Europeo", poi è stato vicedirettore di Epoca e Panorama. Ha scritto "Rosso e nero" (1995), libro intervista con Renzo De Felice; "Guerra civile 1943-1945-1948. Una storia fotografica" (2005); "Italiani sono sempre gli altri" (con Francesco Cossiga, 2007); "Dux. Benito Mussolini. Una biografia per immagini" (2008); "L'ultima lettera di Benito" (con Barbara Raggi, 2010).

Pasquale Chessa, "L’ultimo comunista. La presa del potere di Giorgio Napolitano", Chiarelettere (collana Principioattivo), Milano 2013, pag.256.

Luca Menichetti. Lankelot, agosto 2013
Recensione già pubblicata il 13 agosto 2013 su ciao.it e qui parzialmente modificata.

1 commento:

  1. Questa mattina, avendo pubblicato anche su FB questa recensione, mi sono accorto che chi non ha avuto la pazienza di leggere il testo si è lasciato fuorviare dal discutibile titolo dato al libro. Ora, a scanzo di equivoci, chiarisco che il titolo e certi contenuti del libro di Chessa non piacciano neppure a me!
    D'altra parte chi mi conosce dovrebbe sapere che, dal mio punto di vista, Napolitano, come tanti altri, non è mai stato un comunista!

    L'ultimo vero comunista per me è stato Antonio Gramsci!

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