28 agosto 2013

LEOPARDI IN INGLESE





Nei mesi scorsi è stata portata a termine la prima integrale traduzione inglese dello Zibaldone di Giacomo Leopardi. L’opera è stata completata nel corso di sette anni da una squadra di traduttori professionisti inglesi e americani che hanno collaborato tra loro, in costante dialogo, diretti da Michael Caesar (University of Birmingham) e Franco D’Intino (Università di Roma La Sapienza), sotto gli auspici del Centro Nazionale di Studi Leopardiani (Cnsl) di Recanati, del Leopardi Centre di Birmingham e dell’Arts and Humanities Research Council.  
Di questa importante iniziativa editoriale vogliamo parlare oggi nel nostro blog riprendendo un articolo di Roberto Cornero, pubblicato su L’UNITA’ dello scorso 7 agosto:

Roberto Carnero – Do you speak Leopardi?

Pubblicata negli Stati Uniti e in Inghilterra la prima traduzione integrale in inglese de «Lo Zibaldone» di Giacomo Leopardi. Un'edizione ricca di apparati critici e filologici, a cura di Michael Caesar (uno dei più importanti italianisti di area anglosassone, docente all'Università di Birmingham) e Franco D'Intino (professore di Letteratura italiana moderna e contemporanea all'Università di Roma «La Sapienza», nonché direttore del «Leopardi Centre» dell'Università di Birmingham). Il testo è stato appena pubblicato negli Stati Uniti dalla casa editrice Farrar Straus & Giroux e nei prossimi giorni sarà disponibile nel Regno Unito presso Penguin. L'opera è stata completata nel corso di sette anni («di studio matto e disperatissimo», direbbe il Nostro) da una squadra di traduttori professionisti inglesi e americani, che hanno collaborato tra loro, in costante dialogo. Di fatto, l'opera non è soltanto una traduzione, ma una vera e propria «edizione» in lingua inglese, che comprende, oltre ai minuziosi apparati già citati, note, indici e una lunga introduzione. Numerose le novità che vanno segnalate, anche per i lettori e gli studiosi italiani: la verifica del testo sulla base del manoscritto; la riconsiderazione e il ricollocamento secondo nuovi criteri di quelle parti del testo (aggiunte marginali) che sono tradizionalmente poste a pie' di pagina; il controllo di tutte le fonti condotto nella Biblioteca Leopardi di Recanati e in molte biblioteche italiane e straniere; l'individuazione di tutte le citazioni, contrassegnate per la prima volta da virgolette; lo scioglimento delle abbreviazioni di nomi, titoli e luoghi; la traduzione integrale di tutti i passi o parole in lingue diverse dall'italiano (greco, latino, francese, spagnolo, ebraico); un ricco commento che aggiorna, integra e talora corregge (con molte nuove indicazioni e precisazioni in aree fin qui trascurate) i commenti precedenti. Insomma, un lavoro che contribuirà a modificare in modo sostanziale il quadro storico, letterario e filosofico del XIX secolo e a introdurre pienamente Giacomo Leopardi nel «canone occidentale», aprendo nuove prospettive di ricerca sulla cultura moderna. Con l'entusiastico avallo di un grande critico come Harold Bloom, che ha scritto la quarta di copertina dell'edizione americana: Il grande Zibaldone, o Hodge-Podge, è finalmente disponibile ai lettori di lingua inglese. «Leopardi è il più grande poeta italiano dopo Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso. Il suo immenso commentario su tutta la letteratura occidentale e le sue riflessioni rivelano lo splendore e la potenza della sua mente, o, si potrebbe dire meglio, della sua coscienza, giacché la sua ampiezza trascende ciò che è stato tradizionalmente chiamato mente . Radicalmente innovative, le speculazioni e ruminazioni leopardiane mi sembrano andare ben al di là di quelle di ogni altro uomo di lettere europeo, da Goethe a Valéry». Ne parliamo con uno dei due curatori della straordinaria impresa, Franco D'Intino Professor D'Intino, è soddisfatto dell'esito del lavoro? «Nel complesso sì. Anche se un'opera così complessa un curatore vorrebbe tenersela nel cassetto all'infinito, per continuare a migliorarla. E spero ci saranno occasioni per farlo». Quali sono stati i principali problemi verificatisi in corso d'opera? «Il problema principale è la mole: qualunque semplice operazione di controllo (per esempio sulla coerenza del lessico, o di aspetti formali) può durare settimane o mesi. Un altro problema è stato coordinare un centinaio di collaboratori. Ma il lavoro collettivo è molto utile». Quanto è conosciuto Leopardi all'estero e in particolare nel mondo anglosassone? «Finora lo è stato poco. Le traduzioni sono scarse e inadeguate, le sue idee spesso difficili da digerire per la loro radicalità e verità. Spero che ora la musica possa cambiare». Quali aspetti di Leopardi questa nuova traduzione dello «Zibaldone» contribuirà a far conoscere? «Credo che la veste inglese farà leggere Leopardi in modo diverso. Nelle mie introduzioni e nelle note ho messo in luce la sua capacità di incrociare su molti temi i suoi contemporanei, ma anche pensatori radicali successivi come Nietzsche, Wittgenstein, Benjamin, di rispondere alle domande del nostro presente. Ho messo in luce la sua energia e la sua vitalità: l'ostacolo principale alla sua diffusione è ancora il cliché dell'erudito pessimista, debole e isolato dal mondo». Le sembra che in Italia si apprezzi e si valorizzi a sufficienza un autore come Leopardi? Che cosa si potrebbe fare di più? «No. Nelle scuole si legge poco e male, spesso secondo stereotipi critici poco fruttuosi e stimolanti. Si potrebbe cominciare a leggere «Lo Zibaldone» passo passo, o aprendolo a caso, come la Bibbia. Ognuno ci troverebbe qualcosa di illuminante e di molto personale».

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