Nessuno potrà dire: non sapevo
Fulvio Vassallo PaleologoCosa si intende oggi per “sicurezza marittima” nel Medoterraneo? E chi comanda le missioni europee che collaborano con i libici nel blocco dei migranti nel Mediterraneo centrale?
Un articolo di Nello Scavo su Avvenire conferma il grado di coesione esistente tra i comandi militari europei, italiani, maltesi e libici nelle attività di sorveglianza ed intercettazione in acque internazionali, ai danni dei migranti in fuga dalla Libia, da considerare tutti potenziali richiedenti asilo e non certo “clandestini” date le notorie condizioni di abusi sistematici ed estorsioni generalizzate alle quali sono sottoposti dalle milizie libiche che controllano i guardiacoste, i porti ed i campi di detenzione. Dietro quale catena di comando si svolgevano e si continuano a svolgere queste operazioni? Chi comandava nel 2017 e nel 2018 la missione europea Eunavfor Med quando si intensificava la collaborazione con i guardiacoste libici e si inventavano prove false per mandare a processo le ONG? E chi si ritrova ancora oggi a comandare l’Operazione europea Eunavfor Med IRINI ? Dobbiamo davvero fidarci di quanto afferma, in una intervista all’agenzia “Nova”, ripresa da l’Avvenire, l’ammiraglio Fabio Agostini, secondo cui la Guardia costiera libica non è più sotto il controllo dell’Europa e dell’Italia, aggiungendo tuttavia che dal 2016 al 2019, quando i guardacoste erano stabilmente sotto il controllo e l’addestramento italiano, si era registrato “un sostanziale cambio di passo riguardo della gestione degli eventi Sar e al trattamento dei migranti soccorsi”?
Adesso che, dopo un breve periodo in cui il comando di Eunavfor Med Irini era passato ai greci, questo ruolo è ritornato agli italiani e la sede dell’operazione rimane a Roma, cosa è cambiato veramente? Il contrammiraglio della Marina Militare italiana, Stefano Frumento, a partire dal 2 aprile di quest’anno ha assunto il Comando in mare degli assetti aerei e navali di IRINI in sostituzione del commodoro Mikropoulos della Marina greca. Contestualmente la nave italiana San Giorgio ha sostituito la flagship greca HS Aegean. Quali gli attuali livelli di interazione e di coordinamento con la sedicente guardia costiera libica e con le autorità marittime italiane e maltesi? Che si intende oggi per “sicurezza marittima” nel Mediterraneo, quando gli Stati non garantiscono neppure quella copertura e quel coordinamento delle attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali (SAR) che sarebbero imposte dal diritto internazionale? Che senso ha l’attuale ripartizione del Mediterraneo centrale in diverse zone SAR ( di ricerca e salvataggio) attribuite alla Libia, alla Tunisia, a Malta ed all’Italia, se poi gli Stati europei non adempiono agli obblighi di soccorso in acque internazionali ?
In realtà occorre riconoscere che dietro le operazioni di contrasto dell’immigrazione irregolare e del traffico di armi nel Mediterraneo, perché di questo si occupano prioritariamente le attività Eunavfor Med, prima denominate Sophia, ed adesso IRINI, si celano comandi italiani che garantiscono una forte integrazione tra le attività di monitoraggio svolte dagli assetti navali ed aerei europei, italiani e maltesi con le autorità libiche, altrimenti incapaci di andare ad intercettare barconi carichi di migranti in acque internazionali, addirittura nella zona SAR maltese. Dove, in conformità con quanto imposto dalle Convenzioni internazionali dovrebbero intervenire invece i mezzi militari maltesi ed italiani, garantendo quel porto di sbarco sicuro (POS) che il governo di Tripoli non può garantire. Gli accordi bilaterali non possono cancellare gli obblighi di coordinamento e soccorso previsti dalle Convenzioni internazionali. Eppure continuano a verificarsi casi di abbandono in alto mare che si vorrebbero tenere nascosti ma che le ONG riescono a documentare e che i testimoni diretti, le vittime, poi confermano. quando intervengono le motovedette libiche non si tratta di soccorsi ma di intercettazioni a scopo di sequestro. Nessuno potrà dire: non sapevo.
Non ci sono più le ONG da attaccare come responsabili dell’incremento delle partenze dalla Libia e delle vittime in mare. La politica dei fermi amministrativi le ha colpite più dei decreti sicurezza di Salvini. Incalcolabili i danni di immagine per chi sostiene le attività di soccorso umanitario con la raccolta fondi ed il numero delle persone che avrebbero potuto essere soccorse e sono state invece abbandonate in acque internazionali. Ma anche se le navi delle ONG rimangono bloccate nei porti, la loro attività di denuncia continua implacabile, ed anzi si rafforzerà sempre di più.
Emerge ancora una volta, anche dalle riprese video e dal tracciamento delle rotte, il ruolo di alibi che reciprocamente si scambiano le autorità europee e nazionali, sotto la vigile attività di controllo di Frontex, quando si tratta di nascondere violazioni eclatanti del diritto internazionale e del diritto europeo, a partire dalla violazione del divieto di non respingimento (art.33 della Convenzione di Ginevra) e del divieto di respingimenti collettivi ( art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea). Per non parlare delle complicità a vari livelli nei trattamenti inumani e degradanti vietati dalla CEDU e dalle Convenzioni ONU contro la tortura, inflitti dai guardia-coste e dai carcerieri libici a tutte le persone che vengono intercettate in mare. Intanto, la collaborazione con le autorità libiche, avviata nel 2007 dai primi Protocolli operativi conclusi dal governo Prodi con Gheddafi, poi rinforzata dal Trattato di amicizia del 2008 e dal Memorandum d’intesa Gentiloni-Minniti del 2017, prosegue, ed anzi si intensifica, con il prossimo voto del Parlamento italiano che finanzierà la Guardia costiera libica.
Il governo italiano lancia periodici appelli all’Unione Europea perché si intervenga per rafforzare le attività di intercettazione in acque internazionali delegate alla sedicente Guardia costiera libica ed ai GACS ( corpo militare parallelo in funzione antimmigrazione), e l’Unione Europea, che non riesce ad adottare una politica comune sul Mediterraneo, non risponde assumendosi una qualsiasi responsabilità, ma trasferisce risorse ai miliziani libici tramite la sponda degli accordi bilaterali che il governo di Tripoli ha concluso nel tempo con diversi governi italiani. Quindi alla fine, malgrado le sigle europee, il compito principale di coordinamento rimane ad autorità italiane, anche per il rifiuto sistematico di Malta rispetto ad ogni richiesta di intervento. A La Valletta basta fare entrare i libici nella propria zona SAR, hanno un accordo esplicito per questo, per riprendersi i migranti, o attendere che i superstiti proseguano verso le coste italiane.
Italia e Malta hanno intanto ritirato dalle acque internazionali tutti quegli assetti navali militari che potevano restare coinvolti in attività di soccorso, e le navi della Marina militare che pure sorvegliano le piattaforme petrolifere offshore, non intervengono quando i migranti in fuga riescono a raggiungere queste installazioni in acque internazionali.
Si ritiene che basti nascondere gli eventi di soccorso che, degradati a meri eventi migratori, vengono risolti dalle autorità libiche. In questo modo dovrebbero scomparire le responsabilità dei vertici politici e militari europei. Sui media la partita della disinformazione si gioca centrando tutte le responsabilità delle stragi in mare e degli abusi a terra, nei campi di detenzione, sui cosiddetti scafisti, o su trafficanti, che sono noti a tutti. Ma che le autorità di Tripoli rilasciano in libertà e promuovono a ruoli importanti di controllo del territorio e delle coste dalle quali vengono fatti partire decine di barconi al mese, in condizioni di sovraccarico tali che senza soccorsi immediati il destino di molte persone in fuga dalla Libia è segnato. Come sono certi gli abusi che subiscono tutti coloro che vengono riportati a terra. Mai tanto numerosi come quest’anno. Ed è sempre maggiore il numero delle vittime.
Adesso oltre al rifinanziamento della guardia costiera libica che il Parlamento italiano si appresta a votare dal 15 luglio in poi, a Bruxelles, dove sono falliti tutti i tentativi di adottare una normativa che regolamentasse le attività di ricerca e salvatagio in mare delle ONG, rendendo ancora più difficili i loro interventi di soccorso, si aumenta la collaborazione diretta con i libici incrementando il livello di integrazione tra le attività di controllo e di interdizione (law enforcement) affidate alla missione EUNAVFOR MED che dopo Sophia adesso è stata rinominata IRINI, e si garantisce in sinergia con Frontex, un elevato livello di integrazione nelle attività di intercettazione delegate ai libici, grazie ad un crescente scambio di informazioni tra le missioni europee, le autorità maltesi ed italiane. Continua il coinvolgimento diretto della missione NAURAS della Operazione Mare Sicuro della Marina militare italiana, presente dal 2017 nel porto militare di Tripoli con funzioni di formazione e di assistenza dei guardiacoste libici. Come denuncia il Senatore De Falco, si può parlare di “respingimenti” proprio per la presenza della nave della marina militare italiana di stanza al porto di Tripoli. Ribadisce De Falco, “Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha detto che serve ad addestrare, riparare e sviluppare i mezzi a disposizione dei libici. Ma gli fornisce anche i sistemi di comunicazione per coordinare la cattura dei migranti. Sotto il profilo giuridico l’Italia è autrice di questi delitti, non complice. Stiamo facendo noi i respingimenti”. In base al diritto internazionale non ci sono obblighi giuridici di “riconsegnare” i naufraghi da soccorrere in acque internazionali ai libici, così come costituisce atto di legittima difesa qualsiasi tentativo di fuga rispetto ai tentativi di intercettazione violenta in alto mare operati dalle motovedette libiche.
E’ per effetto di questo imponente dispositivo militare europeo ed italiano, nel quale giocano un ruolo determinante i vertici militari italiani, che migliaia di persone vengono riprese in acque internazionali dai libici e riconsegnate a milizie che li lasciano a disposizione dei trafficanti che spesso diventano torturatori anche quando operano in attività di repressione dell’immigrazione “illegale” finanziate dall’Unione Europea, con la mediazione di Italia e Malta. In assenza di canali legali di ingresso, anche per ragioni umanitarie, e di una missione si soccorso in mare (come era Mare Nostrum nel 2014),
Le denunce delle ONG non si arresteranno. Forse nessun tribunale condannerà mai questi “crimini contro l’umanità”, anche se qualche Procura sta indagando sugli interventi della Guardia costiera libica. La giurisdizione arriva fin dove le autorità esercitano atti di imperio che producono vittime, come quelle che arrivano malgrado tutto a Lampedusa ed in altri porti siciliani. Spetterebbe anche all’Unione Europea, ed alla Corte di Giustizia di Lussemburgo, verificare il rispetto del diritto dell’Unione, in particolare del Regolamento Frontex n.656 del 2014, ancora in vigore, che richiama le grandi Convenzioni internazionali di diritto del mare e la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, andare a verificare il rispetto dei diritti umani e degli obblighi di soccorso da parte di tutte le autorità nazionali ed europee preposte.
Per quanto cerchino di classificare come “riservati” i documenti che confermano il grado di collaborazione dei vertici politici e militari europei con le milizie libiche a terra ed in mare, la verità dei fatti, che malgrado tutte le intimidazioni sta venendo fuori, costituirà una condanna definitiva per ideatori ed esecutori di queste politiche di morte. Gli osservatori indipendenti non si faranno ridurre al silenzio. Vediamo se continuano a propinarci la bufala sul nuovo Memorandum sui diritti umani in Libia. Bufala utilizzata lo scorso anno per ottenere l’approvazione dei finanziamenti alla guardia costiera libica ed ai torturatori in divisa che gestiscono i centri di detenzione. Nulla sarà dimenticato, i nomi sono sempre gli stessi.
Articolo ripreso da https://comune-info.net/nessuno-potra-dire-non-sapevo/
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