01 luglio 2021

RILEGGERE SCIASCIA PER CAPIRE LA SICILIA E IL MONDO 1 e 2

 


Ecco l'introduzione del mio articolo su Leonardo Sciascia pubblicato oggi sulla rivista DIALOGHI MEDITERRANEI 


RILEGGERE  LEONARDO SCIASCIA 

 PER CAPIRE LA SICILIA E IL MONDO

Ricorre quest’anno il centenario della nascita e il 32° anniversario della morte di Leonardo Sciascia (1921-1989). Gli anniversari sono i momenti peggiori per parlare o scrivere criticamente di un autore. Sciascia, peraltro, è stato un autore che ha sempre amato le polemiche ed è stato uno dei più grandi polemisti del 900. Anche per questo non meritava di essere sommerso da un diluvio di parole retoriche. Ma così va il mondo, cosicché anche quelli che, fino a poco tempo fa, dicevano e scrivevano che era giunta l’ora di smettere di leggerlo, si sono uniti al coro delle celebrazioni.

Sciascia, con Pasolini, è stato uno degli autori più controversi del 900. Negli ultimi vent’anni della sua vita, almeno a partire da Il contesto (1971), è stato attaccato da più parti: Gerardo Chiaromonte ed Emanuele Macaluso gli hanno dato del qualunquista [2]; Giorgio Amendola nel 1977 l’ha chiamato vigliacco e disfattista [3]; L’affaire Moro, oggi glorificato, quando uscì nel 1978, ignorato e incompreso da tanti, condusse Eugenio Scalfari ad evocare La trahison des clercs;  non parliamo del putiferio che scatenò nel 1987 l’articolo pubblicato dal principale quotidiano nazionale, con il titolo redazionale, I professionisti dell’antimafia.

professionisti-antimafia-articoloSi arrivò a dire che era stato “stregato” dalla mafia; e non si è voluto capire che in tutte le sue opere Sciascia ha messo alla berlina ogni forma di cultura mafiosa (da quella espressa da Capuana e Pitrè a quella di Don Peppino Genco Russo).

In questo articolo focalizzerò la mia attenzione su un testo poco noto dello scrittore siciliano. Eppure si tratta della sua prima articolata riflessione sul fenomeno mafioso, come indica il suo stesso titolo La Mafia. Il pezzo uscì nel lontano 1957 sulla combattiva rivista Tempo Presente di Ignazio Silone. Per raccoglierlo qualche anno dopo nel suo primo libro di critica letteraria e di costume Pirandello e la Sicilia (Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta 1961).

copertina-raccolta-lora-1991-1Sciascia non ha mai amato essere considerato un mafiologo; eppure non conosco scrittori che hanno scritto quanto lui sulla mafia e sulla cultura mafiosa. A lui dobbiamo soprattutto l’idea originale secondo cui il vero spirito mafioso si annida in ogni forma di potere assoluto. Per questo non conosce confini geografici e ha avuto nella storia molteplici incarnazioni, dagli antichi Tribunali della Santa Inquisizione ai più recenti campi di concentramento e gulag.

Sciascia comincia a scrivere di mafia in anni in cui pochi ne parlavano e molti ne negavano perfino l’esistenza. Lo ricorderà lo stesso Autore, con un po’ di civetteria, un anno prima di lasciarci:

«Ho dovuto fare i conti da trent’anni a questa parte prima con coloro che non credevano o non volevano credere all’esistenza della mafia e ora con coloro che non vedono altro che mafia. Di volta in volta sono stato accusato di diffamare la Sicilia e di difenderla troppo. […]. Non sono infallibile, ma credo di aver detto qualche inoppugnabile verità. Ho 67 anni, ho da rimproverarmi e da rimpiangere molte cose; ma nessuna che abbia a che fare con la malafede, la vanità e gli interessi particolari. Non ho, lo riconosco, il dono dell’opportunità e della prudenza. Ma si è come si è» [4]

Leonardo Sciascia ha studiato la mafia con la stessa libertà e la stessa passione che ha attribuito ad uno dei maggiori studiosi siciliani di tradizioni popolari: «In piena libertà, senza quelle remore, quelle preoccupazioni, quelle direttrici (e quei disguidi) che la carriera accademica impone, da anni Antonino Uccello studia le tradizioni popolari siciliane» (Leonardo Sciascia, Quaderno, Palermo 1991: 116-119). Anche per questo Sciascia ha potuto dire sulla mafia quello che gli storici accademici non hanno mai voluto o potuto dire.

FRANCESCO VIRGA

Ecco il link dell'articolo che potete leggere integralmente sulla rivista DIALOGHI MEDITERRANEI:  

http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/la-mafia-secondo-leonardo-sciascia/

Di seguito uno dei primi commenti ricevuti da Bernardo Puleio, autore di due libri importanti  sullo scrittore di Racalmuto:

"L'amico Francesco Virga ha appena pubblicato sulla rivista on-line Dialoghi mediterranei, un eccellente acuto e critico saggio su Sciascia e la mafia. Con particolare attenzione soprattutto allo Sciascia delle origini, diciamo così approssimativamente, della prima fase. Che poi era già uno Sciascia molto problematico e fuori dai confini del politicamente corretto o dell' intellettuale organico, concetto che all'epoca corrispondeva al politicamente corretto, secondo le attese, per così dire, progressiste e comuniste. Mi sono anche molto piaciute le oneste annotazioni che Virga scrive all'inizio a proposito delle tante censure che Sciascia ha ricevuto mentre era in vita anche da parte comunista: il saggista giustamente prende anche le distanze da alcuni giudizi sommari formulati da dirigenti di primo piano di quel partito al quale è stato tanto legato: è un segno di onestà intellettuale che non è per nulla scontato quando sono in gioco i sentimenti di appartenenza passionale a una ideologia.

Tra i passi citati in questo saggio mi permetto di sottolinearne in particolare due: quello in cui Sciascia, già alla fine degli anni 50, osserva, da laico, con scetticismo la " fede religiosa" dei contadini nel Partito Comunista, fede sulla quale aveva ironizzato in uno scritto inserito nella silloge Gli zii di Sicilia, esattamente nel racconto intitolato La morte di Stalin, che aveva scombussolato Italo Calvino, ufficialmente lontano dal PCI, dopo il 1956, aveva stracciato la tessera, ma, di fatto, ancora legato in maniera ambigua alle politiche del partito. L'altro passo è la citazione finale con la quale Sciascia anticipa già quello che succederà a partire dal 1960, mentre la procura di Palermo in quegli anni, sottolineava che il fenomeno mafioso stava per esaurirsi. E invece si assisteva una trasformazione del fenomeno mafioso che dall'ambito rurale dove era nato si trasferiva in città si urbanizzava ed era pronto a dare il sacco a Palermo, grazie anche alla complicità delle giunte comunali democristiane. E d'altronde, senza l'aiuto e la collaborazione del potere politico, la mafia non avrebbe mai potuto prosperare come aveva fatto a partire dal 1860 e come fa a maggior ragione dopo lo sbarco americano. sulla complicità tra gli uomini imposti dagli americani e i mafiosi Virga scrive cose interessanti proprio riproponendo alcuni passi di Sciascia. L'affermazione sciasciana dell'intervento della mafia quasi come, in piccolo, uno strumento di integrazione e di mediazione sindacale tra proprietà e i contadini, un' affermazione diciamo politicamente scorretta, verrà ripresa anche quando Sciascia, diventato onorevole, dirà negli anni 80 che la mafia è l'unica rivoluzione che è accaduta in Sicilia, un'affermazione molto polemica ovviamente. Infine un aneddoto, ricordato nella splendida biografia di Matteo Collura. L'ufficiale dei Carabinieri Raffaele Candida andò a trovare Sciascia prima che lo scrittore partisse per un viaggio e gli disse che aveva bisogno di parlare con lui. Sciascia fece il viaggio quasi con una sorta di timore, chiedendosi cosa volesse da lui un ufficiale dei Carabinieri. Al ritorno Candida che, secondo Sciascia, rappresenta il capitano Bellodi ne Il giorno della civetta, gli chiese di scrivere la prefazione al suo libro Questa mafia sulla quale con grande attenzione si è soffermato Francesco Virga nel suo bel saggio. L'ufficiale Candida fu trasferito da Agrigento dopo aver scoperto le collusioni di alcuni politici di sinistra, socialisti e comunisti, col fenomeno mafioso."

(Bernardo Puleio)

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