Alla luce degli attacchi rivolti al papa gesuita dai fedelissimi di Ratzinger risulta più attuale che mai quanto ho scritto due anni fa su DIALOGHI MEDITERRANEI:
http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/la-rerum-novarum-del-nostro-tempo-considerazioni-in-margine-allultima-enciclica-di-papa-francesco/
Ripropongo di seguito la parte iniziale del mio articolo:
La “Rerum novarum” del nostro tempo. Considerazioni in margine all’ultima enciclica di Papa Francesco
La lettera enciclica Fratelli tutti, firmata ad Assisi il 3 ottobre 2020 dal papa argentino che, non a caso, ha scelto di chiamarsi Francesco, sta suscitando un animato dibattito sia dentro che fuori la Chiesa cattolica. D’altra parte non è la prima volta che un intervento informale o un documento ufficiale del papa venuto “dalla fine del mondo” solleva un vespaio.
In questo articolo cercheremo di esaminarla, come un documento storico, con il massimo scrupolo filologico anche perché i temi trattati sono di grande attualità e di estremo interesse anche per chi non condivide la visione religiosa della vita del papa. L’enciclica, nel solco del Concilio voluto da Giovanni XXIII, non è rivolta solo ai fedeli della Chiesa ma a «tutte le persone di buona volontà».
Nel preambolo il pontefice cita le parole di San Francesco: «beato colui che ama l’altro quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui», ricordando che il Santo di Assisi dappertutto «seminò pace e camminò accanto ai poveri, agli abbandonati, ai malati, agli scartati, agli ultimi». Particolarmente significativa appare inoltre, agli occhi del pontefice, la visita compiuta dal fraticello in Egitto, presso il Sultano Malik al Kamil, in un periodo storico segnato dalle crociate: «Egli non faceva la guerra dialettica imponendo dottrine, ma comunicava l’amore di Dio. Aveva compreso che «Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1 Gv4,16).
Mentre il suo predecessore, Benedetto XVI, nella sua Enciclica sociale Caritas in veritate, sosteneva con energia la sua continuità con la tradizione, negando che possa distinguersi una Dottrina sociale preconciliare da una postconciliare, Francesco, pur senza dirlo, afferma il contrario e tutto il suo pensiero, oltre al suo operato, lo dimostra ampiamente. Bergoglio, nel suo ottavo anno di pontificato, non ha alcuna difficoltà a riconoscere tra le sue fonti di ispirazione, oltre la Sacra Scrittura, uomini non cattolici come Martin Luther King, Desond Tutu, il Mahatma Gandhi e, soprattutto, il Grande Imam Ahmad Al Tayyeb, con cui si era incontrato il 4 febbraio 2019, nella città di Abu Dhabi, sottoscrivendo insieme il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza umana che anticipa alcuni contenuti di questa enciclica (Cfr. 5, 192, 285).
Il preambolo dell’enciclica di Francesco si chiude con un riferimento alla pandemia del Covid 19 che ha investito il mondo intero, con una stoccata finale, piuttosto insolita rispetto al linguaggio felpato tradizionale:
«Proprio mentre stavo scrivendo questa lettera ha fatto irruzione in maniera inattesa la pandemia […] che ha messo in luce le nostre false sicurezze. Al di là delle varie risposte che hanno dato i diversi Paesi, è apparsa evidente l’incapacità di agire insieme. Malgrado si sia iperconnessi, si è verificata una frammentazione che ha reso più difficile risolvere i problemi che ci toccano tutti. Se qualcuno pensa che si tratti solo di far funzionare meglio quello che già facevamo, o che l’unico messaggio sia che dobbiamo migliorare i sistemi e le regole già esistenti, sta negando la realtà».
Tema questo che Bergoglio riprenderà e svilupperà nei capitoli I e V dell’enciclica. Di seguito procediamo nell’analisi seguendo l’ordine e gli stessi titoli dati dal Pontefice agli otto capitoli della sua lettera.
Ombre di un mondo chiuso
Nel primo capitolo dell’enciclica Francesco analizza realisticamente le contraddizioni del nostro tempo, segnato dal dominio incontrastato del potere finanziario, cresciuto con la digitalizzazione e la globalizzazione dei processi produttivi. Tanti sogni sono andati in frantumi e la storia sembra dare «segni di un ritorno all’indietro»:
«Si accendono conflitti anacronistici che si ritenevano superati, risorgono nazionalismi chiusi […]; la società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli Siamo più soli che mai in questo mondo massificato che privilegia gli interessi individuali e indebolisce la dimensione comunitaria dell’esistenza […]. La politica diventa sempre più fragile di fronte ai poteri economici transnazionali che applicano il divide et impera».
Bergoglio avverte il pericolo della crescente «perdita del senso della storia» che sta svuotando di senso parole e concetti antichi come democrazia, libertà e giustizia (14) . E, rivolgendosi alle giovani generazioni, afferma:
«Se una persona […] vi dice di ignorare la storia, di non fare tesoro dell’esperienza degli anziani, di disprezzare tutto ciò che è passato e guardare solo al futuro […], non è forse questo un modo facile di attirarvi […] per farvi fare solo quello che lui vi dice? Quella persona ha bisogno che siate vuoti, sradicati, diffidenti di tutto […]. Così funzionano le ideologie di diversi colori, che distruggono (o de-costruiscono) tutto ciò che è diverso e in questo modo possono dominare senza opposizioni. A tale scopo hanno bisogno di giovani che disprezzino la storia, che rifiutino la ricchezza spirituale e umana tramandata attraverso le generazioni».
Per Francesco la perdita della coscienza storica è uno dei mali peggiori del nostro tempo. Questo tema sta particolarmente a cuore del pontefice. Non caso, come vedremo, torna ad occuparsene negli ultimi due capitoli dell’enciclica. Tutto il punto 14 dell’enciclica si potrebbe riassumere con le parole di Adorno: «Le cose sono giunte al punto che la bugia ha il suono della verità e la verità il suono della bugia» (T.W. Adorno, Minima moralia. Meditazioni sulla vita offesa). Non a caso, d’altra parte, oggi si parla tanto di post-verità. Particolarmente interessante ed attuale appare il passo seguente:
«Il modo migliore per dominare e avanzare senza limiti è seminare la mancanza di speranza e suscitare la sfiducia costante, benché mascherata con la difesa di alcuni valori. Oggi in molti Paesi si utilizza il meccanismo politico di esasperare, esacerbare e polarizzare. Con varie modalità si nega ad altri il diritto di esistere e di pensare e a tale scopo si ricorre alla strategia di ridicolizzarli, di insinuare sospetti su di loro di accerchiarli. Non si accoglie la loro parte di verità, i loro valori […]. La politica così non è più una sana discussione su progetti a lungo termine per lo sviluppo di tutti e del bene comune».
È questa la ragione per cui qualsiasi progetto per il progresso di tutta l’umanità, oggi, «suona come un delirio». Pur consapevole del cinismo dominante nel mondo d’oggi, Bergoglio non si rassegna di fronte all’«aumento della ricchezza senza equità». Anzi individua e denuncia con forza le contraddizioni del nostro tempo: «Mentre una parte dell’umanità vive nell’opulenza, un’altra parte vede la propria dignità disconosciuta, disprezzata o calpestata». Infatti «milioni di persone – bambini, uomini e donne di ogni età – vengono private della libertà e costrette a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù». Ma le contraddizioni e le storture del mondo odierno non sono solo queste: guerre, attentati, persecuzioni per motivi politici, razziali o religiosi vengono giudicati in modi diversi a seconda che convengano o meno a determinati interessi: «Ciò che è vero quando conviene a un potente, cessa di esserlo quando non è nel suo interesse».
Lo straordinario sviluppo tecnologico non ha cancellato «paure ancestrali»: «Anche oggi, dietro le mura dell’antica città c’è l’abisso […]. È il territorio di ciò che è ‘barbaro’, da cui bisogna difendersi a ogni costo. Riappare la tentazione di alzare muri, […]. E chi alza un muro, […] finirà schiavo dentro ai muri che ha costruito, senza orizzonti. Perché gli manca l’alterità». La solitudine, le paure e l’insicurezza di tante persone creano «terreno fertile per le mafie. Queste infatti si impongono presentandosi come ‘protettrici’ dei dimenticati, […]. C’è una pedagogia tipicamente mafiosa che, con un falso spirito comunitario, crea legami di dipendenza e di subordinazione dai quali è molto difficile liberarsi».
Francesco non poteva chiudere gli occhi di fronte alla pandemia del Covid 19, che ha investito il mondo intero nel corso dello stesso anno in cui viene pubblicata la sua enciclica. La pandemia sta accentuando le contraddizioni del nostro tempo e Bergoglio le coglie lucidamente:
«Il mondo avanzava implacabilmente verso un’economia che, utilizzando i progressi tecnologici, cercava di ridurre i “costi umani” – alcune pagine prima era già stata notata e denunciata «l’ossessione di ridurre i costi del lavoro» – e qualcuno pretendeva di farci credere che bastava la libertà di mercato perché tutto si potesse considerare sicuro. Ma il colpo duro e inaspettato di questa pandemia fuori controllo ha obbligato per forza a pensare agli esseri umani, a tutti, più che al beneficio di alcuni. Oggi possiamo riconoscere che […] ci siamo ingozzati di connessioni e abbiamo perso il gusto della fraternità. Abbiamo cercato il risultato rapido e sicuro e ci troviamo oppressi dall’impazienza e dall’ansia. Prigionieri della virtualità, abbiamo perso il gusto e il sapore della realtà».
Se tutto è connesso, incalza Francesco, «è difficile pensare che questo disastro mondiale non sia in rapporto con il nostro modo di porci rispetto alla realtà, pretendendo di essere padroni assoluti della nostra vita e di tutto ciò che esiste. Non voglio dire che si tratta di una sorta di castigo divino». Francesco sa che gli uomini dimenticano velocemente le lezioni della storia, per questo avverte:
«Passata la crisi sanitaria, la peggiore reazione sarebbe quella di cadere ancora di più in un febbrile consumismo e in nuove forme di auto-protezione egoistica. […]. Che non sia l’ennesimo grave evento storico da cui non siamo stati capaci di imparare. Che non ci dimentichiamo degli anziani morti per mancanza di respiratori, in parte effetto di sistemi sanitari smantellati anno dopo anno. Che un così grande dolore non sia inutile, che facciamo un salto verso un nuovo modo di vivere e scopriamo una volta per tutte che abbiamo bisogno e siamo debitori gli uni degli altri, affinché l’umanità rinasca con tutti i volti, tutte le mani e tutte le voci, al di là delle frontiere che abbiamo creato».
Nei paragrafi successivi (36-40) l’enciclica si sofferma a trattare il tema delle migrazioni, tema particolarmente caro a Francesco su cui più volte ha parlato nel corso del suo pontificato, a partire dal suo primo intervento a Lampedusa quando parlò della “globalizzazione dell’indifferenza”. Adesso, nel ribadire che «le migrazioni costituiranno un elemento fondante del futuro del mondo» osserva che «i fenomeni migratori suscitano allarme e paure, spesso fomentate e sfruttate a fini politici».
Non meno attuali le successive osservazioni sull’ombra che si annida nella sempre più invadente «comunicazione digitale» che – oltre ad esporre al «rischio di dipendenza, di isolamento e di progressiva perdita di contatto con la realtà concreta» – abbandona ogni individuo agli «sguardi che frugano, denudano e divulgano, spesso in maniera anonima». Mentre, oggi più che mai, ci sarebbe bisogno «di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo, tremito delle mani, rossore, sudore, perché tutto ci parla e fa parte della vera comunicazione umana. I rapporti digitali, che dispensano dalla fatica di coltivare un’amicizia, una reciprocità stabile e anche un consenso che matura con il tempo, hanno solo un’apparenza di socievolezza».
Francesco è altresì consapevole del fatto che, nel mondo digitale odierno, operano «giganteschi interessi economici capaci di realizzare forme di controllo tanto sottili quanto invasivi, creando meccanismi di manipolazione delle coscienze e del processo democratico». Sta qui una delle principali fonti della crescente diffusione nel mondo delle cosiddette fake news ossia di «informazioni e notizie false, fomentando pregiudizi e odio». Attraverso i media oggi «si cerca di creare una nuova cultura al servizio dei più potenti. Da ciò traggono vantaggio l’opportunismo della speculazione finanziaria e lo sfruttamento, dove i poveri sono sempre quelli che perdono». Su questo punto, come vedremo, Francesco tornerà nei capitoli III e IV.
Il primo capitolo dell’enciclica – contrassegnato da uno stile fresco e vivace, talora anche aspro e duro, abbastanza dissonante rispetto allo stile paludato della tradizione ecclesiastica – si chiude con una nota di speranza:
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