Il fuoco di Leonardo Sciascia nelle sue ultime parole
Pubblicato il 1 gennaio 2023 da Comitato di Redazione di DIALOGHI MEDITERRANEI
Vorrei cominciare a parlare dell’ultimo libro di Leonardo Sciascia a partire dalla fine, nel punto in cui lo scrittore siciliano, conversando con Domenico Porzio, afferma che «le riviste sono finite perché è finito il colloquiare; non ci si incontra più. […] La televisione ha ammazzato la conversazione, ha ammazzato la lettura serale. Ha ammazzato tante cose». Con la stoccata finale contro la «classe digerente» che non ha mai saputo dirigere nulla [1].
Ma procediamo con ordine. L’ anno scorso l’editore Adelphi ha curato una nuova edizione di Fuoco all’anima, un libro di Leonardo Sciascia pubblicato da Mondadori tre anni dopo la sua morte. Come spiega il suo sottotitolo, si tratta di Conversazioni che lo scrittore di Racalmuto ebbe, tra il 1988 e il 1989, suo ultimo anno di vita, con l’amico Domenico Porzio, curatore dell’edizione italiana, per i tipi dei Meridiani Mondadori, delle opere di Borges. Michele Porzio, figlio di Domenico, in appendice a questa nuova edizione del libro, nel rendere pubbliche alcune carte del padre – compresa la scaletta preparata per l’occasione – rivela che l’idea originaria del giornalista era di fare la solita Intervista. Fu Sciascia a proporre, in alternativa, la registrazione del dialogo che, da tempo, i due intrattenevano tra loro parlando, a ruota libera, d’ogni cosa.
Si parla, infatti, davvero di tutto in questo libro: dei rapporti tra lingua e dialetti (il dialetto, afferma Sciascia laconicamente, riecheggiando le parole di Pasolini, «consente di raggiungere la madre» ma, subito dopo osserva: «nessuna opera di pensiero può essere scritta in dialetto»; della “frutta martorana” e dei “pupi di zucchero” che si regalavano ai bambini per la festa dei morti; della familiarità dei siciliani con la morte e delle vedove “captivae”, ossia prigioniere del marito defunto; del rapporto tra leggi e privilegi; della mafia antica e di quella sempre più sfuggente dei giorni nostri.
Elio Vittorini, di Ottone Rosai, 1941
Ma, attenzione, la cosa meno sciasciana da fare è quella di prendere per verità assolute, rivelate, le sue opinioni, i suoi giudizi politici, storici e letterari. Ad esempio, il suo giudizio su Vittorini è molto discutibile, come lo è quello su Napoleone, sul comunismo e sulla Chiesa cattolica. Pienamente condivisibile appare, invece, quanto scrive sulla forza delle parole evangeliche: «Il Vangelo continuerà a vivere nel cuore degli uomini che hanno cuore» [2].Sciascia si sofferma a raccontare la sua prima esperienza lavorativa nel Consorzio Agrario di Racalmuto, svolta dal 1941 al 1948, prima di cominciare ad insegnare nelle scuole elementari del suo stesso paese. Il Consorzio, in quegli anni, si occupava, soprattutto, della gestione del grano che i contadini erano costretti a conferire all’ammasso comunale. Il contatto quotidiano con i problemi concreti del suo paese ha permesso allo scrittore di conoscere meglio la realtà locale e i problemi di quegli anni. Scrive infatti Sciascia:
«Era un mestiere che permetteva la conoscenza del mondo contadino. Momenti tristi in cui mancava il pane e i contadini erano particolarmente vessati. perché consegnassero il grano all’ammasso. Lì ho avuto, si può dire, il primo impatto con la giustizia. C’era una squadra di polizia che girava per fare delle perquisizioni nelle case di chi aveva la terra. Un giorno [ ] hanno scoperto un contadino che aveva sottratto all’ammasso un quintale di frumento [...] l’arciprete quindici. […]. Sono stato chiamato come testimone, per confermare che i due avevano denunciato una quantità minore di grano. Ho seguito il processo. Il contadino è stato condannato a due anni, l’arciprete assolto. […]. Così la giustizia ha cominciato a darmi delle inquietudini» [3].
Altrettanto eloquente risulta il suo racconto dell’ingresso dei soldati americani a Racalmuto, avvenuto circa cinque giorni dopo il loro sbarco tra Gela e Licata. Sciascia ne aveva già scritto nel 1979, in Nero su nero e in La Sicilia come metafora, e nei primi anni cinquanta nel suo capolavoro Le Parrocchie di Regalpetra. Evidentemente il ricordo di quelle giornate gli era rimasto talmente vivo da tornarci più volte, in diverse occasioni, successivamente. Ma fin dai suoi primi scritti ha manifestato tutto il suo stupore per il modo in cui il governo e l’esercito americano hanno trattato i mafiosi. In queste sue ultime pagine, infatti, lapidariamente scrive: «Gli americani arrivarono con l’elenco dei mafiosi in tasca. I sindaci di quasi tutti i paesi furono scelti tra i mafiosi» [4].
Ma lo stesso Sciascia, molti anni prima, aveva scritto:
«gli storici possono rompersi la testa, a tentare di capire come mai un segreto rigorosamente custodito al vertice degli eserciti alleati (lo sbarco in Sicilia) non fosse per tanti siciliani un segreto» [5].
Non va dimenticato che Sciascia è stato uno dei primi scrittori siciliani a sottolineare il carattere devastante che ha avuto nella storia della nostra isola la “legittimazione” che la mafia ricevette dagli Stati Uniti d’America nel periodo dell’occupazione militare della Sicilia. E ne ha scritto e parlato in più luoghi. Particolarmente significativa appare quest’altra testimonianza:
«La mafia, che era stata combattuta dal fascismo – due mafie non avrebbero potuto coesistere – si è avvantaggiata dallo sbarco americano in Sicilia. Insediati dagli americani in posti chiave delle istituzioni, i mafiosi, oltre al prestigio, hanno esercitato un potere politico quotidiano: presiedevano alla distribuzione di pane e viveri, offrivano coperte, fornivano la penicillina, il ‘rimedio miracoloso’ di cui è difficile oggi immaginare cosa poteva significare in quel tempo. Il pane, la penicillina, le coperte …ecco il potere di cui i mafiosi si erano trovati investiti dagli americani» [6]
Luigi Pirandello, di Fausto Pirandello, 1936
Tornando alle conversazioni di Sciascia con Domenico Porzio, non può sorprendere ritrovare in esse temi e motivi presenti in altre sue precedenti opere. Ad esempio, è ricorrente in tutti i suoi scritti la denuncia dell’ipocrisia e della doppiezza come causa prima della crisi della sinistra in Italia. La doppiezza della vita italiana, secondo lo scrittore di Racalmuto, «è un malcostume da addebitare soprattutto alle sinistre. Si dice una cosa in privato e se ne fa un’altra – il contrario – in pubblico».Sciascia conferma la sua profonda simpatia per il ‘700, il secolo dei lumi, ed in specie per Diderot e Voltaire. Singolare appare l’ammirazione mostrata dallo scrittore siciliano, così sobrio e castigato in tutti i suoi racconti, nei confronti del modo d’intendere l’amore in quel secolo, quando i rapporti tra i due sessi erano soprattutto «un gioco di gioia, nient’altro. I corpi, l’incontro dei corpi».
Nel corso di queste sue ultime conversazioni Sciascia mostra la sua antica passione filosofica, il suo forte interesse nei confronti del razionalismo illuminista e la sua ferma opposizione nei confronti di ogni forma di romanticismo, da cui derivano nazionalismi e fanatismi d’ogni tipo. E quando il suo interlocutore cita uno dei suoi scrittori preferiti, Alessandro Manzoni, non manca di sottolinearne la formazione illuministica.
I passi centrali del libro sono indubbiamente quelli in cui Sciascia parla dei suoi scrittori preferiti. Allora, dopo aver ricordato i suoi amati Stendhal e Manzoni, lo scrittore di Racalmuto si sofferma su quelli che ritiene i maggiori e più rappresentativi scrittori mondiali del 900: Pirandello, Kafka e Borges. Su Pirandello ribadisce di averlo «incontrato nella natura» e di averlo «respirato nei luoghi». Questi tre giganti del 900, osserva Sciascia, sono stati più filosofi che narratori. Pirandello, Kafka e Borges – pur condividendo la stessa visione scettica e negativa della vita – hanno saputo coglierne i risvolti comici e riderne. Per questo si sbaglia a considerarli disperati. Per Sciascia il solo fatto di scrivere è già un atto di speranza.
Insomma siamo di fronte ad un libro importante, sotto diversi punti di vista:
1) È una viva testimonianza, una delle ultime, del grande scrittore siciliano. L’ ultima conversazione è datata 5 ottobre 1989, il mese successivo Sciascia chiuse gli occhi per sempre;
2) Le conversazioni registrate conservano la vivezza e la spontaneità del linguaggio verbale;
3) Molti dei temi trattati si ritrovano in altri suoi libri, ma in questo vengono rivelate fonti insospettate del suo pensiero. Innanzitutto viene sottolineata l’importanza che ha avuto nella formazione dello scrittore la sua prima esperienza lavorativa, presso il Consorzio Agrario di Racalmuto, negli anni quaranta del secolo scorso, durante la Seconda guerra mondiale e subito dopo, quando contadini e piccoli produttori agricoli erano costretti a conferire il grano all’ ammasso comunale. Non a caso questa sua diretta esperienza si collega alla triste storia del cognato di Palmiro Togliatti, Paolo Robotti, sospettato di essere una spia dai servizi segreti sovietici. Il Robotti, pur essendo stato accusato ingiustamente e torturato dalla polizia negli anni feroci delle purghe staliniste, non perse mai la sua fede comunista. E Sciascia rivela che fu proprio Robotti nel 1948 a tenere il comizio nel suo paese natale, ironicamente descritto nelle Parrocchie di Regalpetra, in cui provò a spiegare cosa fossero i kolchos sovietici. I contadini di Racalmuto, osserva argutamente lo scrittore, vessati dall’ammasso obbligatorio del grano, intuirono immediatamente che i kolchos somigliavano tanto agli ammassi italiani: «Ed è allora – aggiunge sornione Sciascia – che il PCI tocca in Sicilia il punto più basso di voti» [7].
Dialoghi Mediterranei, n. 59, gennaio 2023
Note
[1] Leonardo Sciascia, Fuoco all’anima. Conversazione con Domenico Porzio, Adelphi, Milano 2021:131-135.
[2] Ivi: 66. Appare straordinaria la somiglianza di queste parole di Sciascia con quelle del giovane Marx: «La religione è il sospiro della creatura oppressa, il cuore di un mondo senza cuore, lo spirito di un mondo privo di spirito» (K. Marx, Introduzione a Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, ripresa dal volume La questione ebraica, Editori Riuniti, Roma 1974: 92) e con quelle di Gramsci che, nei suoi Quaderni del carcere – dove peraltro si trova una sua diretta traduzione del testo marxiano – dopo aver riconosciuto con Benedetto Croce che, «dopo Cristo, non si può non essere cristiani», arriva a sostenere che le «le idee di uguaglianza, fratellanza e libertà» hanno cominciato a circolare nel mondo grazie al cristianesimo» (Cfr. A. Gramsci, Quaderni del carcere, vol. II, Edizione critica a cura di V. Gerratana, Einaudi Torino, 1975: 1488).
[3] L. Sciascia, op. cit.: 40-41.
[4] Ivi: 43. Compreso, naturalmente, il Sindaco di Racalmuto successivamente ammazzato in una delle piazze principali del paese.
[5] L. Sciascia, Il fuoco nel mare. Racconti dispersi (1947-1975), a cura di Paolo Squillacioti, Adelphi Edizioni, Milano 2010: 175.
[6] Questa testimonianza si trova nell’intervista rilasciata da Leonardo Sciascia a James Dauphiné nel 1987 e pubblicata nel n. 65, novembre 1991: 37-47, della rivista Linea d’ombra diretta da Goffredo Fofi.
[7] Ivi: 114-115. In queste stesse pagine si trova anche un veloce riferimento a Gramsci. Ma qui Sciascia prende un abbaglio affermando che il sardo non ha mai criticato Stalin.
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Francesco Virga, laureato in storia e filosofia con una tesi su Antonio Gramsci nel 1975, fino al 1977 lavora con Danilo Dolci nel Centro Studi e Iniziative di Partinico. Successivamente insegna Italiano nelle scuole medie della provincia di Palermo. Nel 1978 crea il Centro Studi e Iniziative di Marineo che continua ad animare anche attraverso un blog. È stato redattore delle riviste «Città Nuove», «Segno» e «Nuova Busambra». Tra le sue pubblicazioni si ricordano: Il concetto di egemonia in Gramsci (1979); I beni culturali a Marineo (1981); I mafiosi come mediatori politici (1986); Cosa è poesia? (1995); Leonardo Sciascia è ancora vivo (1999); Pier Paolo Pasolini corsaro (2004); Giacomo Giardina, bosco e versi (2006); Poesia e storia in Tutti dicono Germania Germania di Stefano Vilardo (2010); Lingua e potere in Pier Paolo Pasolini (2011); Danilo Dolci quando giocava solo. Il sistema di potere clientelare-mafioso dagli anni cinquanta ai nostri giorni (2012); Giuseppe Giovanni Battaglia, un poeta corsaro, in Aa. Vv. Laicità e religiosità nell’opera di G.G. Battaglia (2018); Eredità dissipate. Gramsci Pasolini Sciascia, Diogene editore Bologna 2022.
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