05 marzo 2024

LE DONNE NELL' OPERA DI LEONARDO SCIASCIA

 


LE DONNE E IL LINGUAGGIO DI SCIASCIA

A proposito di Leonardo Sciascia negli occhi delle donne, un libro di Rossana Cavaliere

 

di Barbara Distefano

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Del sentire con un solo orecchio

Per una personale riluttanza al dovere scientifico di separare autore e opera, di tutti gli scrittori uomini che mi hanno lasciato parole indelebili, nella memoria a lungo termine, mi sono sempre chiesta, da donna, come parlassero e che tipo di linguaggio usassero, nella vita quotidiana e nelle relazioni interpersonali. Nel caso di Leonardo Sciascia, pormi questo interrogativo è stato anche un passaggio obbligato mentre, desiderando scavare nella sua attività didattica, dovevo fare i conti con la volatilità delle sue parole di maestro, e confrontare le indicazioni contenute nei suoi registri scolastici – per esempio quelle sull’uso del dialetto siciliano in classe – con le testimonianze dei suoi ex-alunni. Pur non avendolo mai incontrato per ragioni anagrafiche, devo così tante cose, a questo mio conterraneo illustre – da scoperte letterarie (non ultima, la femminista Elvira Mancuso, ancora sostanzialmente confinata nell’ombra tipica delle scrittrici-“maestrine”), a modalità di pensiero che mi hanno segnato, fino all’inizio della stessa collaborazione con il magazine su cui mi si legge –, che ho spesso sentito il bisogno di recuperare  videointerviste online e riascoltarne la voce, pur percependo questa forma di gratitudine ideale come una minaccia all’obbligo di analizzare il macrotesto dei suoi discorsi in maniera lucida e distaccata (o di “sentirli con un solo orecchio”, per parafrasare un titolo sciasciano). A cominciare da quelle scomodissime parole sulle donne immortalate da Franca Leosini nel 1974 e strategicamente riproposte dall’Espresso per  il centenario della nascita dello scrittore.

Discorsi extra-letterari

Prima di leggere Leonardo Sciascia negli occhi delle donne, un libro di Rossana Cavaliere recentemente pubblicato da Vallecchi che raccoglie interviste tutte al femminile, la mia familiarità con lo Sciascia-uomo si fondava (con l’unica, indimenticabile eccezione di Susi Siino, co-autrice dell’antologia L’età e le età) su aneddoti che ho avuto modo di ascoltare da voci maschili: dai nipoti Fabrizio e Vito, ad Antonio Di Grado, direttore, per volere di Sciascia, della Fondazione omonima. Sebbene, poi, da quando ho cominciato a occuparmi dello scrittore di Racalmuto, si susseguano studi letterari (di donne: Amaduri, Carta, 2013; Cavaliere, 2019; Perrone, 2021) tesi a scagionare lo scrittore dall’accusa di misoginia e conservatorismo reazionario sulla questione femminile, resta il dato innegabile che, nelle occasioni istituzionali in cui mi è stata data parola in quanto studiosa di Sciascia, le donne fossero sempre una netta minoranza.

Il merito del libro di Rossana Cavaliere – già curatrice di una rubrica intitolata Leonardo Sciascia e il femminile per la rivista Todomodo – è non soltanto quello di farci rivedere per la prima volta il linguaggio dello Sciascia-uomo (e dunque il suo discorso extra-letterario) attraverso i racconti di donne che lo hanno conosciuto più o meno da vicino, ma anche quello di partire da una volontà esplicita: «evitare il rischio sia di lasciarsi condizionare dal vecchio preconcetto che avrebbe portato a filtrare tutto attraverso l’attribuzione a Sciascia di una sotterranea ostilità verso il femminile, sia, viceversa, di incappare in uno slancio assolutorio aprioristico» (p. 11).

Uomini e no

Le testimonianze raccolte nel libro di Cavaliere – tra di esse, anche quelle della stessa Franca Leosini, che comincia la sua carriera proprio con l’intervista Le zie di Sicilia, e di Dacia Maraini, che non gli perdona quelle parole del 1974, insolitamente dettate da scarso approfondimento («se avesse parlato di contadini siciliani o di sfruttati d’epoca feudale, non sarebbe caduto nella trappola della banalizzazione della storia patriarcale», p. 110) –, confermano che, anche sul tema della questione di genere, lo Sciascia “uomo del Sud” era lo stesso Sciascia che considerò l’epitaffio «contraddisse e si contraddisse» come suggello della propria esistenza terrena: un uomo che si pronunciò contro il divorzio, ma che ripudiava il modello del matrimonio sfarzoso (pp. 194-195); un marito che qualche volta raccontava storielle di tradimenti, sempre maschili e sempre dalla parte del maschio» (così dalla testimonianza della giornalista corsa Marcelle Padovani, autrice della famosa intervista La Sicilia come metafora, che nota anche come questo retaggio culturale non si riflettesse poi nei suoi schemi di comportamento, p. 164), ma su cui «la letizia della moglie»  – insolitamente per l’epoca, Sciascia era solito sgravarla dal lavoro in cucina (p. 198) – «gettava una luce favorevole» (a notarlo fra le altre è Barbara Alberti, p. 25); lo stesso marito che dichiarò «il matrimonio è stato un avvenimento importante nella mia vita, non fosse che per la serenità che me ne è venuta. Se ho potuto scrivere e lavorare, lo devo in gran parte a mia moglie» (Padovani, 1978); un padre – nome ingombrante per una figlia vittima di etichette scolastiche come «indegna figlia di un padre illustre» (p. 191) –  che si disse contrario all’idea che le donne lavorassero, ma che d’altra parte non esitava a incoraggiare la carriera delle giovani giornaliste, o a chiedere consigli alle donne: «Che ne dici se scrivo di questo?», era solito domandare a Rita Cirio, con cui nel 1978 accettò di condividere la rubrica teatrale dell’Espresso, e a cui affidò il dattiloscritto de L’affaire Moro, affinché lo pubblicasse in anteprima sul “loro” giornale (pp. 40 e 46).

Incoerenza e coesione

Ricordando i complimenti ricevuti dopo la pubblicazione dell’intervista incriminata, sostanzialmente “rubata” allo scrittore (e registrata su nastro) durante cinque giorni di passeggiate romane per bancarelle e libri, Leosini ricorda: «costituivo una sorta di contraddizione in termini delle idee che Sciascia esprimeva sulla donna che lavora. Sciascia era per certi versi un conservatore. A volte mi chiedo se lo fosse davvero o se la sua non fosse piuttosto una provocazione. [...] Troppo intelligente per essere all’antica. [...] Non si fossilizzava sulle posizioni espresse per mero fatto di principio o in nome della coerenza» (p. 95). Sullo scarso interesse di Sciascia per la coerenza e per le critiche, o se vogliamo sulla provvisorietà delle sue parole, sempre aperte alla confutazione, si sofferma anche Dacia Maraini, che con le sue critiche ispirò allo scrittore La strega e il capitano, storia di una donna accusata di stregoneria e vittima dell’Inquisizione: «forse anche incalzato dalle femministe, Sciascia ha poi rivolto la sua acuta intelligenza alla storia delle donne nel passato oscurantista della Chiesa [...]. A volte si divertiva ad andare controcorrente, e non gli importava di passare per uno che si contraddice. [...] Di Sciascia credo sia importante ricordare prima di tutto la sua libertà intellettuale. Una libertà alla quale lui teneva tanto da trasformarlo a volte in un nemico delle proprie stesse convinzioni» (pp. 110-111). O anche, come ricorda Elisabetta Sgarbi ripercorrendo la pubblicazione per Bompiani di Alla piacente di Gabriele D’Annunzio, in un amante di scrittori tecnicamente nemici: «Ricordo la fibrillazione di Sciascia quando parlava del poema, come lo teneva in mano, quasi fosse qualcosa di incandescente. Questa adesione così carnale di Sciascia a un poema erotico di un autore molto distante da lui, come spiega nella sua introduzione, mi sembrava una sorprendente contraddizione con il suo modo di essere» (pp. 236-237).

Lo stile del rispetto

Oltre che informazioni sulla storia di alcuni classici della bibliografia sciasciana (per esempio l’intervista La Sicilia come metafora, che fu condotta in italiano, ma pubblicata prima in francese), Leonardo Sciascia negli occhi delle donne contiene anche utili informazioni sulle competenze dello scrittore nelle lingue straniere: «parlavamo in francese per la quotidianità. [...]  Aveva una dizione francese impeccabile», attesta Marcelle Padovani (p. 158), mentre sulle modalità di comunicazione con Borges Rita Cirio testimonia che «ognuno dei due scrittori parlava la sua lingua, ma si capivano perfettamente» (p. 51). Le informazioni più interessanti, sono, però, quelle che illuminano lo stile comunicativo dello scrittore, evidentemente in contraddizione con il modello di linguaggio che rispecchia rapporti di potere e tende ad assoggettare la donna (Scarpa, 2021). Tutte le donne sentite da Rossana Cavaliere confermano, infatti, l’immagine di un uomo che parlava poco e, per indole, per quanto immerso in un sostrato culturale preciso, difficilmente avrebbe potuto dire «Stai zitta» (Murgia, 2021) a una donna o non ascoltare un interlocutrice: «un uomo pacato, che trasmetteva tranquillità» e non conosceva la collera (p. 188), che «poteva essere amaro e tagliente, ma mai offensivo e violento», e che sapeva anche lasciarsi andare al pianto, come successe alla notizia della morte di Pasolini (p. 213). Un uomo mite,  che vedeva nelle vuote discussioni burocratiche una strategia per spegnere il reale dibattito e rimandare la soluzione dei problemi politici reali (p. 147), un ex-maestro che con poche parole riusciva a rendere fruibili anche i concetti filosofici più astrusi (pp. 190-191), che parlava lentamente, con una forte cantilena e inflessione dialettale, e con quello stile «conventuale» di cui parlò Marcelle Padovani, e che oggi, grazie a questa nuova intervista, comprendiamo meglio: «Parlava come scriveva, nessun vocabolo andava sprecato [...]. non dava mai l’impressione di cedere alla facilità, come se avesse una specie di rispetto interiore per ciò che aveva appena detto, sostenuto; aveva un rigore che si poteva paragonare al clima dei conventi dove le parole, più che inventarsi, si ripetono» (p. 146).

Bibliografia

AA. VV., La donna, le donne nell'opera (e nella Sicilia) di Leonardo Sciascia, a cura di Anna Carta ed Agnese Amaduri, Acireale-Roma, Bonnano Editore.

R. Cavaliere, Figure femminili nella narrativa poliziesca di Sciascia: il caso della vedova Roscio, tra realismo e strategie ironiche, in Leonardo Sciascia (1921-1989). Letteratura, critica, militanza, a cura di Marina Castiglione e Elena Riccio, Palermo, Università di Palermo, 2020.

G. D’Annunzio, Alla piacente, a cura di Leonardo Sciascia, Milano, Bompiani, 1988.

B. Distefano, Sciascia maestro di scuola, Roma, Carocci, 2019.

L. Sciascia, Le zie di Sicilia, intervista di Franca Leosini, in "L'Espresso", 27 gennaio 1974.

L. Sciascia, La Sicilia come metafora, a cura di M. Padovani, Mondadori, Milano 1979.

L. Sciascia, Del dormire con un solo occhio (1987), in Per un ritratto dello scrittore da giovane, Milano, Adelphi 2000, pp. 11-31.

M. Murgia, Stai zitta, Torino, Einaudi, 2021.

R. Scarpa, Lo stile dell’abuso, Roma, Treccani, 2021.

https://www.amicisciascia.it/amici-di-sciascia/rubriche-del-sito/sciascia-e-le-donne/item/714-anna-maria-sciascia-“leonardo-sciascia,-mio-padre”-–-i-parte.html

 

Articolo ripreso dal sito della TRECCANI  agosto 2023

 


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