29 aprile 2017

DANILO DOLCI E GOFFREDO FOFI. 1 e 2

Goffredo Fofi e Danilo Dolci nel 1957

CON VIOLENZA E CON AMORE
Intervista a Goffredo Fofi
di Marcello Benfante

È un fiume di parole, Goffredo Fofi. La sua voce pulita, in cui s’indovina dolcezza e ironia, corre rapida a ripercorrere i lunghi anni del suo rapporto con Palermo e la Sicilia. Il 29 aprile, quasi festeggiare il suo ottantesimo compleanno caduto due settimane fa, Fofi riceverà la cittadinanza onoraria di Palermo, un riconoscimento, ci dice, che lo riempie di gioia.
“Il mio rapporto con Palermo dura da sessant’anni e comincia con Danilo Dolci che mi spinse, anzi mi istigò, nel 1957 a calarmi nella realtà del Cortile Cascino, dove ho trascorso un anno, intenso e terribile, precipitando dentro la vita, con violenza e con amore. È stata un’esperienza in qualche modo mistica, come nel Medioevo quando i santi venivano gettati nella fossa dei serpenti e ne uscivano miracolosamente intatti. Da quella comunità di circa un migliaio di persone - ché i miei rapporti non erano soltanto con i bambini, ai quali insegnavano, appena diplomato maestro, le nozioni più elementari - ho imparato tutto. Il Cortile Cascino, dico sempre, è stata la mia università. E lì che ho imparato a sentire la necessità di occuparmi del prossimo, che la cultura è fatta di rapporti umani e significa in primo luogo comprensione dei bisogni sociali.
A quel tempo chi faceva volontariato era una piccolissima minoranza. Ci si conosceva tutti, in Italia. Avevamo grandi speranze di poter cambiare il mondo con il nostro intervento, che oggi sono svanite del tutto. Oggi il volontariato costituisce una vasta maggioranza che ovviamente non ha alcun interesse a cambiare davvero e radicalmente la società, ma soltanto, nella maggior parte dei casi, a ricavare e mantenere un proprio utile”.
Ma anche dopo il drammatico esperimento del Cortile Cascino, tu hai mantenuto un rapporto privilegiato con la realtà palermitana.
“Non ho mai cessato di dialogare con Palermo. Anche nel ’68, con Vincino e con altri. E poi soprattutto dopo le stragi mafiose del ’92 con un gran numero di persone da Letizia Battaglia a Ciprì e Maresco, da Roberto Alajmo a Roberta Torre o Emma Dante, e poi gli amici delle riviste, più o meno piccole, da Segno a Nino domani a Palermo. A un certo punto, in quegli anni di rinnovamento e di ribellione, cercai di convincere Vincenzo Consolo a tornare in Sicilia, ma lui giustamente se ne guardò bene. Il mio cuore è rimasto molto attaccato a questa città. Di Gubbio, dove sono nato, amo soprattutto le pietre, il sentimento che ho con i morti, di cui ascolto la voce. La Sicilia è stata per me la scoperta della vita. Allora, quando vi giunsi la prima volta, la Sicilia era davvero una nazione, vi accadevano fatti che realmente incidevano sul corso della storia. Ricordo, per esempio, quando ci recammo, io, Ciccio Busacca e Ignazio Buttitta a trovare la madre del sindacalista Turi Carnevale ucciso nel ’55 dai mafiosi, in una Sciara desolata, con la gente rintanata che ci guardava e ci ascoltava da dietro le persiane socchiuse. Era un altro mondo. Oppure la prima volta che ho assistito all’Opera dei Pupi. E quando ho visto in un piccolo teatro una coppia di comici quasi sconosciuti: Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. E poi c’era ovviamente anche la Palermo colta, illuminata, quella del diritto. Nino Sorgi, per fare un esempio significativo. Sono stati anni di straordinaria formazione non solo intellettuale. Palermo mi ha dato moltissimo. Assai più di quanto ho potuto darle io”.
A un certo punto è avvenuto un distacco, forse doloroso ma necessario, da Danilo Dolci e soprattutto da una certa metodologia dolciana di inchiesta e di organizzazione politica…
“Danilo Dolci era un agit-prop straordinario, un leader di grande lucidità politica, ma accadeva che talvolta si chiudesse nelle proprie riflessioni, e ciò rendeva difficile il dialogo. Aveva un modo gentile ma perentorio di chiudere le conversazioni con questa frase: “Io capisco quello che vuoi dire tu e tu capisci che voglio dire io”. Dopo di che il discorso era finito. Si alzava e se ne andava. Un po’ alla volta molti compagni si staccarono e intrapresero una strada diversa, soprattutto un’ala più libertaria. Poi arrivò lo sviluppo, ovviamente distorto. Si costruirono le dighe. E anche questa crescita malsana andava a scardinare le battaglie di emancipazione fin allora condotte dai contadini. Tentammo una breve esperienza simile in Calabria, ma il movimento non attecchì. Allora Raniero Panzieri, che era stato dirigente del PSI in Sicilia, mi suggerì di andare a Torino. Era lì che si spostava lo scontro di classe, perché i contadini emigravano, si inurbavano e diventavano operai. Ma anche a Torino, dove lavoravo all’Einaudi, continuò il mio rapporto con la Sicilia. Tra i primi libri di cui curai l’editing vi fu “L’isola appassionata” di Bonaventura Tecchi, uno scrittore allora molto importante. E subito dopo “Mafia e politica” di Michele Pantaleone, che tante querele e cause gli portò. Di Pantaleone ricordo le meravigliose lenticchie di Villalba che ci portava!”.
Palermo oggi sta attraversando un periodo controverso, forse di stasi e forse di rinascita. Recentemente è stata insignita del gratificante titolo di capitale italiana della cultura 2018. Come giudichi questa stagione culturale di Palermo?
“Io non credo più alla cultura, ormai. Mi sembra, per usare un linguaggio antico, un modo per ingannare il popolo. La cultura oggi serve a far girare il denaro e addormentare la gente. Io penso che una cultura slegata dall’azione, da un concreto operare per trasformare la società, sia soltanto una forma di narcisismo. Per cui se questo titolo di capitale della cultura potrà far nascere iniziative volte alla conoscenza della realtà nell’ottica di un cambiamento, di un riscatto collettivo, allora ben venga. Altrimenti non credo serva a molto”.

(Republica-Palermo 29 aprile 2017)


Riprendo di seguito due commenti presi dal mio diario FB:

Giovanna Nobile la diga appartiene alle crescite malsane? non capisco. Incontrai Fofi a Pisa durante le celebrazioni del cinquantesimo dello sciopero alla rovescia di Danilo e fu un evento straordinario. C'era anche Paolo Benvenuti il regista di SEGRETI DI STATO e Alberto Castiglione che aveva realizzato da poco MEMORIA E UTOPIA. Furono giornate intense di presenze legate a Danilo e Fofi mi dette l'impressione (che poi divenne per me certezza) di avere nei confronti di Danilo qualcosa in sospeso.
Francesco Virga Non credo che Goffredo addebiti a Danilo lo sviluppo distorto che ha avuto la nostra isola. Fofi in questa intervista, come in tanti altri luoghi, pur riconoscendo i meriti di Dolci ne ha segnalato i limiti ( di cui nessun uomo, per quanto grande, e' privo). In particolare ha voluto ricordare un tratto tipico del suo modo di relazionarsi con i collaboratori piu' autonomi e critici. Al riguardo posso riferire la mia modesta esperienza diretta: dopo circa due anni di lavoro al suo fianco, a meta' degli anni 70, non appena cominciai a fare qualche osservazione critica sul suo operato, mi chiamo' in privato e con la sua consueta elegante arte oratoria mi disse: caro Franco, ormai sei cresciuto e puoi camminare con le tue gambe. Vai a costruire un Centro Studi a Marineo!

Giovanna Nobile la tua esperienza è stata anche quella di Pino Casarrubea e qualche altro. Da un lato, da ciò che hai scritto, mi sembra una nota di pregio nei tuoi confronti (visto ciò che hai prodotto e produci aveva ragione lui) e dall'altra ho sempre pensato che chi ha un progetto a lungo termine come aveva lui nella sua mente, va avanti come un treno nella notte. Non ho strumenti per valutare il suo operato tranne quelli sotto gli occhi di tutti, tipo la diga e i suoi scioperi per la fame della nostra terra, fame di tutto ciò che poteva portare fuori dalla miseria la nostra gente. L'ho avuto come vicino di casa e amico di famiglia oltre alla frequenza di mio fratello e il suo volerlo sempre al fianco tanto che Libera (sua figlia) una volta mi disse QUANDO VEDO GIUSEPPE VEDO MIO PADRE.
Per quanto riguarda Fofi, resto sempre molto perplessa.


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