24 aprile 2017

DON MILANI "RIABILITATO"



Sulla “riabilitazione” di don Milani

Il teologo Gennari commenta la “liberazione da quell’ombra” del libro “Esperienze Pastorali”, “nel 1957 fatto ritirare dall’ex-Sant’Offizio”.
GIANNI GENNARI

In questi giorni grande clamore, da parti diverse e anche opposte, sulla cosiddetta “riabilitazione” di Don Milani da parte della “Chiesa Cattolica”, l’arcivescovo di Firenze ha ricordato che don Lorenzo non è mai stato formalmente dichiarato fuori delle comunione e della ortodossia cattolica, e che di recente è stato ribadito che il suo libro – l’unico che abbia scritto interamente da solo – “Esperienze Pastorali”, che nel 1957 era stato fatto ritirare dalle librerie cattoliche per ordine dell’ex-Sant’Offizio, è stato liberato da quella ombra che fece soffrire lui e tanti nei decenni successivi. L’eco di questa notizia sui giornali laici è diventata una “riabilitazione” vera e propria della fede di don Lorenzo, come se fino a oggi la Chiesa come tale lo avesse considerato al di fuori, una specie di “eretico”, fuori dell’ambito della fede e della disciplina cattolica.

Non è così. E allora vale la pena anche qui, su Vatican Insider, che allarga i suoi punti di arrivo e di diffusione, ricordare che nel corso della sua stessa vita, terminata nel giugno 1967, e piena anche di sofferenze vere per l’incomprensione di superiori ecclesiastici, dovute anche al suo originale modo di aggredire i problemi e di delinearne le conseguenze di società e anche di Chiesa, don Lorenzo fu apprezzato e stimato da tanti credenti, anche da Paolo VI, e che ben presto, da decenni, la sua memoria è stata indicata anche apertamente come degna e ammirevole testimonianza di fede. 

Ecco allora che vale la pena di ripercorrere alcuni fatti reali, in una prospettiva di fede ecclesiale, sebbene non troppo “ecclesiasticamente” aggiustata. In essa infatti la Provvidenza scrive dritto anche sulle nostre righe storte. Non si tratta soltanto di ricordare che Paolo VI apprezzava don Milani, ancora vivo, lo stimava, e gli ha inviato più di una volta offerte per la sua "scuola". 

Ma è necessario ricordare che anche lo stesso libro "Esperienze Pastorali", del quale si parla come di una riabilitazione odierna, ebbe all’origine il nulla osta dell'Arcivescovo di Firenze e una lunga e positiva prefazione dell'arcivescovo di Camerino, monsignor Giorgio D'Avack, datata 12 settembre 1957 – ne ho davanti una copia originale – e che solo poi, durante il pontificato di Papa Giovanni, informato soltanto in modo non benevolo su di lui, fu “attenzionato” dal Sant'Offizio di allora, che del resto qualche anno prima aveva anche trattato allo stesso modo "Famiglia, piccola Chiesa" del grande testimone di fede e amore fratel Carlo Carretto. Don Milani morì a giugno del 1967, e può davvero dirsi che fu vittima di una certa opinione di Chiesa allora per tante ragioni, alcune obiettive, altre di opportunismo politico, come ossessionata quasi unicamente dal problema del comunismo, che allora era problema reale, non solo dentro i confini della Chiesa e dell’Italia del tempo.

Chiunque si apriva verso i poveri, e verso la gente allora lontana per tante ragioni, era accusato di filo-comunismo: toccò del resto anche allo stesso Papa Giovanni, cui nel 1963 si dette apertamente la colpa di aver fatto perdere qualche milione di voti alla Dc di allora per la sua accoglienza ad Agiubej, genero di Krusciov, e per la “Pacem in Terris”, ridicolizzata da noi da certa stampa come "Falcem in Terris".

La storia è complessa: è vero che Don Lorenzo non fu capito, e non fu amato dall'arcivescovo Florìt, che parve accorgersi di lui in modo pastoralmente diverso solo negli ultimi giorni, e cercò di incontrarlo sul suo letto di morte, ma don Lorenzo fece capire che era "troppo tardi".

Dunque la realtà dei fatti dice che don Milani ebbe vita dura e fu trattato con pesanti disposizioni dai superiori ecclesiastici del suo tempo, ma non fu mai esplicitamente condannato dalla Chiesa come tale, non fu mai scomunicato. Egli non solo non negò mai alcuna verità di fede, ma fu anzi testimone di fede luminosa ed esigente. Personalmente non sono mai riuscito a leggere la sua "Lettera a Pipetta", che termina con l'evocazione delle Beatitudini e del Regno dei Cieli senza commuovermi e anche piangere.

Ma si potrà dire che questa è solo faccenda di Gianni Gennari, noto "rosso" anche lui? Si potrà, ma solo da chi resta alla superficie delle cose di cui pure tratta facendosi maestro, ma che purtroppo ignora in tanti punti essenziali. Oggi l'arcivescovo di Firenze, il cardinale Giuseppe Betori, ha ricordato che don Lorenzo non è mai stato messo fuori dalla comunione ecclesiale, e che il provvedimento dell'allora S. Offizio si doveva a certe circostanze di allora, per fortuna oggi superate in ogni senso: il libro di don Lorenzo, come tutti gli altri scritti sotto la sua guida di prete e maestro - tra l'altro "Esperienze" è l'unico tutto e soltanto suo! - è ovviamente anch'esso discutibile, ma resta un libro pienamente cattolico, da prete e da maestro.

Ma non basta: a chi scrive che solo "oggi" è riabilitato, e magari se ne dice contento, non può essere permesso di ignorare che una vera rivalutazione di don Lorenzo è già avvenuta quasi quarant’anni orsono. Su Avvenire di fine giugno 1977, e per due giorni di seguito, con il consenso anche di papa Paolo VI, nel decimo anniversario della morte di don Lorenzo uscirono due grandi articoli di don Silvano Nistri sulla sua lezione di fede e di amore. La prima ha per titolo "Ha vissuto solo di fede", e poi aggiunge: "A 10 anni dalla scomparsa di Don Milani un messaggio da riscoprire". Era il 1977 - trentasette anni da oggi! Non basta: il giorno dopo, sabato ancora un articolo di don Silvano Nistri, con questo titolo: "Fu segno di contraddizione". Segno che nella Chiesa - Avvenire era ed è giornale che può dirsi della Chiesa, vero? – non si metteva la testa sotto la sabbia, e si conoscevano i fatti della realtà.

Non basta ancora: proprio in quella stessa pagina pubblicata il secondo giorno, il primo colonnino dava a sorpresa la notizia ufficiale, appena giunta, delle "dimissioni" del cardinale Florit, che quindi proprio in quel giorno concludeva il suo ministero di vescovo a Firenze. Le dimissioni gli erano state “richieste” autorevolmente dal Papa, Paolo VI, che avendo allora l’intenzione della "rinuncia" al compimento dei suoi 80 anni, quindi a fine settembre 1977, come egli stesso aveva stabilito per tutti i vescovi con il decreto "Ingravescentem Aetatem" del 1970, voleva dare il buon esempio, e come primo provvedimento volle inviare a Firenze monsignor Giovanni Benelli, l'uomo forte del suo pontificato, facendolo cardinale, come effettivamente fece pochi giorni dopo. Ecco la vera sorpresa: nella stessa pagina, dello stesso giornale certamente di Chiesa le due cose insieme: “glorificazione” pur postuma di don Milani e della sua testimonianza di fede e di servizio agli ultimi – già nel 1977 e non solo "oggi" – e la fine della carriera “ecclesiastica” – quella “ecclesiale” la giudica solo il Signore – di un suo Vescovo che non lo aveva né capito, né certamente amato. Per me, lo scrivo sorridendo e quasi per scherzo, ma sotto forse c'è anche qualche verità grande, questa doppia presenza simultanea - la gloria di don Lorenzo e l'uscita di scena del suo non benevolo pastore - sono quasi una prova, sebbene non ontologica come quella di s. Anselmo, o come le "Cinque vie" di San Tommaso, della esistenza della Giustizia misericordiosa di Dio, che "gioca sulla faccia della terra" (Prov. 8, 31) e appunto, scrive dritto anche sulle righe storte.

Potrebbe bastare, ma per chi leggerà - a partire da Ichino sul "Corsera", Furio Colombo che ne ha scritto sul "Fatto", e altri che come pecorelle docili seguiranno la linea del giudizio facile - tanto non smentisce nessuno! - aggiungo anche qualcosa di altro. Sette anni orsono, il 26 giugno 2007, sempre su Avvenire, uscì un ampio pezzo che ricordava la lezione di fede e di amore a Dio, e anche alla sua Chiesa di don Lorenzo, non soltanto "maestro" e "riformatore sociale", ma "prete", autentico prete fino nell'intimo della sua carne che si è fatta mangiare dai suoi ragazzi, e un po' anche dalle incomprensioni di ieri, ma anche di oggi, di certi uomini di Chiesa certamente, ma anche di improvvisati scopritori del suo messaggio senza riconoscerne la sorgente autentica nell'amore di Dio in Cristo, nella Chiesa e nel suo prossimo più prossimo allora. Questa – riconosciuta o meno ufficialmente - è la santità vera.  

Gianni Gennari su  LA STAMPA, 22 aprile 2017

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