23 gennaio 2023

LE MAESTRE D'AMORE DI SHAKESPEARE

 


LE MAESTRE D’AMORE DI SHAKESPEARE

di Mario De Santis

Ci sono molti motivi per leggere questo bellissimo libro di Nadia Fusini “Maestre d’amore” (Einaudi, 2021 p 186)  dedicato alle figure femminili in Shakespeare e a come, attraverso loro, il Bardo all’inizio della modernità abbia espresso un controcanto o controcultura dell’amore, rispetto al main stream stilnovista (durato a dire il vero in un certo senso fino a Montale se non oltre). L’amore era letteratura e discorso maschile, per via di potere della parola in un solo genere (salvo meravigliose eccezioni)  in cui la donna era eletta angelicata ma silente.

Il “discorso d’amore”, ricorda Nadia Fusini, è storico, fatto di “metafore che mutano (..) in un campo semantico animato da ambiguità, contiguità e contrasti” e che “grazie a scivolamenti appena percettibili di senso, cambia l’orizzonte delle nostre esistenze, che prendono forma e significato per l’appunto all’interno di un universo linguistico”. Non c’è stato certo lo stravolgimento novecentesco, nonostante la fama del drammaturgo inglese, ma quello che ci mostra Nadia Fusini è come dentro Shakespeare si compia nelle figure femminili una sorta di anticipazione della modernità, modulata nello scarto dalla norma amorosa fatta dalle figure femminili (le personagge)  rispetto a quelle maschili che agiscono ancora dentro quella logica del “discorso del padrone”, come scrive Fusini citando Lacan. Certo, è vero che l’amore cortese dominerà e muterà pelle,  con la società borghese, nell’immaginario sociale del Romanticismo ottocentesco della passione, in funzione di una stabilizzazione del matrimonio-cellula capitalista ( e ancora domina l’immaginario contemporaneo tra cinema, canzone, media e social, basta guardare le saghe in cronaca rosa dei reali o delle star del pop). Tuttavia il genio di Shakespeare con i personaggi femminili Shakespeare crea queste “maestre”  di un discorso d’amore alternativo dentro la sua epoca e germinatore di una controcultura delle relazioni a cui ancora oggi possiamo guadare come inizio (early, la definisce Fusini) modernità.

Giulietta, Ofelia, Desdemona e le altre recita il sottotitolo del libro. Esse sia nelle tragedie che nelle commedie, attuano non solo quella riscrittura  delle metafore del codice amoroso come si diceva, ma , chiedono un diverso comportamento, concretamente. Va detto che il libro è anche molto più di un saggio letterario. L’attraversamento della materia shakespeariana, utilizza tanti strumenti, dalla filologia (Fusini è anche una delle traduttrici più importanti nella scena internazionale) alla psicoanalisi, con sapiente finezza interpretativa, spazia poi con lo sguardo sull’orizzonte ampio della storia fino al nostro tempo.  Non c’è bisogno di ricordare la lunga militanza critica, letteraria e femminista di Nadia Fusini. La stessa scrittrice e studiosa ci ricorda : “il mio modo di essere una donna di oggi modella il fuoco della domanda”, con il rischio di “proiettare” il proprio pensiero sull’epoca elisabettiana. Tuttavia proprio perché, come precisa ancora Fusini, nonostante i  nostri strumenti late modern, “il mistero d’amore “ resiste, questi personaggio possono faci “da specchio, perché diventassimo grazie a loro quello che siamo”. Ecco, come lettore proprio per questo posso affermare (anche il recensore azzarda la prima persona singolare) che “Maestre d’amore” diventa uno di quei libri che ci parla di una modernità anche nostra facendo di Nadia Fusini medesima (come sanno lettori e generazioni di studenti che hanno avuto la fortuna di frequentare anche per un solo anno – come chi scrive – i suoi corsi universitari) ella stessa maestra d’amore.

L’epoca di Elisabetta I era certo speciale, sottraendosi a matrimonio e maternità ebbe certo una grande influenza anche sulla letteratura contemporanea, come testimonia la moda del tempo dei sonetti d’amore (compresi quelli del Bardo scritti quando i teatri furono chiusi) usati come mondana pratica di un omaggio di corte a her majesty. Tuttavia in quella  prima modernità accadeva con Shakespeare che il sapere classico e medievale nella dialettica dei personaggi in scena, compie una metamorfosi, una danza rivoluzionaria in un certo senso, proprio nei personaggi femminili. “La donna è l’ora della verità per un uomo” scrive Nadia Fusini che aggiunge di aver scritto questo libro “ per dimostrare la verità di tali parole”. Anche noi lettori possiamo leggerlo parafrasando un famoso slogan ( il privato è critico) a partire dal nostro essere donne o uomini di oggi. Così come per chi scrive, maschio adulto,  è accaduto con l’insegnamento di Biancamaria Frabotta, compagna di quella militanza letteraria e politica di Nadia Fusini, si comprende, anche con un libro come questo,  che l’ideologia dell’amore andava riscritta ancora più radicalmente di quanto la società invece ancora oggi non faccia, tanto quanto fanno nelle opere queste maestre d’amore di Shakespeare.

Al grande drammaturgo il merito di aver fatto balenare due insegnamenti fondamentali che Fusini mette in luce: che “l’amore” da una lato è un codice di potere maschile (nonostante ancora oggi sia praticato da quella che editori e librari classificano come letteratura femminile ) che è continuamente un repertorio di equivoci, perché ingabbia promettendo bene e fusione dei due amanti, la grande illusione. Non a caso nella “Dodicesima notte” la fusione dei due-in-uno, come da Platone in poi si è sempre codificato, è un trucco, giocato sui fratelli twins Viola e Sebastian che si scambiano i ruoli maschile-femminile rispetto ai destinatari del gioco amoroso Orsino  e Olivia. E’ come fosse un senhal anti-platonico, anti-romantico. Ritrovare la propria metà è una proiezione d’egotismo, non ha a che fare con l’Altro reale, che è un “tu”, persona differente da “io”. Quel sogno d’amore è solo un paravento linguistico idealizzante, che sia ridicolo equivoco, sia sovrastruttura che sostiene una dinamica di potere di un genere dominante. Quello che è invece irriducibile, la verità profonda che sta sotto quel codice amoroso, è Eros, energia rivoluzionaria permanente, che non vuole stare in legami predefiniti. Shakespeare ovvio non è un hippy che canta il free love. Ma nell’esempio delle varie ladies di tragedie o commedie vediamo in azione una “volontà”, scrive Fusini,  che rompe gli inganni.

Così anche il prendere la parola di Giulietta e spostare verso il rapporto vero, un patto paritario con Romeo, di wife-husband  nasce con la stessa Giulietta che fa la dichiarazione, che prende la parola: “I joi in thee” dice a Romeo, per prima e all’improvviso. Lo accoglie, nella notte d’amore, egli è anche concretamente marito dopo il matrimonio segreto, ma non come esaltazione dell’ happy ending matrimoniale ( si sposano, come scelta di trama inevitabile, era pur sempre il ‘600). Quel che conta è che  Shakespeare mette in moto un altro amore con Giulietta, ci spiega Fusini, in un “duetto” in cui Eros è un vissuto concreto dell’amore sensuale (Joi) e in questo viverlo assieme essi sono dei “con-viventi”. La  “vita nova” a cui invitano le donne shakespeariane, insomma,  è opposta a quella a cui invitava Dante o lo stesso amore dei Sonetti: ma passa per la esplicita pratica reciproca della vitalità del corpo soggetto,  anche dentro i dissidi della mondanità, patita, sofferta, ma anche goduta. Non il Fin amor o itinerario di un maschio poeta verso la grazia celeste, ma la libertà di un volere in terra. A questo deve servire l’amore, fatto in due in orizzontale (in tutti i sensi).

Non è facile, nel maschio e nella femmina ancora oggi il codice culturale,  il linguaggio di un amore che stabilisce i ruoli rigidi,  ça parle, come diceva Lacan. Sottrarsi, sebbene nello spazio  di un mondo possibile quale è il cerchio magico del teatro (ma era già moltissimo per il suo tempo)  ai codici per restituire alla dimensione di metamorfosi continua di Eros le nostre vite. Lo fanno Antonio e Cleopatra, “mutual pair” di reciprocità in eccessi erotici, in cui la coppia è fatta “non di identità ma di corpi” scrive Fusini che sottolinea come questa fluidità si manifesti ad esempio nel gioco erotico del travestitismo. In loro ci sarà l’eccesso tragico di questa dismisura di eros, che li porta vivere fino alla morte, ognuno nel suo acuto lacerante di eros, ma in qualche modo il patto laico tra i due sta nel fatto che siano tanto con-viventi che “commorienti”, creando insieme un sodalizio tra pari. Questa è una delle lezioni delle Maestre d’amore rivoluzionarie rispetto alla cultura dominante ai tempi di Shakespeare ed esempio anche per noi. Se si vuole è lo stesso contrasto che c’è tra legge e mascolinità e il sentimento o passione definita femminile in Antigone o Medea, ma è significativo che in “Misura per misura”,  quando Isabella, vergine che sta per prendere i voti interviene in difesa del fratello Claudio, reo di illegittima fornicazione e instilla una seduttiva goccia di dubbio nell’integerrimo Angelo, il censore integralista.

Lo fa, dice Fusini, quando intercede per il perdono di “un peccato che detesta”, ma per mettere al centro la dimensione umana là dove la legge modella e sottomette la persona. Insomma quando la legge regola e reprime quelli che oggi chiamiamo diritti personali . E’ una volontà del sentire soggettivo, non una passività dell’obbedienza di un oggetto, seppur angelicato, del solo desiderio altrui. Come la principessa di Francia, in “Pene d’amor perdute” che irrompe sulla scena con la comitiva maschile del re di Navarra e i suoi tre nobili amici che si era ritirata in una palestra di amoroso e filosofico sodalizio,  tutto maschile, di stampo cavalleresco (sarebbe stato, secondo alcuni studi,  proprio il dice dei cavalieri medievali, tutto maschile a costituire la base della poesia cortese dei trovatori). Al cospetto delle dame, i maschi danno vita appunto ad un corteggiamento, ma la  principessa di Francia e le altre dame non vogliono quella forma di amore e impongono diverse “misure”.

Anche il corteggiamento è una repressione monologica, se pure mascherata da omaggio alla Midons. Eros è il vero nome della diversa relazione, insieme a Filìa”, amicizia. Una solidarietà tra viventi. Eros e Amicizia, in qualche modo frantumano “Amore” codice medievale di dominio. Per chi ama, l’amore è sempre una ferita che resta aperta, perché affonda in ferite e fantasmi e dinamiche interiori più ampie e nessun amante colmerà l’amato di questo solco, mai in una posizione di singolarità, ma in un sottofondo – come si evince soprattutto dalle commedie di Shakespeare – di una “comunità degli amanti” in una società di capitale amoroso votato non al profitto ma al dono e al dispendio. Vivere il Joy, il plus del godimento, come insegnano le maestre d’amore, fino in fondo alla vita stessa, in una con-vivenza reciproca di comunità, magari consapevoli che la società non è capace recepisce, ma nella disobbediscono ai dettati della legge e dell’ideologia d’amore, si impone una diversa dinamica, quello del desiderio, che è sempre trasgressivo, trascende anche l’egotismo delle sole identità sessuali e nell’esempio delle “Maestre d’amore” cogliamo la necessità di superare la rivendicazione del sé, a favore di un Eros che sia  sempre, nel concreto dell’azione sociale e nel Joi dello scambio sensuale intimo, una vita convissuta.

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