“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.” Antonio Gramsci
20 febbraio 2025
FRANCO "Bifo" BERARDI DOPO GAZA
COME PENSARE DOPO GAZA?
Paolo Vernaglione Berardi
20 Febbraio 2025
Di fronte al 7 ottobre «la maggioranza degli israeliani ha perduto l’appartenenza al genere umano, il senso della pietas, il sentimento di empatia senza il quale ogni crimine è legittimato perché non se ne percepisce l’orrore». C’è un libro urgente e necessario che mostra lo spazio storico-politico che viviamo e la soglia etica che il mondo ha attraversato: questo libro è Pensare dopo Gaza. L’autore è Franco “Bifo” Berardi. Un libro per non smettere di pensare di fronte al genocidio dei palestinesi, uno spartiacque nella storia, e allo stato di guerra planetaria in cui siamo stati gettati. Ma soprattutto un libro per comprendere, per provare a capire in profondità, perché solo quando avremo compreso, potremo forse «dimenticare l’identità e quindi scoprire una dimensione non storica, non politica, nella quale sia possibile l’amicizia e la gioia…»
Beit hanoun, nord della striscia di Gaza. Foto del progetto SOS Gaza
C’è un libro urgente e necessario che mostra lo spazio storico-politico che viviamo e la soglia etica che il mondo ha attraversato. Questo libro è Pensare dopo Gaza. L’autore è Franco “Bifo” Berardi, che ha condensato qui la riflessione più densa e acuta che da anni conduce sul disastro del mondo e l’agonia terribile di ciò che fino a pochi anni fa si chiamava ancora “occidente” e che oggi non può che chiamarsi luogo terminale di passioni tristi e della débacle della speranza.
Bifo dice la verità, oggi rarissima, sulla fine della democrazia liberale, ridotta a retorica che non può più nascondere l’ignavia criminale della civiltà e lo stato di guerra planetaria in cui siamo gettati. Il primo elemento di riflessione che emerge dalla lettura è proprio questo, che di fronte al disastro c’è una consapevolezza sfocata che la guerra è qui, non solo nei numerosi fronti aperti in paesi che a stento ricordiamo nel regesto quotidiano della distruzione.
A comporre il testo di questi giorni c’è il senso forse più acuto della disfatta dell’Europa e questa evidenza è il pregio maggiore della dolente registrazione di eventi compiuta da Bifo, in questo accompagnato dalle recenti riflessioni del filosofo Giorgio Agamben.
Attraversando il paesaggio di rovine in cui si compie il destino dell’occidente l’autore ricorda che Deleuze e Guattari in Millepiani definiscono il fascismo come una situazione in cui la guerra è in ogni nicchia. Siamo negli anni del «tecnofascismo che si manifesta biopoliticamente come sterminio illimitato». È infatti nello spazio infinito aperto dalla luna alle rotte marziane e oltre che si dispiega la geopolitica della morte.
Da anni Bifo è osservatore lucido e critico puntuale dei danni irreparabili del capitalismo. Il suo attivismo intellettuale, artistico e politico dal ’77 ad oggi disegna un arco lungo di sviluppo dell’unica teoria critica possibile, quella che rileva i nessi tra le trasformazioni dell’intelletto sociale, i dispositivi di gestione della vita e le forme di soggettivazione dalla seconda metà dello scorso XX secolo.
Nel 2023 il suo precedente saggio, Disertate, da cui la rubrica “Il Disertore”, segna il momento di svolta della crisi antropologica e psichica dei poteri di sterminio, nella demenza senile, nel movimento reazionario mondiale e nell’esodo delle ultime generazioni dal mondo marcio, che è il capitolo finale della vita sulla terra.
In una delle ultime rubriche, ripubblicate qui su Comune, l’autore rileva che gli attuali agenti del Caos e dell’Automa cibernetico sono forze che alimentano la distruzione accelerata negli ultimi decenni. Gli umani, scrive, sono stati assoggettati all’ordine digitale e privati del desiderio erotico, della capacità critica e della singolarità espressiva. La mutazione tecno-cognitiva comporta la presa del potere tecnico, economico e militare di una razza di maschi bianchi, mentre il potere politico è saldamente nelle mani di uomini sempre più anziani in un grottesco e delirante teatro dell’orrore. La guerra delle razze e il razzismo di stato che l’alimenta come indicava Michel Foucault, dettano la norma di un ordine mondiale basato sull’estrazione di risorse, deportazioni e genocidio.
Il genocidio dei palestinesi tra Gaza e la Cisgiordania è uno spartiacque nella storia in ciò che residua di umano nella realtà di odio, vendetta e guerra. All’inizio di Pensare dopo Gaza Bifo scrive che il genocidio eretto a nuova regola del presente e lo scatenarsi dell’odio nelle relazioni mondane è definitivo e incontrastato e non ci sarà alcun tribunale della storia. Non ci sarà perché la “civiltà” si scopre come prosecuzione dell’antica ybris con altri mezzi: attribuirsi da parte degli umani un’identità, una grandezza e una potenza che non hanno.
La conversione alla civiltà è stato il tentativo di subordinare la ferocia alla politica. Dopo Gaza quel tentativo è fallito. Ma, aggiungiamo, è “prima” di Gaza che qualsiasi politica è fallita, e lo è stata nel perverso esercizio della ragione governamentale, sia nelle istituzioni liberal-democratiche, sia nei regimi autoritari.
Pensare “dopo” allora, è risalire la genealogia della modernità, in cui si trova che il pensiero è stato possibile in larga parte per l’intelletto ebraico, che è intelletto nomade, senza stato, sradicato, e per questo libero anzitutto dal potere. Per questo la tragedia di Gaza ha un carattere definitivo: «mostra il tradimento del contributo intellettuale ebraico alla civilizzazione moderna». Una cosa infatti è la cultura ebraica, altra cosa è il sionismo, oggi nella sua articolazione nazional-religiosa. Il fallimento della ragione universalista che ha prodotto la modernità e il tradimento della cultura ebraica sono due facce della stessa medaglia.
«Lo stato di Israele è stato fin dall’inizio tradimento e negazione».
Dopo la seconda guerra mondiale, “mai più” si pensava fosse l’asserzione della democrazia, del diritto, dell’autodeterminazione dei popoli, della fine dei fascismi, la cui ultima conseguenza furono Hiroshima e Nagasaki.
L’appello di Bifo è a comprendere, a capire fino in fondo, a non stancarsi di comprendere, perché solo quando avremo compreso, potremo «dimenticare l’identità e quindi scoprire una dimensione non storica, non politica, nella quale sia possibile l’amicizia, la gioia, la cortesia».
Chi comprende, diserta. E oggi più di ieri bisogna comprendere per sopravvivere. Comprendere vuol dire capire le provenienze e capire che i motivi non sono ragioni. Non ci sono ragioni del pogrom di Hamas il 7 ottobre. Non ci sono ragioni nei massacri dell’ISIS, non ci sono nelle politiche di morte di Daesh. A maggior ragione non ci sono ragioni nel genocidio a Gaza.
L’autore ricostruisce in sintesi la storia tragica di quelle presunte origini. I “padri fondatori” di Israele sapevano di dover affrontare il nazionalismo arabo che aveva una prossimità con il nazifascismo (il leader del partito Nazionale Siriano Antun Saade era ferocemente antisocialista). Per questo, aggiungiamo il sionismo prevalse sul movimento dei kibbutz. «La sconfitta dell’internazionalismo nell’URSS di Stalin è all’origine della guerra secolare tra Israele e gli stati arabi e di ogni altra tragedia». La psicoanalista israeliana Merav Roth dice che «il desiderio di vendetta… può portarci a non distinguere tra un bambino e la milizia di Hamas». A febbraio 2025 con il fragile cessate il fuoco nella Striscia siamo molto oltre: in Cisgiordania la mattanza dei residenti palestinesi operata da IDF e bande di coloni è comprensiva di rapimenti, torture e stupri di bambini e adolescenti.
Cosa è Gaza? É la morte dell’etica e lo è per l’effetto combinato «dell’infezione liberal-competitiva e dell’infezione statal-nazionalista». Il gruppo dirigente di Israele «è un gruppo di mafiosi corrotti che da anni fanno spettacolo con il loro cinismo e il loro opportunismo». Dopo il 7 ottobre che li ha trovati impreparati i fascisti israeliani Netanyhau, Ben Gvir, Smotrich hanno saputo rapidamente trasformare il massacro dei loro concittadini in un’opportunità per rafforzare il loro potere ed estendere i loro territori».
Di fronte al 7 ottobre «la maggioranza degli israeliani ha perduto l’appartenenza al genere umano, il senso della pietas, il sentimento di empatia senza il quale ogni crimine è legittimato perché non se ne percepisce l’orrore». Per questo la catena della vendetta non può essere interrotta.
Gli eredi delle vittime della Shoah in Israele si vendicano «contro un popolo che non aveva niente a che fare con la Shoah». Il sionismo è «la continuazione della Soluzione Finale concepita dai nazisti». Il 7 ottobre ha costretto gli israeliani a prendere atto che la costruzione dello stato di Israele è stata una trappola, nascosta dall’illusione di poter vivere in pace accanto all’inferno di milioni di persone».
Gli ebrei “vomitati” fuori dall’Europa sono serviti come avamposto occidentale nella regione che da decenni fornisce petrolio a tutto il mondo. La radice politica del sionismo di cui parlava Hannah Arendt, prima del 1948, per quanto discutibile, è stata tranciata.
Bifo giustamente ricorda che alle origini dello stato di Israele c’è, tra gli altri documenti, la lettera inviata al New York Times nel 1948 da 28 rabbini e intellettuali tra cui Hannah Arendt e Albert Einstein, che così scrivevano:
«Tra i fenomeni più preoccupanti emerge quello… nel nuovo stato di Israele, del Partito della Libertà, un partito… che nell’organizzazione, nei metodi, nella filosofia politica e nell’azione sociale appare strettamente affine ai partiti nazista e fascista. É stato fondato come evoluzione del precedente Irgun Zvai Leumi, un’organizzazione terroristica, sciovinista, di destra della Palestina».
Per la visita di Begin, leader del gruppo paramilitare terrorista Irgun, quindi premier e ministro della difesa dal 1977 al 1983, negli Stati Uniti, «prima che si arrechi un danno irreparabile attraverso contributi finanziari… e alla creazione di un’immagine di sostegno americano a elementi fascisti in Israele, il pubblico americano deve essere informato delle azioni e degli obiettivi del suo movimento… oggi parla di libertà, democrazia e antimperialismo, mentre fino ad ora ha apertamente predicato la dottrina dello stato fascista… All’interno della comunità ebraica hanno predicato un misto di ultranazionalismo, misticismo religioso e superiorità razziale.». Nazionalisti e militaristi hanno preso il sopravvento e poco alla volta se ne sono andati quei cittadini israeliani che non accettano di vivere in mezzo a tanta violenza.
In un recente, sofferto, saggio, Gaza, Gad Lerner scrive che Jabotinski, fondatore del sionismo revisionista che avrebbe voluto erigere un muro di ferro tra sé e i suoi vicini, «raccomandava di eliminare la diaspora, altrimenti la diaspora eliminerà noi».
Eppure la radice ebraica è la memoria dell’esodo e della diaspora. La memoria dell’ebraismo è stata protetta e difesa dagli ebrei in esilio volontario in altri paesi. Questa memoria potrà essere l’àncora di salvezza per i singoli, mentre nello stato di Israele «sarà impressa la responsabilità del genocidio a prescindere dalle azioni della Corte Penale Internazionale».
Abbiamo detto che Israele non ha più niente a che fare con l’ebraismo perché in un modo o nell’altro il luogo psichico, storico e soggettivo, spaziale e temporale dell’ebraismo è l’esodo, è la diaspora, è la comunità nomade, non è lo stato, ancor meno la nazione, che è stata composta e ricomposta dalle 12 tribù accanto ad altre tribù e ad altri popoli. La diaspora novecentesca, lo spirito nomade dell’esilio, la ricerca essenziale delle generazioni ebraiche dal medioevo all’ultima epoca moderna contrastano l’idea stessa di stato nazionale. Lo stato-nazione non è la soluzione, è il problema, come fin dagli anni Settanta si era capito.
Se pensiamo agli ebrei che vivono negli Stati Uniti vediamo che «una parte di loro ha posizioni apertamente genocidarie, al punto da identificarsi con i razzisti evangelici seguaci di MAGA. Per difendersi Israele si è alleato con i peggiori antisemiti di sempre, i razzisti cristiani della destra repubblicana d’America e con i fascisti europei».
Forse per questo le proteste contro il genocidio, silenziate dai media mainstream infingardi e complici, non si trasformano in movimenti di insurrezione contro il governo della morte. Il “lupo antisemita” a cui si grida non è scomparso. «Si è messo il vestito buono, la cravatta, si nasconde tra i trumpisti delle due sponde oceaniche, si nasconde tra i fascisti italiani che mandano la polizia a picchiare studenti» e a minacciare coloro che continuano a parlare e a informare.
Per questo è bene ricordare quanto Foucault scriveva a proposito della vita non fascista: evitare il nemico strategico, il fascismo che possiede i nostri spiriti e le nostre condotte quotidiane e che ci fa desiderare proprio la cosa che ci domina e ci sfrutta e invece coltivare un’arte di vivere per far crescere il pensiero e i desideri per proliferazione, affrancarsi dalle passioni tristi e dalla rappresentanza e formare “gruppi”, amicizie, amori disindividualizzanti.
Se comunque dopo Gaza vive la speranza dei senza speranza.
Paolo Vernaglione Berardi e Bifo hanno aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura
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