30 aprile 2023

ENZO BIANCHI, Salviamo il nostro sapere

 


Salviamo il nostro sapere
di Enzo Bianchi

Sempre di più siamo consapevoli che il sapere oggi, soprattutto con l’introduzione dell’intelligenza artificiale, viene colpito nelle sue due principali funzioni: la ricerca intesa come quaerere e la trasmissione della conoscenza. Lo profetizzava già Jean François Lyotard: “L’antico principio secondo il quale l’acquisizione del sapere è inscindibile dalla formazione dello spirito, e anche della personalità, cade e cadrà sempre più in disuso … Il sapere viene e verrà prodotto per essere venduto e consumato e dunque per essere scambiato: si arriverà alla mercificazione del sapere”. Dunque l’insegnamento tenderà a formare competenze piuttosto che ideali e il rapporto con il sapere non sarà più una via di realizzazione della vita interiore, di umanizzazione.
Perciò è necessario e urgente riflettere nuovamente sull’insegnare innanzitutto in senso assoluto, senza specificazione dell’oggetto, per mettere in evidenza che l’insegnamento è un atto generato da una persona che ha l’exousía, l’autorevolezza e la conseguente umiltà di mettersi in relazione. Siccome ha imparato, le è stato insegnato, è capace di insegnare. Insegnare significa infatti “fare segno”, e designa il compito di persone che si fanno portatori, datori e trasmettitori di segni. L’insegnante consegna simboli, chiavi ermeneutiche per interpretare la realtà e la vita: è colui che indica l’orizzonte, che “orienta”, cioè aiuta a trovare l’“oriente”, il luogo dove sorge la luce della vita.
È significativo che secondo la tradizione sapienziale ebraica la sapienza è l’arte del dirigere la vita e il sapiente è colui che sa anche orientare gli altri nella vita, colui che tiene saldamente il timone della nave e la sa guidare. Sta scritto nel Libro dei Proverbi: “L’uomo sapiente tiene saldo il timone” e in Qohelet “Esperto della vita, avrà parole che saranno come pungoli”, cioè stimoli all’indagare, alla ricerca, all’approfondimento, e “pietre miliari”, cioè indicatori di via e argini che segnalano il limite. Suggeriscono, non impongono, non tacciono ma non gridano. Come l’oracolo di Delfi, attraverso il quale il dio non dice, non nasconde: fa segno (Eraclito f. 93).
Sì, gli insegnanti sono chiamati a porre gesti espressivi, gesti carichi di senso e di vita, dove il senso va inteso nella sua triplice accezione di significato, di direzione, di sapore, senza tralasciare la dimensione estetica nella quale la bellezza dà compiutezza a ogni senso.
In questa relazione tra l’insegnante e il destinatario dell’insegnamento, chiamato discepolo, il rapporto non deve certo essere asettico perché l’insegnare ha sempre un aspetto generante e come ogni generazione deve essere intriso di “eros”, di capacità affettiva.
Così si educa in modo serio e fecondo, come suggerisce il verbo educere, “condurre fuori da… verso…”: facendo uscire, ispirando un esodo da se stessi e accettando il rischio della libertà connesso alla vita. L’insegnante diventa così anche un passeur, un traghettatore che fa passare il giovane ad altre rive. Certo il rapporto educazione-insegnamento non è facile, infatti “non si può educare senza, allo stesso tempo, insegnare; e l’educazione senza insegnamento è vuota e degenera facilmente in una retorica emozionale e morale. Ma si può facilmente insegnare senza educare e si può continuare a imparare fino alla fine dei propri giorni senza mai però educarsi”, scrive Hannah Arendt, che osserva anche: “L’educazione è il punto in cui si decide se noi amiamo abbastanza il mondo per assumerne la responsabilità, per salvarlo dalla rovina inevitabile senza il rinnovamento delle nuove generazioni!”.

La Repubblica - 24 Aprile 2023

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