Diotima, la donna del dialogo
Dobbiamo pensare a
un tempo in cui non era facile per una donna trovare posto nella società
maschile, e quindi nella vita pubblica dominata dai maschi. Era così nell'Atene
misogina di Socrate e di Platone. Nondimeno anche a quel tempo le donne
esistenti potevano sviluppare pensieri e idee come accadeva ai loro
concittadini maschi. Ecco allora come si arriva a Diotima di Mantinea. Questa
donna non prende direttamente la parola in uno tra i dialoghi di Platone, il
Simposio, viene chiamata in causa da Socrate, il quale rende conto del suo
pensiero riguardo al tema dell'amore. Passano i secoli e Diotima ricompare in
Germania nella stagione del romanticismo. Il poeta Hölderlin si innamora di una
signora sposata, Susette Gontard, che per lui diventa Diotima. Curioso destino,
quello di un nome che non è associato a una persona dotata di una esistenza
autonoma. Diotima è la donna chiamata in causa da un interlocutore di sesso
maschile. Nonostante ciò, mantiene una sua fisionomia e si staglia con palese
disinvoltura sulla scena sia nel Simposio di Platone che nel rapporto
epistolare con Hölderlin.
La Diotima di Hölderlin
In una casa agiata di Francoforte, luminosa e circondata da
un folto parco, il poeta assoluto dell’età moderna, Friedrich Hölderlin, allora
ventiseienne, incontrò Diotima, il suo «amato amore». E subito scriveva: «C’è
un essere al mondo presso il quale il mio spirito può e potrà indugiare
millenni». Quell’essere, che per Hölderlin era Diotima, si chiamava per tutti
gli altri Susette Gontard, ed era la madre del giovane Henry, a cui Hölderlin
doveva fare da precettore. Così nacque non una storia d’amore, ma una storia
che era l’amore. Le stupende lettere di Diotima, così
perfettamente accordate nel timbro a Hölderlin, sono l’unica traccia immediata
che ci rimane di quella vicenda, che ebbe una conclusione brutale, a cui seguì
entro breve tempo la morte improvvisa di Diotima. Ma anche in un certo gruppo
delle liriche di Hölderlin parla Diotima, e nel suo nome anzi si può dire che
Hölderlin trovi per la prima volta la sua inconfondibile voce.
(Diotima e Hölderlin, Lettere e poesie, a
cura di Enzo Mandruzzato, Adelphi, Milano 1979)
La
Diotima di Platone (e di Socrate)
Socrate Esporrò invece il discorso, che ascoltai, un tempo, su Amore, da
una donna di Mantinea, Diotima, che era sapiente in questo e in molte altre
cose. E agli Ateniesi che una volta celebravano dei sacrifici, prima della
pestilenza, cagionò un ritardo di dieci anni del malanno e a me fu maestra
nelle faccende d'amore. Il discorso dunque che disse a me, prendendo io lo
spunto da quanto si è concordato tra me e Agatone, proverò ad esporvelo da
parte mia, a seconda delle mie possibilità. Occorre dunque, Agatone, esporre,
nel modo al quale ti sei attenuto anche tu: chi è Amore e qual è, poi dire le
sue opere. Mi pare comunque che per me sia alquanto facile attenermi al modo
che un tempo seguiva la straniera interrogandomi. Perché anch'io un presso a
poco le dicevo le cose quali ora Agatone sosteneva con me, che Amore è un gran
dio, che è amore del bello: ed ella mi contraddiceva con i ragionamenti con cui
ho confutato lui: che non è bello, secondo il mio discorso, e non è neanche
buono. E io le dicevo: "Come dici, Diotima? Amore è brutto, ed è anche
cattivo?". Ed essa: "E non vorrai parlare da costumato? O pensi forse
che quel che non è bello debba per forza essere anche brutto?"
"Certo", dicevo. "E quel che non è sapiente, deve essere ignorante?
Non capisci dunque che tra sapienza e ignoranza c'è in mezzo qualche
cosa?" "E cos'è questo?" "E non sai che avere retta
opinione, anche senza avere il mezzo di darne ragione, non è né sapere è cosa
illogica infatti, come potrebbe essere scienza? e neppure ignorare perché, quello
che anche a caso raggiunge il vero, come potrebbe essere ignoranza? : un
qualcosa di mezzo tra discernimento e ignoranza "Tu dici il vero", le
dicevo io. "Non forzare dunque quel che non è bello a essere brutto, e
quel che non è buono a essere cattivo. Così anche Amore, siccome tu stesso
ammetti che non è buono né bello, non pensare affatto che debba essere brutto e
cattivo, ma un qualcosa di mezzo a queste cose", diceva.
"Eppure", intervenivo io, "si riconosce da parte di tutti che è
un gran dio". "Tu dici tutti quelli che non sanno", mi chiedeva,
"o anche quelli che sanno?" "Dico tutti indistintamente".
Ed essa ridendo, mi chiedeva: "Ma come, Socrate, è riconosciuto come un
grande dio da quelli che sostengono che non è neppure un dio?" "E chi
sono questi?", rispondevo io. "Uno", ribatteva, "sei tu,
l'altro io". E io ribattevo: "Ma come mai dici questo?". Ed ella
di rimando: "è facile", rispose. "Dimmi: non sostieni tu che
tutti gli dèi sono felici e belli? E oseresti dire che uno fra gli dèi non è né
bello né felice?" "Per Zeus! Io no!", rispondevo. "E non
chiami felici tu quelli che hanno bontà e bellezza?" "Ma certo".
"Ma hai ammesso che Amore, per mancanza della bontà e della bellezza,
desidera proprio queste cose di cui è privo?" "L'ho ammesso,
infatti". "E come potrebbe essere un dio chi è privo della bellezza e
della bontà?" "In nessun modo, a quel che pare". "Vedi
dunque", incalzava, "che anche tu pensi che Amore non sia un
dio?" "E cosa sarebbe allora", rispondevo, "un
mortale?" "Niente affatto". "Ma cosa allora?"
"Come si diceva prima", rispondeva, "un qualcosa di mezzo tra
mortale e immortale". "Cosa dunque, Diotima?" "Un gran
demone, Socrate. Infatti tutto ciò che ha parte del demone sta in mezzo al
divino e al mortale".
Diotima-Palomar(wordpress.com)
(99+)
Il grande equivoco dell'amore platonico, Corriere della sera - La Lettura,
domenica 20 settembre 2015 | Mauro Bonazzi - Academia.edu
Nessun commento:
Posta un commento