Mario La Cava scriveva da Bovalino il 30 dicembre del 1953:
«Hai saputo della morte del povero Rocco Scotellaro? Mi sono molto
dispiaciuto». Leonardo Sciascia gli faceva eco il 5 gennaio: «Ho saputo della
morte di Scotellaro - una notizia che mi ha sgomentato -, su
"Galleria" che esce tra qualche giorno, c'è un suo racconto». Anche
Italo Calvino non aveva mancato di tratteggiarne il ricordo, quello d'un
«ragazzotto contadino, con la faccia tonda e rossa, un socchiuso sguardo da
cinese, tra l'ironico e il triste», insomma «un paesano, meridionale fino al
midollo», che però mostra già «la sicurezza, la maturità, la quadratura del
dirigente popolare, dell'uomo d'esperienza vasta e varia». Rocco Scotellaro era
morto il 15 dicembre a trent'anni appena compiuti: più o meno la stessa età che
aveva allora Sciascia. Si tratta due testimonianze, tra le moltissime citabili,
che ci restituiscono la reazione addolorata e stupita di tanti scrittori,
soprattutto di quelli che erano impegnati a costruire una nuova immagine del
Sud, dettate per la scomparsa d'un intellettuale amatissimo, soprattutto tra i
contadini meridionali, che appariva per altro tra i più carichi di futuro nel
novero di quelli in attività. Benemerita, allora, la scommessa dell'editore
Quodlibet di Macerata, che manda in libreria tre libri legati allo scrittore
lucano, sollecitati dalle celebrazioni per il centenario della sua nascita. Due
di questi raccolgono scritti a firma dello stesso Scotellaro: «Taccuini
1942-1954», a cura di Franco Vitelli e Giulia Dell'Aquila, e «I fuochi di San
Pancrazio» a cura e con un saggio critico-filologico di Sebastiano Martelli,
aperti però da una prefazione di Goffredo Fofi.
Massimo Onofri su Avvenire
recensisce Rocco Scotellaro.
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