04 settembre 2024

ROCCO SCOTELLARO, MARIO LA CAVA E LEONARDO SCIASCIA

 



    Mario La Cava scriveva da Bovalino il 30 dicembre del 1953: «Hai saputo della morte del povero Rocco Scotellaro? Mi sono molto dispiaciuto». Leonardo Sciascia gli faceva eco il 5 gennaio: «Ho saputo della morte di Scotellaro - una notizia che mi ha sgomentato -, su "Galleria" che esce tra qualche giorno, c'è un suo racconto». Anche Italo Calvino non aveva mancato di tratteggiarne il ricordo, quello d'un «ragazzotto contadino, con la faccia tonda e rossa, un socchiuso sguardo da cinese, tra l'ironico e il triste», insomma «un paesano, meridionale fino al midollo», che però mostra già «la sicurezza, la maturità, la quadratura del dirigente popolare, dell'uomo d'esperienza vasta e varia». Rocco Scotellaro era morto il 15 dicembre a trent'anni appena compiuti: più o meno la stessa età che aveva allora Sciascia. Si tratta due testimonianze, tra le moltissime citabili, che ci restituiscono la reazione addolorata e stupita di tanti scrittori, soprattutto di quelli che erano impegnati a costruire una nuova immagine del Sud, dettate per la scomparsa d'un intellettuale amatissimo, soprattutto tra i contadini meridionali, che appariva per altro tra i più carichi di futuro nel novero di quelli in attività. Benemerita, allora, la scommessa dell'editore Quodlibet di Macerata, che manda in libreria tre libri legati allo scrittore lucano, sollecitati dalle celebrazioni per il centenario della sua nascita. Due di questi raccolgono scritti a firma dello stesso Scotellaro: «Taccuini 1942-1954», a cura di Franco Vitelli e Giulia Dell'Aquila, e «I fuochi di San Pancrazio» a cura e con un saggio critico-filologico di Sebastiano Martelli, aperti però da una prefazione di Goffredo Fofi.

Massimo Onofri su Avvenire recensisce Rocco Scotellaro.

 


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