10 settembre 2024

ZANZOTTO A SCUOLA

 


ZANZOTTO E L’ IMPOSSIBILE DELLA PEDAGOGIA

di Alberto Russo Previtali

 

Il momento della riapertura delle scuole implica sempre per il corpo sociale il dovere di guardarsi allo specchio. Riapre il luogo deputato dallo Stato all’educazione e all’istruzione dei bambini e degli adolescenti, riapre qui e ora, in una data, in un preciso tempo storico. È indubbio che nella scuola, al di là della sua storia e delle sue contraddizioni, pulsa la necessità originaria della pedagogia, inseparabile dall’idea di civiltà. Ma è altrettanto vero che la pedagogia deve sempre essere messa in atto in un preciso contesto sociale, e questo contesto, da sempre dominato da logiche belliche ed economiche, si pone come negazione dell’ideale più intimo della pratica pedagogica. Ecco, dunque, che chi è chiamato ad accogliere i ragazzi e a realizzare, nella parola e negli atti, l’opera educativa, si ritrova sempre nella pesante e triste necessità di dover sopportare una contraddizione essenziale, che ad ogni passo costringe a un confronto con un ideale di miglioramento, ma anche con i molti modi della menzogna.

 

Ecco che nell’anno in corso riaprono le scuole, i ragazzi conoscono di nuovo il tempo dell’inizio, il tempo di un rinnovato rapporto con i docenti, con i compagni e con il sapere. Riaprono le scuole in un rinnovato scenario internazionale di guerra in cui sono coinvolte l’Italia e l’Europa; riaprono in una sempre più palpabile crisi del modello democratico e dei suoi fondamenti di libertà e tolleranza; riaprono dopo un’ulteriore fase di inazione globale di fronte alla catastrofe ecologica. Le scuole riaprono malgrado tutto questo, ma anche contro tutto questo. Poiché è certo che, se esiste una speranza e una promessa di emancipazione dalle forze distruttive, questa speranza non può non coinvolgere anche l’impossibile della pedagogia e della scuola.

 

Il rapporto insanabile e contraddittorio tra storia in atto e educazione è uno dei punti più incandescenti della poesia di Andrea Zanzotto. È un punto che incide in tutta la sua opera, attraverso la centralità del connubio strettissimo tra poesia e pedagogia. In alcuni testi fondamentali, questo punto emerge in modo dirompente nello spazio dei significati. Nell’Ecloga IX. Scolastica, una delle vette della poesia di Zanzotto, è proprio la riapertura delle scuole a far emergere il sentimento di sospensione e di vuoto rispetto al senso che la collettività è continuamente chiamata a dare all’insegnamento scolastico. È una sospensione che crea degli scambi continui tra ansia e speranza, tra smarrimento e promessa, tra rinuncia e impegno. Il dialogo tra il poeta-docente e la poesia (le persone a e b dell’ecloga) si concentra sull’impossibile immanente alla relazione educativa, nel suo necessario ma sempre mancato legame con il paesaggio e con la terra:

 

Sorgono i bimbi da lane e stupori

d’autunno, scendono

dalla casa cui l’ape e la dalia

fanno lustro sempre più dimesso,

e il sole aiuta il pane e la pioggia

aiuta il bere. […].

Vengono i bimbi, ma nessuna parola

troveranno, nessun segno del vero.

Mentiremo, mentirà il mondo in noi

e anche in te, pura[1].

 

È proprio a partire da questa menzogna fondante, dal vuoto incolmabile che abita la poesia e la pedagogia che, nel tempo dell’inizio, del primo giorno, il poeta-docente può cercare un orientamento, una via praticabile verso un insegnamento fondato sul legame tra paesaggio, terra, amore e sapere. Questa via non sarà quella di una parola venuta dall’alto, di una verità rivelata e assoluta: “nulla, nulla dal profondo autunno, / dall’alto cielo verrà, nessun maestro; nessun giusto rito / comincerà domani sulla terra”[2]. La poesia indica al poeta-docente due direzioni contrapposte e correlate. La prima è la necessità del contatto con il senso dell’origine, con la profondità millenaria della tradizione e della trasmissione, espressa in questi versi altissimi:

 

Riudrai le voci del profondo autunno,

del magistero, del pozzo profondo,

se sapesti udirle nel primo

giorno, se sapesti che primo

è ogni giorno[3].

Il primo giorno non è dunque dato una volta per tutte, non è un principio mitico da custodire e tramandare fissamente; il primo giorno si ripete, ritorna continuamente in nuovi inizi, nei quali il senso dell’origine deve essere coniugato con l’esposizione al tempo propizio, al tempo del kairos. La seconda via indicata dalla poesia è dunque quella dello sforzo di coniugare questi due tempi, di riattualizzare l’origine nel qui e ora dell’atto pedagogico, per riuscire a far sorgere da questa unione una promessa, un tempo messianico. Questo significa recuperare il senso letterale e concreto della parola insegnamento:

 

Come a lui che insegnava

agli operai quanto sia nitido

il segno sul foglio ed il taglio nel legno;

vale ogni segno, ogni taglio, estinzione

del troppo e del vano, ombra aggredita[4].

 

Per sfuggire alla menzogna, l’insegnamento deve dunque realizzarsi nella singolarità dei segni e dei tagli, nei gesti del docente che cercano di cogliere l’essenziale della relazione educativa e soprattutto di porsi come tracce di un impegno profondo, di un’ostinazione nella pedagogia come creazione e confronto con il vuoto, nonostante tutto: “Non essere stanco / di durare tra le albe, esse faranno / verità della nostra menzogna”[5]. Questi versi sono un richiamo, spingono a pensare seriamente che l’idea di “segnare” i discenti, di lavorare per imprimere in loro, nel qui e ora storico, un segno del “magistero”, deve essere pensata come il fine primo dell’istruzione, al di là di astratti progetti curriculari o enciclopedici. Per fare ciò, occorre che il docente entri davvero nello spazio infondato del poetico, che si ponga, cioè, nella dimensione del ‘fare’, del creare segni e tagli carichi di un vissuto in cui gli slanci amorosi verso il sapere, la tradizione e la terra siano entrati in contatto tra loro. Questa pedagogia fondata sulla custodia del vuoto e del gesto singolare si confronta con un impossibile metastorico, ma in ogni sua attuazione è sempre esposta alla storia qui e ora.

 

Nell’Ecloga IX, le forze distruttive della storia in atto sono solo evocate, tra parentesi, nella prima strofa del testo, attraverso la voce della poesia: “(ed è sale di libere / uve, industrie animali, / programmata efficienza, vittorie)”. Nel poemetto Gli Sguardi i Fatti e Senhal queste forze vengono invece nominate in modo ossessivo a partire dal trauma dell’allunaggio, sentito come dissacrazione del mito lunare causato dalle pulsioni di dominio delle grandi potenze e dallo sviluppo incontrollato della tecnica. Le cinquantanove voci del poemetto in dialogo con la voce centrale cercano di dare un senso al “Fatto” attraverso diverse linee tematiche chiamate a metaforizzare “il ferimento”, a ricoprirlo con i più svariati senhals. Tra queste linee emerge anche la linea pedagogica, che pone in relazione la dissacrazione del mito lunare con la possibile regressione civile della collettività:

 

Il bimbo-lupo di Wetteravia

il 1° bimbo-orso di Lituania

la bimba-scrofa di Salisburgo[6]

giungono le mani giungono le zampine

i pueri feri       noi pueri feri   mi congiungo

orando pro e contra sul tema del ferimento[7]

 

Di fronte alla barbarie della storia, la pedagogia e i suoi ideali sprofondano, e l’immagine dell’uomo diventa quella degli enfants sauvages, degli umani che si scoprono indistinguibili dagli animali per ferocia e sottomissione alle leggi della sopraffazione. Questa minaccia risuona con grande densità nel poemetto Misteri della pedagogia che apre Pasque, e il cui tema principale è l’apertura del Centro di lettura (di nuovo un inizio, un primo giorno). Questo momento inaugurale è svuotato del suo senso e della sua forza simbolica a causa della sterilità delle cerimonie ufficiali, che rivelano una concezione retorica, vuota e punitiva dell’istruzione, sulla quale il poeta riversa la sua finissima ironia:

 

Qui si somministra la dolcissima linfa del sapere:

anche ad ore impensate

e i fanciulli e i vecchi suggono

è certo che apprendono al Centro di Lettura:

e si imparte e comparte la vivanda

si tira l’orecchio al distratto

si premia e castiga con frutto […][8]

 

 Qui l’ironia investe anche l’azione dello Stato che cerca di favorire la cultura con una strategia di “programmata efficienza”, creando certamente dei luoghi utilissimi ma che non bastano da soli a garantire una diffusione del sapere come opera pedagogica capillare. Il Centro di lettura come luogo di diffusione del sapere per tutti si scontra infatti con il lato burocratico dell’istituzione scolastica, classificatorio e selettivo: “Avrò un voto / basso, di annientamento, / sarò castrato dalla pedagogia”[9]. La fine del poemetto rivela però un livello di contraddizione ancora più alto, creato dall’azione dei poteri più fondanti e distruttivi:

 

Fuori pedagogia          out out, contro i meli e le maestre

le potenze…  i prìncipi… li scruti dalla finestrina dall’oblò

trafiggono imprendono gestiscono

non conoscono le sazietà gesticolano impalano

si fanno razzi scoppiano

in corolle di scintille lassù…)[10]

 

Il “fuori” invalida e ridicolizza gli ideali e i valori della pedagogia, ispirati al rispetto, all’elevazione spirituale, al goût de l’effort, alla sublimazione pulsionale. Negli anni in cui sono stati scritti i versi che abbiamo attraversato, il “fuori” che minaccia la poesia-pedagogia è rappresentato soprattutto dall’avvento della società dei consumi e dall’equilibrio atomico del terrore durante la Guerra Fredda. Proprio quest’ultimo fa irruzione nel breve componimento La pace di Oliva, nel quale la situazione ordinaria della tensione disciplinare tra il docente e gli alunni viene messa in scena attraverso la metafora del conflitto tra le superpotenze:

 

“Voi là, in fondo. Fermi!

La smettete?” Smettiamo

riponiamo smorziamo

specularmente fermi nel mattutino dolcore

in un portento ~ in un

equilibrio del terrore[11].

 

In un passo come questo, Zanzotto rivela tutta la sua sottile maestria nel fare della poesia il luogo in cui l’interazione tra la contraddizione storica, il vuoto e l’impossibile della pedagogia può diventare percepibile, al di là di ogni discorso argomentativo. Ma Zanzotto non è solo un grande poeta capace di fare emergere nei suoi testi compositi e polifonici le istanze più aggressive della contemporaneità. Mentre nomina il male, il poeta invoca sempre anche il suo contrario: la necessità di appellarsi a un “principio ‘resistenza’”[12], di puntare sull’impossibile della poesia, nonostante tutto, e a maggior ragione quando i destini generali sembrano indirizzati sul cammino della catastrofe. Così, proprio nei componimenti più apertamente e approfonditamente dedicati al tema pedagogico, alla fine emerge un “ma” di pura resistenza, un “ma” che ricorda il dovere etico di continuare comunque a stare nel “fare” della poesia e della pedagogia, nella loro oltranza, poiché “fuori” di esse non vi è che un destino già scritto:

 

ma il Centro di Lettura

ma nuove pedagogie per i morti e forse per gli altri

oltre forre e boschi escogitate…[13]

 

[…] è come se

in questo andare che non ha ancora

senso, ma già rifiuta la paura

rifiuta il silenzio […]

io sia colui che “io”

“io” dire, almeno, può, nel vuoto,

può, nell’immenso scotoma

“io”, più che la pietra, la foglia, il cielo, “io”:

e, in questo, essere indizio, dono

dono tuo, agli altri donato[14].

 

Questo “Ma” è un segno prezioso, impossibile da trovare in un trattato o in un saggio di pedagogia. A partire dalla forza della negazione, esso prova a porsi come fonte di un rinnovato desiderio, di un riscoperto entusiasmo per un ideale di elevazione. Dopo avere attraversato poeticamente il male senza mai negarlo, la poesia genera questo taglio, questo “ma” che non si piega alla rassegnazione e da cui possono nascere segni e tagli capaci di diventare per i bambini e gli adolescenti il dono di una prospettiva di senso, la promessa di un legame sociale non colonizzato in profondità dalle “potenze” e dei “prìncipi”, dalla loro mancanza di “sazietà”.

Che questo “ma” zanzottiano sia di buon augurio a tutti i docenti, gli educatori e gli alunni che iniziano in questi giorni il nuovo anno scolastico.

 

Note

 

 

[1] A. Zanzotto, Ecloga IX. Scolastica, in Id., IX Ecloghe, in Id., Le poesie e prose scelte, Mondadori, Milano, p. 255.

[2] Ibid.

[3] Ivi, p. 256.

[4] Ibid.

[5] Ibid.

[6] A. Zanzotto, Gli Sguardi i Fatti e Senhal, in Id., Le poesie e prose scelte, op. cit., p. 366.

[7] Ivi, p. 368.

[8] A. Zanzotto, Misteri della pedagogia, in Id., Pasque, in Id., Le poesie e prose scelte, op. cit., p. 381.

[9] Ivi, p. 384.

[10] Ivi, p. 386.

[11] A. Zanzotto, La pace di Oliva, in Id., Pasque, op. cit., p. 389.

[12] Cfr. A. Zanzotto, Retorica su: lo sbandamento, il principio “resistenza”, in Id., La Beltà, in Id., Le poesie e prose scelte, op. cit., p. 305.

[13] A. Zanzotto, Misteri della pedagogia, op. cit., p. 386.

[14]  A. Zanzotto, Ecloga IX. Scolastica, op. cit., p. 257.

 

Articolo ripreso da https://www.leparoleelecose.it/

 


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