“Diventa il gatto che ti tenderà l’agguato”. Intervista a Edoardo
Camurri
di Marco Montanaro pubblicato
lunedì, 16 Settembre 2024, in
https://www.minimaetmoralia.it/wp/interviste/edoardo-camurri-
Introduzione alla realtà (Timeo) di Edoardo Camurri è un libro strano, magico,
sicuramente trasformativo. Potremmo definirlo fiaba, esperienza rituale,
allegra dissertazione, esortazione accorata, corto viaggio (e saggio)
psichedelico-sentimentale. La verità: ha ragione chi dice che parlarne, specie
ormai a qualche mese dall’uscita, è complesso, gli si fa un torto; si rischia
di banalizzare, di confinare nell’attualità un testo agile, che fa della sua
inattualità un punto di potenza. Meglio allora consigliarne direttamente la
lettura, o perché no provare a parlarne con l’autore.
Ciao Edoardo. Come sta andando il libro?
Siamo alla terza edizione e, al di là delle vendite, sta
avvenendo la cosa più importante e paradossalmente meno scontata di tutte: il
gattone viene letto. E molte persone se ne sentono coinvolte, toccate; capita
spesso di incontrare lettrici e lettori che mi confessano che il libro sta
parlando a loro con forza e dolcezza, quasi che li aspettasse e che loro
aspettassero lui. Mi piace pensare al libro come a un fuocherello acceso
attorno al quale chiunque si senta accolto per sedersi e ricevere un po’ di calore
e di luce.
Lo hai definito “il libro della vita”, meditato per 50 anni.
Com’è arrivata la decisione (o la consapevolezza) che era arrivato il momento
di scriverlo?
Le cose non si fanno mai da soli, ma ogni individualità è
come un nodo provvisorio che si manifesta in un ordito di relazioni; da questo
punto di vista è stato sicuramente determinante l’incontro con Federico
Campagna, editor di Timeo, un amico, un filosofo che ammiro moltissimo, e senza
il quale questo libro non ci sarebbe. Vi è poi alla base del testo anche una
sorta di cerimonia: si sono radunati intorno molti spiriti, molti guardiani, a
me cari, a protezione del testo, da mio nonno paterno a Louis Wain, da Elsa
Morante a Rodolfo Wilcock, da Roberto Bazlen a Giorgio Colli. Il libro è nato
perché a un certo punto, mi sembra, questi e altri spiriti sono convenuti e
hanno creato uno spazio. Insomma, non è stata una decisione, ma un
allineamento, una predisposizione un po’ più larga in cui la mia cosiddetta
volontà si è d’incanto trovata.
Parlando al telefono, hai usato l’aggettivo “esperienziale”
per definire la stesura di Introduzione alla realtà. Vorrei che mi
raccontassi di nuovo questa cosa.
Alla base del libro c’è l’idea forte che la filosofia,
come era in origine nel pensiero antico e come è sempre stato per esempio nel
pensiero indiano, è la risposta – una delle risposte possibili – a
un’esperienza sconvolgente che può appartenere a tutti. Risalire a
quell’esperienza e da lì trarne un’espressione logica, concettuale e poetica è
anche il gesto che, inevitabilmente, ci fa sentire meno necessario il ricorso
all’erudizione. Forse è per questo che mi sono vietato di usare altri libri mentre
lo scrivevo e forse è anche questo il motivo per cui quasi tutte citazioni nel
testo sono a memoria. Nel giorno del giudizio, cantava Battiato, non ci servirà
l’inglese. L’esperienza sconvolgente è quel giorno del giudizio.
È un libro trasformativo a tutti gli effetti, che può avere
un impatto importante nella vita di chi lo legge. Tu cos’hai scoperto, mentre
lo scrivevi?
Più che scoprire qualcosa, ho sentito. Ho sentito il cuore,
ho sentito una vibrazione alta, un tambureggiare gentile e tanta gratitudine.
Anche qui, il punto mi pare che sia sempre la centralità dell’esperienza. Io
dovevo, si fa per dire, solo occuparmi, attraverso la scrittura, di non
allontanarmi troppo da quella musica e di restituirla, come espressione
dell’esperienza comune a noi umani, alle lettrici e ai lettori.
Sai che dopo averlo finito non sono più riuscito a tornare
sulle sue pagine? La lettura è stata intensa, mi ha dato molta energia ma
altrettanta ne ha richiesta.
Mi sembra una buona notizia. Il gattone ti ha trasformato in
gatto e ora hai bisogno di stare un po’ in disparte per lasciare andare via
qualcosa che hai letto, in quello stato di grazia tipicamente felino in cui
sonno e veglia si assomigliano. Tra l’altro io sono persuaso – senza alcuna
prova e senza alcuna pretesa di verità, ma solo per intuizione poetica – che le
fusa dei gatti, quando si trovano in quello stato, quel suono che è un drone,
li aiuti a cambiare stato di coscienza.
A proposito di felini. I gatti vedono la soglia, sembrano
quasi viverci. La soglia è un momento, ma può anche essere un luogo?
Ogni luogo, ma anche ogni istante, è una soglia. “Stai qui e
adesso”, qualunque cosa sia il qui e l’adesso, è uno degli inviti più belli e
potenti che ci siano. L’esperienza sconvolgente, che è come un gatto, è sempre
in agguato e non sai mai quando e da dove arriverà, perché, per dirla come il
predicatore di Furore di Steinbeck, “tutto è santo”. Rinuncia
a ogni aspettativa, diffida di ogni gerarchia, non fare troppi piani; insomma
diventa il gatto che ti tenderà l’agguato.
Introduzione è, pure, un libro di immagini assurde
nell’accostamento (il coriandolo che si fa multinazionale) come per la sorpresa
con cui appaiono (il cammello interstellare). Da dove vengono?
L’immagine del cammello mi è venuta qualche anno fa leggendo
un grande psicoanalista cileno, Ignacio Matte Blanco; se ricordo bene lui
prendeva questa immagine evangelica del cammello per illustrare come la nostra
vita conscia sia lo stretto passaggio attraverso il quale si manifesta il
complicatissimo e multidimensionale regno dell’inconscio freudiano, il
cammello, appunto. L’immagine del coriandolo deriva invece da una vecchia
intervista a Federico Fellini; parlava di cinema e di tv e descriveva il nostro
modo di avere a che fare con le immagini proprio come un processo di
coriandolizzazione.
Altra immagine potente: i “fatti” come lapidi in un cimitero.
Mi ha ricordato un detto francese riportato da Yona Friedman in epigrafe
a L’ordine complicato: “L’umanità è diventata troppo intelligente
per riuscire a capire qualcosa del mondo”. Qual è il problema con
l’intelligenza?
Gli scettici antichi e i mistici (ed è meraviglioso quando
queste due figure coincidono nella storia) mostrano come l’intelligenza,
lasciata a se stessa, sia inconcludente. Insomma, scettici e mistici sanno che
a ogni affermazione è sempre possibile opporre il suo contrario, con lo stesso
grado di intelligenza e di persuasività. Ho l’impressione che ci siamo un po’
dimenticati di questa grande lezione per abbandonarci al culto di
un’intelligenza che, alienata dal cuore, diventa procedura, calcolo, controllo;
il feticcio con cui, pensando di affrontare la paura e la sofferenza della
realtà, finiamo con il rafforzare la paura e la sofferenza della realtà (nel
genitivo oggettivo e soggettivo dell’espressione).
Ultima curiosità: da quale dimensione spaziotemporale ci
scrive l’autore dell’Introduzione? E da quella dimensione, a chi parla?
Nel libro c’è un “io” che poi diventa un “noi” che poi diventa un “tu”…
Ho voluto che Introduzione alla realtà fosse
scritta per essere letta sia da lettrici e lettori del XII secolo e sia da
lettrici e da lettori del 2600. Al di là della battuta, ci sono pochissimi
riferimenti a un tempo che possiamo riconoscere come il nostro, per dire, non
ci sono computer, aerei, eccetera, perché provare a stare in presenza
dell’esperienza sconvolgente, il Thauma, significa accedere a quella dimensione
comune a ogni tempo. Lo stesso discorso vale per la voce narrante, un noi
generico che diventa spesso tu e ogni tanto io. È il flusso dentro cui ogni
vivente nuota, e che solo provvisoriamente, e senza alcuna possibilità di
scelta, con timore e tremore, ci consente flebilmente e provvisoriamente, per
l’appunto, di dire noi, tu e io.
Nessun commento:
Posta un commento