Quanti guardano con crescente diffidenza e ostilità all’odierna immigrazione di masse ingenti di poveri africani o di giovani dell’est nel nostro Paese hanno la memoria corta. Eppure non sono passati tanti anni dal tempo in cui milioni di italiani e siciliani sono stati costretti a cercare in America o nel Nord Europa condizioni di vita migliori.
Anche per questo appare particolarmente opportuna la ristampa dell’editore Sellerio di un libro prezioso di Stefano Vilardo, già pubblicato da Garzanti, nel 1975, col titolo Tutti dicono Germania Germania. Poesie dell’emigrazione. L’ autore, nato a Delia (Caltanissetta) nel 1922, ha avuto la fortuna di essere stato, fin da giovane, compagno di studi ed amico fidato di Leonardo Sciascia .
Il libro risente fortemente dell’influenza del maestro di Racalmuto, e non soltanto per la bellissima prefazione che l’accompagna. In esso si trovano raccolte 42 storie di vita di giovani siciliani emigrati in Germania attorno al 1960. Le storie dei suoi compaesani, raccolte con un registratore del tempo, sono state rielaborate da Vilardo in forma poetica, senza però alterarne forma e sostanza. Anzi, come si rileva nel retro copertina della I edizione del libro, che meritava di essere riprodotta integralmente per la sua straordinaria incisività, i versi del Vilardo “mantengono ossessivamente il tono e gli accenti del parlato” dei giovani braccianti del suo paese "disgraziati senza cielo né terra”. Il lessico rimane proprio quello dialettale soprattutto quando, senza censure, registra la rabbia di quei giovani contro le classi dirigenti che “prima delle elezioni / distribuiscono miele di parole” per poi mostrare il loro vero volto di “sanguisughe velenose”.
I protagonisti di “questa Spoon River nostrana” sono i giovani emigranti di Delia che cercano, nella Germania mitizzata, il “paradiso” o la “manna del cielo”, rivelatasi, appena raggiunta, luogo di fatica e dolore. Vilardo riesce a cogliere in poche righe i tratti essenziali della vera storia dell’emigrazione ignorata fino allora dalle patrie lettere.
E su questo punto si sofferma Sciascia nella nota introduttiva al libro facendo proprio il giudizio di Antonio Gramsci. Questi nei Quaderni – che proprio nello stesso 1975 venivano riproposti in edizione critica – si era scagliato, con tagliente sarcasmo, contro quella letteratura “completamente inutile ed oziosa” che ha ignorato il fenomeno dell’emigrazione italiana all’estero, nelle sue reali dimensioni, proprio nello stesso momento in cui, nei primi decenni del 900, una delle più grosse ondate di emigrazione dall’Italia si riversava sulle Americhe.
Ci piace, pertanto, concludere questo invito a leggere il libro di Stefano Vilardo, con le parole gramsciane di Leonardo Sciascia:
“La classe dirigente italiana, e la cultura che la rappresentava, era talmente occupata a cercare le orme del Genio – negli anni del fascismo G. Volpe inaugurava una pubblicazione in più volumi su L’opera del Genio italiano all’estero – dall’anno mille alla Rivoluzione francese, che non si accorgeva delle centinaia di migliaia di italiani che, bestialmente stivate, continuavano a lasciare le itale sponde. Non voleva accorgersene, cioè, non voleva curarsene. Erano italiani senza genio (Genio): sapevano soltanto lavorare con le braccia, e duramente. In altro luogo Gramsci osserverà: e perché questa classe dirigente, la sua cultura, la sua letteratura, dovrebbe occuparsene quando sono all’estero, dei lavoratori italiani, se nemmeno se ne occupa quando sono in Italia?” (p.10, Edizione Sellerio).
Francesco Virga