Che cos’è la cultura di una nazione? Correntemente si
crede, anche da parte di persone colte,
che essa sia la cultura degli scienziati, dei politici, dei professori, dei
letterati, dei cineasti ecc.: cioè che essa sia la cultura dell'intelligencija. Invece non è così. E non è neanche la
cultura della classe dominante, che, appunto, attraverso la lotta di classe,
cerca di imporla almeno formalmente. Non è infine neanche la cultura della classe dominata, cioè la cultura popolare degli operai e
dei contadini. La cultura di una nazione
è l'insieme di tutte queste culture di classe: è la media di esse. E
sarebbe dunque astratta se non fosse riconoscibile - o, per dir meglio,
visibile - nel vissuto e nell’esistenziale, e se non avesse di conseguenza una
dimensione pratica. Per molti secoli, in Italia, queste culture sono state
distinguibili anche se storicamente unificate. Oggi - quasi di colpo, in una
specie di Avvento - distinzione e unificazione storica hanno ceduto il posto a
una omologazione che realizza quasi miracolosamente il sogno interclassista del
vecchio Potere. A cosa è dovuta tale omologazione? Evidentemente a un nuovo
Potere.
Scrivo “Potere” con la P maiuscola –
cosa che Maurizio Ferrara accusa di irrazionalismo su L’Unità (12-6-1974) –
solo perché sinceramente non so in cosa consista questo nuovo Potere e chi lo rappresenti. […]
Conosco anche - perché le vedo e le vivo
- alcune caratteristiche di questo nuovo Potere ancora senza volto: per esempio
il suo rifiuto del vecchio sanfedismo e del vecchio clericalismo, la sua
decisione di abbandonare la Chiesa, la sua determinazione (coronata da successo)
di trasformare contadini e sottoproletari in piccoli borghesi, e soprattutto la
sua smania, per così dire cosmica, di attuare fino in fondo lo
"Sviluppo": produrre e consumare.
L'identikit di questo volto ancora
bianco del nuovo Potere attribuisce vagamente ad esso dei tratti "moderni",
dovuti alla tolleranza e a una ideologia edonistica perfettamente
autosufficiente; ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la
tolleranza è infatti falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere
tanto normale e conformista come il consumatore; e quanto all'edonismo, esso
nasconde evidentemente una decisione a preordinare tutto con una spietatezza
che la storia non ha mai conosciuto. Dunque questo nuovo Potere è in realtà –
se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia - una forma
"totale" di fascismo. ma questo Potere ha anche "omologato"
culturalmente l’Italia: si tratta dunque di un’omologazione repressiva, pur se
ottenuta attraverso l'imposizione dell'edonismo e della joie de vivre.[…].
Ci sono pazzi che guardano le facce
della gente e il loro comportamento. Ma non perché epigoni del positivismo
lombrosiano (come rozzamente insinua Ferrara), ma perché conoscono la
semiologia. Sanno che la cultura produce codici, che i codici producono
comportamenti e che il comportamento è
un linguaggio. In un momento storico in cui il linguaggio verbale (come
quello scritto, aggiungo io) è tutto convenzionale e sterilizzato
(tecnicizzato) il linguaggio del comportamento (fisico e mimico) assume una
decisiva importanza.
Per tornare così all’inizio del nostro
discorso, mi sembra che ci siano delle buone ragioni per sostenere che la
cultura di una nazione (nella fattispecie l’Italia) è oggi espressa soprattutto
attraverso il linguaggio del comportamento […].
E’ a un tale livello di comunicazione
linguistica che si manifestano: a) la mutazione antropologica degli italiani;
b) la loro completa omologazione a un unico modello.
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