Ieri sera allo Steri ho assistito alla presentazione dell’ultimo libro di Salvatore Lupo - La mafia. Centosessant’anni di storia, Donzelli Editore, 412 pagine, 30 euro - che ripropone una nuova ed aggiornata sintesi dei suoi precedenti studi sull’argomento. L’impianto interpretativo, se non abbiamo capito male, rimane comunque quello già esposto 20 anni fa nella prima edizione della sua Storia della mafia, secondo il quale la mafia siciliana – strettamente legata a quella americana – punta soprattutto agli affari, al business, ed è autonoma dalla politica anche se di volta in volta riesce anche ad usarla.
Non a caso uno dei suoi bersagli polemici rimane il lavoro del sociologo olandese Anton Blok che nei primi anni settanta del secolo scorso , nel libro La mafia di un villaggio siciliano 1860/1960 (la prima edizione in lingua inglese del libro risale al 1972), aveva offerto una interpretazione più antropologica e politica del fenomeno mafioso. Ieri sera Lupo ha esagerato nella polemica con il sociologo. Ad un certo punto, infatti, pur senza nominarlo, gli ha dato dell’imbecille per la sua pretesa di comprendere il complesso fenomeno dall’osservatorio di un piccolo paese del corleonese. Il prof. Lupo dovrebbe sapere che, in ogni campo della ricerca scientifica, si procede sempre, tra cadute ed errori, a piccoli passi. Il lavoro di chi ha lavorato prima di noi non va mai disprezzato. Imbecille è solo chi crede che gli altri siano imbecilli.
In questa sua
nuova storia della mafia, Lupo utilizza più di prima Leonardo Sciascia,
soffermandosi particolarmente su un ironico racconto dello scrittore di
Racalmuto, filologia, che diventa
titolo di un capitolo del libro. Ma l’articolato e problematico punto di vista
sciasciano - che non si esaurisce nel racconto suddetto – non coincide affatto
con quello di Lupo.
Altra casa che
salta agli occhi, ad una prima veloce lettura del libro, è il silenzio assoluto
sull’opera di Danilo Dolci. Così mentre nei suoi precedenti lavori, seppure in
modo sommario, ne aveva scritto citando anche qualche suo testo, adesso lo
nomina, stranamente, solo per ricordare la sua condanna giudiziaria per
diffamazione senza spiegarne le ragioni.
Ultima
osservazione: il nuovo libro in copertina riproduce una celebre foto del
bandito Giuliano, una figura mitica nella Sicilia degli anni cinquanta del
secolo scorso sulla cui storia, come ben sa il prof. Lupo, esistono ancora zone
d’ombra. E’ vero che le copertine dei libri, in genere, non le fanno gli autori dei libri. Ma in un
libro che, come dice lo stesso autore nell’introduzione, ha l’ambizione di
liberarsi da tutte le mitologie e, pur consapevole degli “spazi torbidi e
oscuri” e della “rete di intrighi che costituisce la storia della mafia”,
quella foto che senso ha? (fv)
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