“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.” Antonio Gramsci
Un libro da leggere e prestare a tutti: Respinti. Le sporche frontiere d’Europa, dai Balcani al Mediterraneo, di Duccio Fracchini e Luca Rondi (Altraeconomia).
Suggerisco un piccolo libro molto eloquente già nel titolo Respinti. Le sporche frontiere d’Europa, dai Balcani al Mediterraneo, di Duccio Fracchini e Luca Rondi, edito da Altraeconomia (192 pagine, 16 euro).
È uno di quei libri che, come si dice, non le manda a dire: e ci racconta e spiega i destini comuni di donne, bambini, uomini che “la ricca Europa ha relegato ai margini dei propri confini e della storia.”
Il lavoro ricostruisce con dati generali, analisi delle politiche degli Stati e storie di persone, la cosiddetta “strategia” dei paesi Ue, Italia compresa, per “difendere le frontiere” da chi lascia i propri luoghi in cerca di una vita migliore.
È una strategia fatta di azioni e omissioni terribili, descritte dalle parole che usiamo quotidianamente, magari senza pensare cosa nascondono: “respingimenti”, “riammissioni”, “confinamenti”. Dietro c’è la “negazione del diritto di asilo, la vergogna dei campi, la violenza costantemente praticata nei confronti di persone inermi, costrette a vivere sospese e in condizioni inumane, a rischiare la vita nelle traversate, tra le dune, le onde, i boschi, la corrente dei fiumi e il filo spinato”.
Le note di speranza del libro sono ancora una volta affidate all’impegno delle Ong, che salvano nel mare Mediterraneo e aiutano chi arriva dall’est sul percorso che passa dai Balcani; e ai volontari e “solidali”, singoli o organizzati in associazioni – come la nostra, e lo scrivo con una punta di orgoglio – che sostengono, soccorrono, aiutano nella vita quotidiana delle nostre città chi è arrivato fin qui. Il libro è arricchito da alcuni interventi di studiosi, avvocati, operatori di Ong.
(Su rifugiati e migranti, in una letteratura vastissima, mi limito a segnalare le riflessioni fondamentali di Hannah Arendt, in Le origini del totalitarismo, (Edizioni di Comunità) e in molte sue altre opere; e la lunga analisi di Donatella di Cesare, Stranieri residenti. Una filosofia della migrazione (Bollati Boringhieri).
Per chi fosse interessato e voglia saperne di più, questo è l’indice di Respinti. Le sporche frontiere d’Europa, dai Balcani al Mediterraneo:
PREFAZIONE
L’asilo, da diritto a concessione di Gianfranco Schiavone
Capitolo 1
Prima di partire. Un quadro d’insieme
Capitolo 2
Polonia-Bielorussia. Cronaca di un attacco ibrido
Capitolo 3
I migranti lungo la rotta balcanica. Senza diritti nel cuore dell’Europa La tutela legale contro le riammissioni al confine orientale italiano: una questione aperta di Caterina Bove e Anna Brambilla
Capitolo 4
Mare mortuum. Requiem per il Mediterraneo
Capitolo 5
I confini interni. Buchi neri e morti dimenticati
L’accanimento. I valori perduti dell’Europa di Maurizio Veglio
Capitolo 6
Frontex is catching you! Il ruolo dell’Agenzia nella strategia Capitolo 7
Ucraina: chi paga di più la guerra
Conclusioni
Dentro e fuori. Tra ospitalità ed esternalizzazione, di Cristina Molfetta.
(Illustrazione: Refugees, Paritosh Sen, 1946, Wikiart)
L’ennesima tragedia dei migranti che muoiono davanti alle nostre coste, che potevano tranquillamente essere salvati prima, ha provocato una reazione unanime nel governo italiano che è stato ben espresso dalla premier addoloratissima per questo ennesimo naufragio: “Basta. Dobbiamo impedire le partenze”. Le ha fatto da megafono il ministro Piantedosi: “Non dovevano partire”.
Giusto, logico e pragmatico, non fa una grinza. Se nessuno parte su un barcone, gommone o altro mezzo, nessuno muore. Per questa intuizione dovrebbe essere conferito alla presidente del Consiglio, unitamente al suo Ministro degli Interni, uno speciale premio Nobel per pace, magari con una piccola specificazione: “per la pace eterna”.
Cosa significa “dobbiamo bloccare le partenze”? Significa che milioni di profughi che fuggono dalle guerre, dalla fame, dalla miseria, dalla siccità, dalle inondazioni, devono restare a morire nella propria terra. Ma, stia tranquilla, signora presidente del Consiglio: il 94% dei rifugiati, dei cosiddetti “diplaced people” si spostano all’interno dei loro paesi o in paesi confinanti, come il Niger, il Congo, il Sud Sudan, ecc. Solo il 6% emigra verso altri continenti, non necessariamente in Europa. Quelli che s’imbarcano per raggiungere le coste del Sud Europa sono quelli che non hanno più niente da perdere.
Sono una piccola parte del’1,3 milioni di siriani rimasti intrappolati in Libano in una spaventosa crisi economica che ha generato una forte pressione per rimandarli in Siria dove li attende a braccia aperte Bashar Assad, per dargli l’estrema unzione. Sono i curdi bombardati quotidianamente dal grande mediatore pacifista, il presidente Erdogan, che ricatta persino la Nato per poter giustiziare quei leader curdi che sono rifugiati politici nei paesi scandinavi. Sono tunisini che fuggono dalla miseria che dilaga in questo paese dove le grandi speranza accese dalla Primavera araba stanno definitivamente tramontando. Chi sale, pagando, su un barcone sovraffollato per venire in Italia, sa perfettamente che rischia la vita, ma non ha alternative, non ha una prospettiva diversa, una piccola fiammella di speranza.
Bene. Volete farli morire a casa loro in modo da poter dire “abbiamo salvato tante vite umane da quando abbiamo impedito le partenze verso l’Europa” ? Avete ragione: occhio non vede cuore non duole. Infatti, quanti europei o nordamericani sanno che gli ultimi 20 paesi del mondo per reddito pro-capite, aspettativa di vita, livello di istruzione, ecc. , i cosiddetti Last Twenty, sono per oltre i 2/3 paesi attraversati da guerre e conflitti. Guerre alimentate dalle nostre industrie delle armi, fomentate da chi vuole prendersi le risorse di questi paesi, guerre dimenticate che producono fame, devastazione ambientale e migrazioni di massa. Non è la mancanza di investimenti, di risparmio, di know how, di tecnologia, che hanno provocato l’impoverimento di questi paesi, ma le guerre di lunga durata.
E noi cosa facciamo? Aumentiamo la spesa per armamenti fino al 2% del nostro Pil, in modo tale che possiamo continuare ad aiutare questi popoli a casa loro. Se solo spendessimo una piccola parte di questi miliardi per i corridoi umanitari molti rinuncerebbero a rischiare la vita puntando su una futura possibilità di arrivare dignitosamente nel nostro paese. Come già avviene grazie alla Caritas, a Sant’Egidio e alla Federazione delle Chiese Evangeliche, che finanziano i corridoi umanitari dal Libano, dalla Libia, dall’Afghanistan ecc.
Si tratta, purtroppo, di piccoli numeri che hanno un grande valore umano – ogni vita salvata ha un valore- ma non possono offrire una risposta adeguata come potrebbe offrirla lo Stato. Ed invece il nostro governo pensa a murare le frontiere, a fare morire in mare i profughi impedendo alla Ong di salvarli, spostando verso Nord i porti autorizzati in modo tale che queste navi umanitarie possano salvare il meno possibile, le nostre industrie cercano disperatamente manodopera che non trovano più, devono ridurre le attività per mancanza di personale.
Ma, neanche i richiami di Confindustria riescono a incidere su un governo così spietato, cinico, crudele, come non l’avevamo mai visto. Se non ci sarà una ribellione di massa, se la maggioranza degli italiani resterà indifferente rispetto a queste stragi di migranti, allora avremo perso definitivamente la nostra umanità.
… siete lo stesso coinvolti. Perchè in mare la vita umana è un valore assoluto, che non può dipendere dalle condizioni meteo, o dalle esigenze di dimostrare fermezza nella difesa delle frontiere marittime o nella “lotta ai trafficanti”
Questa volta le vittime di naufragio non le potranno nascondere, e neppure giustificare. Troppo facile dare la colpa di tutto a qualche presunto scafista o alle organizzazioni criminali che fanno partire i barconi che attraversano il Mediterraneo con il loro carico di persone costrette alla fuga in mare per la situazione tremenda che hanno vissuto nei paesi di origine, Iran, Pakistan e Afghanistan, questa volta, ed in quelli di transito come la Libia, o la Turchia, e per la mancanza di canali legali di ingresso ( come visti umanitari o visti per ricongiungimento familiare). Contro di loro la cancellazione del diritto di asilo, con l’avallo dell’Unione Europea, voluta da chi si propone di bloccare le partenze in collaborazione con i paesi di transito. Soccorsi mancati, se è vero che il barcone era stato avvistato da un assetto aereo di Frontex a 40 miglia dalla costa, molte ore prima del naufragio, ma i primi mezzi di soccorso della Guardia di finanza, secondo quanto riferiscono le versioni ufficiali dei media, sono stati costretti a tornare indietro per le condizioni del mare. Ed evidentemente non erano disponibili, o non sono state inviate, motovedette della Guardia costiera, che sono più idonee ad operare soccorsi in ogni condizione di tempo. Perchè in mare la vita umana è un valore assoluto, che non può dipendere dalle condizioni meteo, o dalle esigenze di dimostrare fermezza nella difesa delle frontiere marittime (law enforcement) o nella “lotta ai trafficanti”.
Centinaia di corpi dispersi in mare, decine di cadaveri che affiorano nelle acque davanti la costa crotonese, punto di sbarco ben noto, da anni, per i barconi che provengono dall’Egitto e dalla Libia orientale (Cirenaica). Se non addirittura dalla Turchia, dopo il rinnovo degli accordi dell’Unione Europea e della Grecia con Erdogan. Le vie di fuga terrestri verso l’Europa, infati, sono sempre più disseminate di muri. Rotte dal’Egeo allo Ionio, sulle quali non operano le ONG, ormai allontanate anche dal Mediteraneo centrale, ma che attraversano una zona SAR, quella maltese, in cui le autorità di La Valletta non intervengono se non all’interno delle loro acque territoriali (12 miglia dalla costa). In questa zona di mare, in tante occasioni, i mezzi della Guardia costiera italiana hanno soccorso migliaia di persone, prima che i barconi si avvicinassero alla costa, dove i frangenti e gli scogli possono causare naufragi dalle conseguenze mortali, come e’ successo oggi. Questa volta nessuno è arrivato in tempo, o forse si pensava che il barcone potesse raggiungere la costa, malgrado i frangenti sollevati dalla burrasca, sempre più violenti in prossimità della spiaggia. Di certo non risultano atività di coordinamento dei soccorsi dalle 20 di sabato scorso, ora del primo avvistamento del barcone da parte di un aereo di frontex, a 40 miglia dalla costa, In un tratto di mare in cui certo non mancavano imbarcazioni in transito, come emerge quotidianamente dai tracciati delle rotte navali commerciali.
Secondo il Regolamento UE n.656 del 2014, (al Considerando 8)“durante operazioni di sorveglianza di frontiera in mare, gli Stati membri dovrebbero rispettare i rispettivi obblighi loro incombenti ai sensi del diritto internazionale, in particolare della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, della Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare, della Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo, della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale e del suo protocollo per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria, della Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo status dei rifugiati, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo”. Tutte queste Convenzioni contengono disposizioni relative alla tutela dei diritti fondamentali delle persone in situazione di ericolo in mare, che avrebbero dovuto impedire l’assimilazione dell’attività di ricerca e salvataggio ad una attività di immigrazione irregolare, ad un mero “evento migratorio”.
Forse, non si può dire che queste vittime siano conseguenza diretta del Decreto legge Piantedosi, approvato a colpi di fiducia dal Parlamento, ma non basta neppure attribuire tutte le responsabilità alle organizzazioni criminali, spesso in combutta con gli stessi governi dei paesi terzi con i quali non si esita a concludere accordi di respingimento. Anche se tutti sanno che fine faranno i naufraghi riportati a terra. In mano a milizie senza scrupoli che li sequestreranno, abusandone, e li rivenderanno ancora una volta, oppure li rimetteranno su un barcone lanciato verso le coste italiane. Oppure potrebbero scattare altri respingimenti a catena, fino a riportarli nel paese di origine dal quale sono stati costretti a fuggire per salvare la vita. Basti pensare a quello che succede oggi in Iran ed in Afghanistan, paesi di origine di molte delle vittime del naufragio sulla spiaggia crotonese, o in molti paesi dell’Africa subsahariana. Ma anche in Turchia i profughi siriani e afghani vivono in condizioni terribili e sono a rischio di respingimento. Per questo cercano la fuga attraverso il Mediterraneo. Ma non si poteva intervenire con mezzi adeguati per soccorrerle in tempo prima che le onde le inghiottissero?
I tempi di intervento dei mezzi di soccorso statali sono da tempo dettati dall’agenda politica, piuttosto che dall’esigenza di salvare prima possibile vite umane. E per le autorità marittime italiane i barconi che continuano a navigare verso coste insidiose come quelle pugliesi e calabresi, caratterizzate da bassi fondali, possono anche non essere in situazione di distress, di pericolo grave ed attuale per le persone a bordo. Anche se in base al Regolamento europeo n.656 del 2014 dovrebbero tutte essere dichiarate in tale situazione e dunque essere soccorse immediatamente. Spesso si preferisce monitorare il loro percorso come se si trattasse di un comune “evento di immigrazione irregolare” e non di una situazione SAR. Pagine e pagine di procedimenti penali intentati a vuoto contro le ONG, ed oggi archiviati, documentano queste prassi operative di abbandono in mare imposte dai vertici politici.
Non si può attendere che i barconi carichi di migranti provenienti dall’Egitto e dalla Cirenaica arrivino “in autonomia” sulle coste della Calabria, come si attende che arrivino allo stesso modo i barconi che raggiungono Lampedusa. Le dotazioni tecniche dei sistemi di controllo delle frontiere marittime, e i mezzi aerei impegnati dall’agenzia Frontex, consentono di tracciare già in acque internazionali queste imbarcazioni, soprattutto quelle più grandi che, dopo essere partite dalla zona di Tobruk o di Bengasi, se non dalla Turchia, hanno attraversato mezzo Mediterraneo. Le Convenzioni internazionali di diritto del mare, il Piano Sar nazionale del 2020, in conformità con il manuale internazionale IAMSAR, impongono interventi in acque internazionali, anche al di fuori della zona di ricerca e salvataggio (SAR) riconosciuta da ciascuno Stato costiero. Se la vita umana e’ in pericolo non ci si può trincerare dietro questioni di competenza, come avviene troppe volte con Malta e con la Tunisia. E non basta invocare la collaborazione dei paesi terzi nella lotta contro i trafficanti, un rituale al quale si assiste da anni, che non ha risparmiato una sola vittima in mare.
Se si verificano tragedie come il naufragio di oggi, davanti alla costa crotonese, occorre verificare quali assetti di soccorso sono stati impegnati a partire dal momento delle prime notizie sull’avvistamento del barcone che poi è naufragato. Certo le ONG non sono mai state stabilmente presenti in quella zona, ed il loro allontanamento, frutto del Decreto legge Piante,dosi, potrà avere conseguenze mortali prevalentemente sulla rotta del Mediterraneo centrale. Ma da anni sappiamo che l’impegno delle unità di soccorso italiane in acque internazionali, al di fuori della zona SAR italiana, è soggetto a forti limitazioni per ragioni politiche indotte dai mancati accordi di coordinamento con Malta e dalle linee di intervento stabilite dal governo e dal ministro dell’interno. Non si può dimenticare che, dopo i casi Diciotti e Gregoretti, le unità militari della Guardia costiera più grosse sono state ritirate nelle acque territoriali, e tenute adirittura ferme per settimane nel porto di Catania. Come se anche per loro scattasse la possibilità di una accusa, di essere un fattore di attrazione (pull factor), se concorrevano a salvare troppe vite umane in acque internazionali. Troppe vite umane sono andate perdute in alto mare, proprio per queste accuse.
Adesso queste stragi non si devono più ripetere. Se non basta limitarsi a chiedere che l’Italia rispetti i suoi doveri di coordinamento con Malta, e che le autorità maltesi ratifichino tutti gli emendamenti alle Convenzioni internazionali SAR che non hanno ancora sottoscritto, è altresì fondamentale che la magistratura accerti, oltre alla presenza di qualche presunto scafista, la dinamica degli interventi di soccorso ed il rispetto degli obblighi di ricerca e salvataggio imposti agli Stati costieri. Perchè queste tragedie sono state anche frutto, nel corso del tempo, della mancanza di coordinamento e di interventi da parte degli Stati costieri, come è documentato nel caso della strage dei bambini dell’11 ottobre 2013 ( caso Libra). Allora tanti bambini tra i naufraghi, che avevano almeno commosso l’opinione pubblica, ed avevano quasi costretto la magistratura ad avviare indagini, dopo le denunce dei genitori sopravvissuti ai loro figli, oggi altri bambini dispersi in mare, ed altri genitori disperati in lacrime, che potrebbero presto scomparire dall’attenzione generale, nell’indifferenza che dilaga nel corpo sociale per effetto del consenso prestato alle politiche di “difesa dei confini” e di ” lotta all’immigrazione clandestina ed ai trafficanti”. Che non sono certo gli unici colpevoli di queste stragi.
ADN0272 7 CRO 0 ADN CRO NAZ MIGRANTI: BARCONE AVVISTATO DA VELIVOLO FRONTEX, MOTOVEDETTE GDF RIENTRATE PER CONDIZIONI MARE = Crotone, 26 feb. (Adnkronos) – Era stato avvistato nella serata di ieri da un velivolo Frontex in attività di pattugliamento il barcone – probabilmente partito da Izmir (Turchia), circa 4 giorni fa – che è poi naufragato all’alba davanti alla costa di Cutro, provando decine di morti. A quanto si legge in una nota della Guardia di Finanza Roan di Vibo Valentia, il barcone è stato avvistato a circa 40 miglia dalle coste crotonesi ed è stato immediatamente attivato il dispositivo per intercettarlo, con la vedetta V.5006 della Sezione Operativa Navale Gdf di Crotone e il Pattugliatore Veloce P.V. 6 ”Barbarisi” del Gruppo Aeronavale Gdf Taranto, che, nonostante le proibitive condizioni del mare che questa notte insistevano lungo le coste, si sono impegnati nella ricerca. Tuttavia, “le unità del Corpo, nonostante gli sforzi operati per raggiungere il target, considerate le difficili condizioni meteomarine e l’impossibilità di proseguire ulteriormente in sicurezza, facevano rientro agli ormeggi di base. Veniva così attivato il dispositivo di ricerca a terra, lungo le direttrici di probabile sbarco, coinvolgendo anche le altre forze di polizia nelle ricerche lungo la costa. Successivamente, le pattuglie e i soccorsi nel frattempo giunti sul posto, non potevano far altro che constatare lo spiaggiamento dell’unità ormai completamente smembrata. Purtroppo al momento non è certo il bilancio delle vittime, in quanto le ricerche sono ancora in corso, sia sul mare che via terra, lungo tutto il tratto costiero”. (Cro/Adnkronos) ISSN 2465 – 1222 26-FEB-23 12:46
“Il naufragio avvenuto in Calabria è una “tragedia immane” che mi addolora profondamente e ci impone innanzitutto il profondo cordoglio per le vite umane spezzate”. Lo dice il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, sottolineando che “è fondamentale proseguire in ogni possibile iniziativa per fermare le partenze” dei migranti.”
COMUNICATO DI SENZA CONFINE . ROMA . 26 FEBBRAIO 2022
Di fronte all’ennesima strage nel Mediterraneo, non si può tacere sull’ipocrisia delle dichiarazionidi politici italiani e europei che invocano di volta in volta chi la necessità di fermare le partenze, chi i trafficanti, chi la necessità di un patto europeo per le migrazioni.
Chi è responsabile delle partenze se non una sciagurata politica neoliberista e predatoria, che sostiene cleptocrazie che devastano interi paesi e continenti, responsabile di guerre e crisi climatica?
Di chi è la colpa se non di chi costruisce muri attorno alla Fortezza Europa?
Chi crea e sostiene i trafficanti se non coloro che attraverso leggi ingiuste impediscono canali di ingresso legali in Europa?
Chi è responsabile delle sciagure in mare se non chi manca di mettere in campo una missione ufficiale di soccorso e attraverso provvedimenti legislativi lesivi della legalità internazionale gli stessi soccorsi che invoca li impedisce?
La nave naufragata era partita da Smirne in Turchia. Dal Paese dove l’autocrate Erdogan ha ricevuto dall’Unione Europea miliardi di Euro per fermare i flussi migratori verso quell’Europa che tace di fronte alla guerra di annientamento che lo stesso Erdogan conduce contro il popolo curdo anche oltre i propri confini e che nemmeno il devastante terremoto del 6 febbraio scorso è riuscito a fermare.
Il ruolo delle narcomafie in Turchia e altrove nella gestione dei flussi migratori è stato denunciato da Dino Frisullo più di venti anni fa. Si vergognino coloro che di fronte a quelle denunce hanno chiuso gli occhi e si sono tappati le orecchie e che hanno invece sostenuto e tuttora sostengono i governi che le tollerano e ne traggono profitto.
L’unica risposta a questa ennesima strage sono una missione europea di soccorso in mare e l’istituzione di canali di ingresso legali per migranti e richiedenti asilo attraverso una completa revisione delle leggi sull’immigrazione di questo paese.
Roma, 26 febbraio 2023
Associazione Senzaconfine
Pezzo ripreso da: https://comune-info.net/anche-se-voi-vi-credete-assolti/
Il mio caro amico Bernardo Puleio, prof. di Storia e Lettere al Liceo Umberto di Palermo, ha pubblicato poco fa un commento, che condivido pienamente, su un editoriale dell'odierno Corsera che ripropongo di seguito insieme all'articolo contestato. (fv)
L' ANTIFASCISMO OGGI
Raramente, perlomeno negli
ultimi tempi, sul Corriere ho letto un editoriale più
ideologicamente disonesto, più storicamente falso di quello che segue.
Alcune
precisazioni: l'antifascismo è un bene fondante della Costituzione della nostra Repubblica. In Italia non va data per scontata l'adesione al valore dell'antifascismo: non lo è mai stato nei decenni
precedenti, non lo è oggi. E d'altronde l'antifascismo è stato una conquista della Resistenza ed è diventato valore
costituzionale grazie , soprattutto ai socialisti, ai comunisti, ai liberaldemocratici e al Partito d'Azione. In secondo luogo la Democrazia
Cristiana, come ci ricordava tanti anni fa Sciascia, è apparsa ai più
come la logica continuazione del regime fascista. Intanto per il gran
numero di fascisti che si sono riciclati in quel partito e poi
sostanzialmente per la mancanza di senso dello Stato che ne ha
caratterizzato in massima parte l'operato. Anzi scriveva Sciascia il
motivo per cui la Democrazia Cristiana ha goduto tanto successo è
proprio perché è apparsa come la logica continuazione del Fascismo. Esiste soprattutto l'antifascismo
laico rappresentato in primo luogo dal Partito Comunista e poi anche
da altre minoranze di altre partiti compreso partiti di Centro come
repubblicani liberali, parte del mondo cattolico. Ma, appunto, di
minoranze si tratta. Invece questo articolo disonestamente, dimenticando la sostanziale continuità tra il regime democristiano e
quello fascista, vorrebbe farci credere che c'è stato l'antifascismo
dei Martiri e poi l'antifascismo violento. Stop e nient'altro. E
L'antifascismo pienamente legale degli antifascisti non violenti?
Delle due l'una: o è uno scritto in malafede o è un articolo di
grandissima ignoranza.
(BERNARDO PULEIO)
CORRIERE
DELLA SERA 27/ 02/ 2023 PAG. 24
Goffredo
Buccini, GLI INDIFFERENTI D'OGGI
Antonio
Gramsci scriveva del suo odio per gli indifferenti cinque anni prima
che il fascismo s'impadronisse dell'Italia: «Il male avviene perché
la massa degli uomini abdica alla sua volontà», cioè si gira
dall'altra parte per pavido quieto vivere di fronte alla brutalità,
alla soperchieria, ai dispotismi. Un potente richiamo, che sembra
riecheggiare queste parole, è venuto da Sergio Mattarella.
Consegnando a trenta ragazze e ragazzi l'attestato di Alfiere della
Repubblica per la loro testimonianza di coraggio civile nella nostra
quotidianità, il presidente ha ricordato quale esempio da onorare
gli studenti tedeschi della Rosa Bianca che sfidarono in patria la
barbarie di Hitler a costo della vita. E ha citato la violenza d'ogni
giorno, quella sfociata nell'aggressione al liceo fiorentino
Michelangiolo e quella nelle famiglie, nelle case, nelle strade,
contro la quale il vero antidoto è sempre l'azione solidale, la
disponibilità a farsi coinvolgere. È dunque l'empatia, motore di
«quei comportamenti positivi che nella società si realizzano»,
anche la vera cura contro l'indifferenza: la quale è, tuttavia, un
morbo assai difficile da contenere e sigillare in una sola provetta
politica, poiché opera su un piano metastorico, nel lato oscuro di
ogni coscienza.
È,
di certo, quella che sentì attorno a sé Liliana Segre, quando le
leggi razziali di Mussolini la cancellarono dal suo mondo. Ma può
diventare la complice della polizia morale di Teheran nella
repressione delle donne iraniane. Oppure la manutengola degli
squadroni della morte argentini. O del jihadista solitario che
s'avventa contro una folla, contando sul fatto che essa è composta
da individui, ciascuno dei quali poco propenso a rischiare sé stesso
per l'altro. L'indifferenza di chi poteva opporsi al male e non lo
fece (dunque della stessa grana di quella odiata da Gramsci),
accompagnò il calvario del diciottenne missino Sergio Ramelli, prima
perseguitato e poi ammazzato a sprangate nel 1975 da militanti di
Avanguardia operaia: quando il papà di Sergio andò dai dirigenti
della sua scuola a dire che lo minacciavano, quelli, anziché
intervenire, gli suggerirono di cambiargli istituto e si strinsero
nelle spalle.
C'è
un'indifferenza che può ferirci ogni giorno. Ma l'Italia non è
quella paventata dalla «Città Futura» di Gramsci, che si preparava
a inchinarsi a un dittatore, e grazie a Dio non è neppure quella
delle chiavi inglesi e degli agguati sotto casa di mezzo secolo dopo.
Le parole vanno misurate per non tirar fuori dall'armadio vecchi
fantasmi. La vicenda di Firenze, con il pestaggio di alcuni studenti
dell'istituto Michelangiolo ad opera di militanti di destra, pare
dopo una prima scaramuccia causata da un volantinaggio di
quest'ultimi, ha riscaldato molto gli animi, provocando una serie di
prese di posizione esasperate, che rischiano di riproporci uno
sgangherato remake di una brutta pellicola già vista. Siti e social
hanno reagito all'ennesima potenza, secondo linee di faglia
antistoriche, eppure ancora presenti in alcuni segmenti della nostra
società, a sollecitazioni che sono venute non solo dalle
intemperanze dei ragazzi ma dalla sovraesposizione mediatica del
mondo degli adulti. Non si tratta di distribuire torti e ragioni. La
faccenda non può e non deve essere un derby tra tifoserie di
sinistra e di destra: tra la preside Savino (che in una circolare ai
suoi studenti ha giustamente condannato l'episodio del Michelangiolo,
poi inerpicandosi tuttavia in una discutibile analisi sul momento
storico del Paese che pareva estrapolata da un film di Costa Gavras)
e il ministro leghista Valditara (non nuovo a sortite precipitose,
intervenuto contro di lei con una reprimenda e velati annunci di
provvedimenti poi ridimensionati).
Si
tratta di tirare un bel respiro e raffreddare gli animi.
Sostenere
che c'è oggi in Italia un pericolo totalitario non è soltanto
inesatto e fuorviante, è rischioso: perché può trasformarsi in una
profezia che si autoavvera nell'universo giovanile, con conseguenze
gravi. Bacchettare pubblicamente una dirigente scolastica
trasformandola in una pasionaria agli occhi degli allievi e facendo
deflagrare il caso è, del resto, altrettanto smisurato. Cortei di
antagonisti che inneggiano alle foibe e minacce dirette a Valditara,
da un lato, e foglietti di estrema destra che parlano di <<agguati
dei rossi» con lo stesso gergo dei loro nonni picchiatori sono
segnali certo marginali, certo non rappresentativi del mondo
giovanile. La vera dimensione di tanti nostri ragazzi è quella di
quei trenta Alfieri insigniti da Mattarella, quella del volontariato,
del terzo settore, dell'impegno silenzioso.
Tuttavia,
le spie d'allarme di queste ore non sono da sottovalutare. Perché
sottendono a un equivoco ancora strisciante nel nostro discorso
pubblico. E l'equivoco - data per letta e assodata anche in sede
costituzionale la messa all'indice del fascismo – riguarda,
paradossalmente, l'antifascismo. Nella nostra vicenda repubblicana se
ne sono stratificate due specie, assai diverse per ispirazione e
natura. Il primo antifascismo è quello che ha creato l'Italia che
conosciamo e amiamo, quello della Resistenza, dei fratelli Rosselli e
di Gobetti, di Pertini e di Parri, ispirazione e carne viva della
nostra Carta. Il secondo è quello militante, inquinato da teppismo e
terrorismo, degli anni Settanta e Ottanta, degli assassini di Ramelli
e Paolo Di Nella, che ebbe come corrispettivo il rigurgito (quello
sì) di neofascismo inveratosi nelle trame nere e nelle squadracce
giovanili. La nuova destra al governo in Italia ha sulle spalle una
grossa responsabilità: saper distinguere. Abbracciando il primo
antifascismo nel nome della Costituzione e superando il secondo nel
nome della pacificazione nazionale. Maggioranza e opposizione
condividono poi una responsabilità forse ancor più grande: battere
insieme l'indifferenza. C'è un'occasione da cogliere tra meno di due
mesi, il prossimo 25 aprile: se sapremo celebrare la nostra
Liberazione con empatia, nel rispetto e la comprensione per chi visse
quel giorno come un lutto, e nell'affetto e il riconoscimento per chi
ci regalò quella vittoria quale riscatto morale. Come la vicenda del
Michelangiolo ha dimostrato, i ragazzi ci guardano.
Perdonate, ma le vostre dichiarazioni di cordoglio e di dolore risultano oggi insopportabili, sovrapponendosi, ancora una volta, al silenziato strazio e dolore di chi è sopravvissuto alla scomparsa delle persone più care. Persone che hanno pagato con la vita il rifiuto delle istituzioni italiane ed europee di assumersi le proprie responsabilità davanti a questa strage continua che da trent’anni ha trasformato il Mediterraneo in ciò che è stato per secoli il Black Atlantic, la nuova rotta della tratta degli schiavi.
Un rifiuto espresso da troppo tempo e così palesemente, in parole ed atti, dalle istituzioni che voi rappresentate. Chi non affonda in mare, in questa lotta per la sopravvivenza, riesce a far valere con indicibile coraggio il proprio diritto alla vita, a fuggire l’oppressione, la miseria e la morte, ma arrivato qui verrà ridotto al silenzio.
Il vostro, invece, di silenzio potrebbe far spazio, umano e civile, alla loro di voce, al dolore e alle ragioni, di chi, oggi in ginocchio su una spiaggia senza neanche gli affetti più cari, è riuscito ad aggirare le barriere della fortezza europea, approdando in Europa.
Se ascoltiamo invece di parlare potremo comprendere che – secondo le nostre leggi fondamentali, di cui siete garanti – hanno tutto il diritto non solo all’ascolto, ma all’asilo, alla cura, alla protezione che invece gli vengono illegittimamente impedite e possibilmente rifiutate con ogni mezzo.
Oggi le vittime sono afghani, curdi, iracheni, iraniani, il 3 ottobre 2013 erano etiopi ed eritrei, anche loro fratelli e sorelle divise da confini nazionali e coloniali disegnati da noi europei, attorno e lungo i quali per secoli abbiamo sobillato conflitti in difesa dei nostri ”interessi nazionali”.
Con diversi nomi, da diversi Paesi, le persone annegate ieri fanno parte di un unico popolo in lotta per la libertà e contro l’oppressione delle donne, che a parole sosteniamo, in cui potremmo rispecchiarci se solo volessimo continuare a dare un senso al nostro progetto europeo.
Tra meno di un mese quei fratelli e quelle sorelle celebreranno insieme ciò che le unisce da sempre, Il Newroz o Nowruz, il nuovo giorno, il capodanno di origine zoroastriana che celebra l’amore per la Primavera e la libertà. Festa vietata e osteggiata dai diversi regimi, con cui si scacciano, danzando intorno al fuoco, i fantasmi e le avversità dell’inverno e si accoglie la primavera con la speranza che porti finalmente libertà e gioia.
Quest’anno le avversità sono state davvero troppe contro il popolo del NWRZ, lo scrivo con le sole consonanti, le stesse nelle diverse lingue, oltre alla lotta contro i regimi oppressivi di Afghanistan, Iran, Siria e Turchia, e le milizie integraliste che in forme diverse ne difendono gli interessi, c’è stato il devastante terremoto e oggi questo colposo naufragio.
Da anni a Roma, donne e uomini liberi, festeggiamo questa data con le sorelle e i fratelli curdi, afghani e iraniani, danzando attorno al fuoco, una festa che quest’anno, car* President* dovreste invitare tutti gli italiani e tutti gli europei a festeggiare, per essere vicino a questo popolo transnazionale che dovremmo avere come unico amico, perennemente in lotta contro regimi criminali e fanatismi religiosi, in un territorio devastato da anni di guerre e oggi anche dal terremoto.
Non sono povere vittime delle circostanze e dell’odioso traffico di esseri umani, quelle che abbiamo di fronte, ma partigian* della vita, della speranza e della libertà, coraggios* protagonist* di una lotta fino allo stremo per tutto ciò che noi europei sembra abbiamo rinunciato a difendere e praticare.
Non lo sapevamo..?, sembra di sentire, ancora una volta, nel frastuono delle onde: non lo sappiamo perché non li ascoltiamo i sopravvissuti di questa eroica lotta, meglio in caso dar voce ai loro salvatori, alle ragioni del loro buon cuore, pur facendo presente che la loro solidarietà per quanto comprensibile può essere in contrasto con l’interesse collettivo e diventare un crimine contro “la legge” che difende i cittadini da pericolose “orde di diseredati”, che a volte diventano terroristi quando si vuole terrorizzare e che quando muoiono in tanti e troppo vicino alle nostre coste, sono vittime innocenti.
Ma i protagonisti, i veri eroi di questa lotta senza confini per la libertà e la vita, loro, vengono sempre e comunque relegati al silenzio, ad una vita di stenti e privazioni, allo sfruttamento schiavista, in balia della malavita organizzata, comunque facendo di tutto per limitarne i diritti fondamentali. Vengono sfiniti con procedure interminabili, omissioni di accoglienza, attese, disguidi, distrazioni, razzismo, truffe, file ed errori che sempre più si configurano come una strategia di dissuasione e rifiuto, usata per vessare lo spirito e il corpo già provati e disporli allo sfruttamento mafioso.
A loro viene impedita anche la libera, per “tutti”gli altri, circolazione europea, vengono individuat* nella moltitudine, per supposizione, illazione, presunzione fisiognomica, non solo ai confini, ma nelle stazioni, nelle piazze, al mercato, sotto casa. Vivono terrorizzati anche dopo aver avuto i documenti necessari al loro riconoscimento.
Il loro diritto è sempre reversibile.. non riesce mai ad essere cittadinanza, così funzionale mantenere in loro l’apprensione, l’incertezza, la paura… Si cerca così di impedir loro il diritto a prendere parola, per evitare in ogni modo che la loro verità venga a galla, che le pratiche e le norme a cui vengono sottoposti, di fatto illegittime per qualsiasi sistema democratico, possano divenire capi di accusa contro un regime che forse può dirsi ancora democratico verso le persone a cui riconosce cittadinanza, ma che da troppo tempo è di fatto un regime di apartheid.
Apartheid verso una casta di non aventi diritto, su cui viene esercitato un portamento oppressivo e violento, coloniale e razzista, proprio di quei regimi dittatoriali di cui pensavamo, almeno qui in Europa di esserci liberati per sempre.
A questa casta da domani apparterranno gli eroi ed eroine sopravvissut* al naufragio, che distrutt* dal dolore hanno oggi iniziano la loro lotta per la sopravvivenza, la libertà e la vita nel nostro Paese, in Europa. Ancora non sanno che anche qui verranno vessati dal potere, consumati dal dolore e dalla fatica, sfiniti. A questa casta di oppressi europei ridotti al silenzio apparterranno domani quelle che per voi, oggi, sono povere vittime su cui spargere dolore e cordoglio di circostanza.
Car* President*, fate per cortesia silenzio, invece di esprimere il vostro di dolore, lasciate esprimere il loro, ascoltatele e ascoltateli, prendete nota di quanto dobbiamo loro, per rispettare le nostre stesse leggi e principi fondativi: diritto all’ospitalità, alla cura alla protezione, tutte cose che le istituzioni che rappresentate avrebbero dovuto garantire anche a chi non ce l’ha fatta ed è per questo che sono morte, altro che potenti reti di trafficanti, più potenti di voi?.
Se ascoltandoli invece di parlare comprendeste tutto ciò allora si che il loro dolore sarà diventato anche davvero il vostro e la sua sincera condivisione una strada, da intraprendere al più presto, per ridurre le sofferenze e le ingiustizie, ripristinare la gioia, il diritto e la libertà in Europa, aiutando loro a fare altrettanto nella terra del NWRZ.
"Alfredo Bosco è un fotoreporter serio e imparziale che ha lavorato in Donbass dal 2014. Gli è stato vietato di lavorare con altri giornalisti italiani ed è stato costretto a tornare in Italia. Grazie a Jacopo Storni per averne scritto sul Corriere Fiorentino."
Dobbiamo muoverci subito e in maniera intelligente ed efficace per mettere in crisi i nostri governi che ci stanno conducendo velocemente all’«estate incandescente». C’è bisogno di un grande movimento popolare per scuotere i nostri governi, con tattiche nonviolente come quelle praticate da Extinction Rebellion e Giudizio Universale. Oggi è sempre più importante muoversi verso azioni di disobbedienza civile, anche accettando il tribunale o il carcere, e boicottare la finanza che continua a investire sui fossili
I dati sul disastro ecologico mondiale sono sotto gli occhi di tutti e fanno tremare. Siamo sull’orlo del baratro. È da due milioni di anni che non accadeva che nell’atmosfera ci fosse una concentrazione media di anidride carbonica (CO2) di 419 parti per milione.
Questi i dati ufficiali dell’Osservatorio della Commissione Europea. Inoltre, l’Osservatorio aggiunge che la concentrazione media di metano in atmosfera è arrivata a 1.894 parti per miliardo, responsabile di quasi metà (0,52%) del riscaldamento globale, che non si registrava da 800.000 mila anni.
Tutto questo avviene mentre il governo Meloni vuole trasformare l’Italia in un hub europeo del gas! Nel suo viaggio a Tripoli, Meloni ha siglato un contratto di otto miliardi di euro per realizzare questo.
Le conseguenze le tocchiamo con mano: l’estate scorsa è stata la più calda mai registrata e l’autunno scorso il terzo più caldo mai registrato. Questo è il frutto amaro delle politiche criminali dei governi, prigionieri delle multinazionali dei fossili.
La prima vittima di queste politiche è il bene più prezioso che abbiamo: l’acqua. Gli esperti, infatti, prevedono che entro il 2040 l’Italia avrà meno 50% di disponibilità idrica. È incredibile che ora il governo Meloni permetta con il Decreto Aiuti IV la trivellazione di idrocarburi nell’alto Adriatico e alla foce del Po. Questa politica fa dell’Italia il peggior paese in Europa per emissioni di CO2. Questi decreti violano l’articolo 9 della nostra Costituzione che è stato da poco modificato in meglio. «La Repubblica italiana tutela l’ambiente, la biodiversità e gli eco-sistemi, anche nell’interesse delle future generazioni».
Ma anche la Ue continua a perseguire politiche ambientali nefaste. Basta un esempio: l’inserimento del gas e del nucleare nella «tassonomia verde» costituisce per la Ue il necrologio del suo Green Deal.
E questo grazie alla massiccia presenza di 40.000 lobbisti a Bruxelles. Ma anche in chiave internazionale non c’è molto da sperare. Ne è la riprova il fallimento della COP 27 di Sharm El Sheikh (Egitto) lo scorso novembre. E questo grazie all’invio del più grande contingente di lobbisti del settore.
Per questo diventa assurdo tenere la COP 28 a Dubai (Emirati Arabi Uniti) nel prossimo autunno soprattutto perché il presidente della COP28 sarà Ahmed Jabber, amministratore dalla compagnia petrolifera degli Emirati. Vuol dire, in un momento così critico per l’ambiente a livello mondiale, votare al fallimento anche la COP 28. Purtroppo, la Ue ha applaudito tale scelta!
Ma c’è un altro aspetto che rende ancora più preoccupante questo quadro: il pauroso riarmo mondiale in atto, il nucleare e le micidiali guerre che pesano sempre di più sull’ecosistema. Siamo folli: il nostro sistema economico-finanziario-militarizzato mercifica tutto e le conseguenze sono sotto i nostri occhi: un Pianeta in fiamme.
Davanti a una così grave situazione, Greta Thunberg, leader dei Fridays for Future, afferma: «Non abbiamo più il tempo di accompagnare la gente piano piano. Perché quando si parla di crisi climatica, come afferma Alex Steffen, vincere lentamente equivale a perdere».
Dobbiamo muoverci subito e in maniera intelligente ed efficace per mettere in crisi i nostri governi che ci stanno conducendo velocemente all’«estate incandescente». Chiaramente perrealizzare questo c’è bisogno di un grande movimento popolare per scuotere i nostri governi, con tattiche nonviolente come quelle praticate da Extinction Rebellion e Giudizio Universale. Oggi è sempre più importante muoversi verso azioni di disobbedienza civile, accettando il tribunale o il carcere.
È in ballo la vita umana Il Movimento Giudizio Universale ha portato lo Stato italiano davanti al tribunale di Roma con l’accusa di inerzia e negligenza nell’affrontare la crisi climatica.
In Olanda l’associazione Milieudefensie ha portato la Shell al Tribunale dell’Aja che l’ha obbligata a ridurre il 45% di gas serra entro il 2020. Anche Greenpeace ha deciso di intraprendere un’azione legale contro la decisione della Ue di includere il gas e il nucleare nella «tassonomia verde».
Inoltre, la Rete Legalità per il Clima, network di avvocati, fondata dall’avvocato Luca Saltalamacchia, ha inviato una diffida ad UniCredit e Intesa San Paolo perché smettano di finanziare i progetti climalteranti (www.giustiziaclimatica.it).
Ma soprattutto insisto sull’importanza del boicottaggio delle Banche che investono nei fossili. Tra il 2016 e il 2020, ben 3.800 miliardi di dollari sono stati accordati dalle istituzioni finanziarie al settore combustile fossile.
Lo rileva il rapporto Banking on Climate Chaos. Al primo posto in Italia c’è Intesa San Paolo, seguita da Unicredit, Deutsche Bank, BPN Paribas, Credit Suisse, UBS e HSBC. C’è già da vari anni una forte campagna internazionale contro le Banche che investono in fossili, promossa anche dal Consiglio Ecumenico delle Chiese di Ginevra.
In Italia è rilanciata ora da Extinction Rebellion. È un obbligo civico ed etico per ogni cittadino sapere come i propri soldi sono utilizzati dalla propria banca. Disinvestire diventa oggi una delle forme più efficaci di resistenza. Ora o mai più.
Pezzo ripreso da: https://comune-info.net/il-clima-e-sullorlo-del-baratro/