19 febbraio 2023

UN RACCONTO DA PALMA di MAIORCA

 

Pezzo ripreso da https://www.nazioneindiana.com/2023/02/19/il-fotogramma/


Il fotogramma

di Giuseppe Raudino

Mi sono passati accanto due uomini della guardia civil in sella a due splendidi andalusi bianchi. Zoccoli scalpitanti, muscoli tesi, una linea di schiuma come un febbrile sudore. Andatura possente. I simboli di virilità si sprecano, così non capisco quei berretti dalla visiera corta e quelle camicie azzurrine da polizia municipale.
Sono seduto su una panchina a 
Parc de la Mar, proprio dove è avvenuto il fatto. A malapena riesco a vedere uno dei due rosoni dell’imponente cattedrale di Palma. Ci sono punti in cui si riflette tutta sull’acqua, ed è uno spettacolo di linee gotiche che scorrono sulla superficie vibrante, di pienezze e vacuità e chiaroscuri che tremano appena sull’incresparsi dello specchio salmastro.

Immagino che la macchina, cadendoci dentro, abbia generato prima una scia, come quelle che lasciano le papere in navigazione sugli stagni, e poi sia crollata a picco dopo qualche metro.
La forma della cattedrale specchiata nella notte sarà stata simile a una lacrima che vibrava nella fioca controluce di una candela, mentre l’abisso notturno si inghiottiva i due passeggeri. Che tragedia. Un uomo e il figlio della compagna. Una tragedia, un incidente inevitabile. Ma siamo sicuri che sia stata davvero una fatalità?

Diamo subito i nomi, perché se continuiamo a chiamarli con appellativi generici rischiamo di non percepirli per quello che sono: esseri umani veri a cui è capitato qualcosa di inaccettabile. Uomini, donne, bambini, vittime, cittadini, padri, madri e figli: quelli sono tutti e nessuno, nessuno e centomila. Le vittime di questa storia sono tre: Juan Carlos, alla guida; il piccolo Giancarlo, sul seggiolino accanto a lui; e Veronica, che li stava aspettando a casa e che da allora continua ad aspettarli.

Conosco Veronica da vent’anni, ben prima che dall’Italia si trasferisse a Maiorca, prima che nascesse Giancarlo dalla precedente relazione e prima che conoscesse Juan Carlos.
Appena mi è giunta la notizia, ho preso il primo aereo e sono corso qui. Non so se lei abbia capito, compreso a fondo. Sta nel suo letto, non parla, non mangia. Si lascia fare le flebo per tenersi viva e tenere così vivo il dolore. Le ho promesso che farò del mio meglio, ma non so se abbia capito anche questo. Non posso condurre un’indagine come in Italia, non ho contatti ufficiali con la 
guardia civil. Qui sono solo un turista, il poliziotto posso farlo solo a Roma.

Poco prima di partire, mi sono andato a guardare su Google Earth tutti i punti citati dagli articoli di cronaca dei giornali maiorchini. Me li sono studiati da ogni angolazione tramite Street View e poi li ho incrociati con i percorsi probabili di quella sera.
Il piccolo Giancarlo era andato a una festa di compleanno. Veronica preparava la cena e Juan Carlos era andato a prendere il bambino per riportarlo a casa. Vivevano da sei mesi insieme, lei si era trasferita nell’attico di lui appena fuori il centro. Veronica mi aveva mandato le foto e mi aveva invitato ancora una volta perché venissi a trovarla. Avrei preferito accettare l’invito in circostanze più gioiose…
Dicevo dei percorsi. Tra l’indirizzo della festa e l’attico di Juan Carlos, 
Parc de la Mar non è di passaggio. C’è stata di certo una deviazione, una deviazione inaspettata, forse.
Non sappiamo quando l’auto sia caduta in acqua, perché non ci sono testimoni, per cui non sappiamo nemmeno se, dopo aver preso alla festa Giancarlo, Juan Carlos sia andato direttamente là, nel luogo dell’incidente, oppure abbia prima incontrato qualcuno da quelle parti. Gli inquirenti stanno cercando di capirci qualcosa su orari e percorsi andando a visionare le immagini delle telecamere di sicurezza sparse un po’ ovunque, ma ci vorrà del tempo. Forse avrò accesso a qualche dato per mezzo dell’avvocato di Veronica, che le ho immediatamente consigliato di consultare e che mi pare segua un po’ troppo pigramente il caso.
Quello che sappiamo finora è che non sono state trovate tracce di frenata prima del salto in acqua, per cui si ipotizza un colpo di sonno.

A me l’ipotesi del colpo di sonno non sembra plausibile. Non alle nove di sera. Veronica dice che non era stanco né stressato, questo è riuscito a farmelo capire. Prima di mettersi in macchina non aveva toccato nemmeno una lattina di birra. Non usava droghe o medicinali che potessero influire sulla guida.

In genere, era una persona nell’apparenza equilibrata. Veronica l’aveva conosciuto a una mostra d’arte in Italia e i due si erano subito piaciuti. A quel tempo era separata da poco. Giancarlo aveva due anni circa ma Juan Carlos non si era lasciato scoraggiare quando aveva appreso che lei aveva già un figlio. E così le aveva fatto ugualmente la corte in modo spudorato e l’aveva invitata da lui, alle Baleari. Doveva essere una vacanza di una settimana e invece c’era rimasta per tutti questi anni. Le piaceva la vita isolana, meno caotica di quella di Roma, eppure non meno divertente. C’era a Palma un modo diverso di occupare il tempo, con meno traffico e più ristoranti di pesce. Aveva trovato facilmente un lavoro in una agenzia immobiliare dove cercavano qualcuno che parlasse l’italiano e in cambio le fornivano un appartamento in centro niente male a un prezzo molto conveniente. Ciò che le restava dello stipendio al netto delle spese era una somma discreta, e in più aveva sole e mare tutto l’anno. I fine settimana li dedicava a esplorare l’isola e, quando si ricordava di questo vecchio amico dell’università che sarei io, mi inviava qualche foto: la spiaggia dove nuotava Anais Nin, lo studio di Picasso, il pianoforte con cui Chopin aveva composto una celebre sonata, la casa di Robert Graves, la tomba di Raimondo Lullo. Sembrava che tutti i grandi fossero passati da Maiorca in punta di piedi.

Io non andai mai a trovarla. Mi sentivo a disagio perché lei non conviveva con Juan Carlos e loro due conducevano una vita quasi da fidanzati piuttosto che da partner stabili. Mi imbarazzava l’idea di lasciarmi ospitare da lei mentre il fidanzato abitava nel suo appartamento qualche chilometro più in là. E così mi trovai sempre qualche scusa. Invece ci incontravamo a Roma, immancabilmente per una pizza o almeno un caffè, quello sì, perché lei tornava un paio di volte l’anno a trovare i suoi. Juan Carlos non l’accompagnava mai. Io Juan Calos l’ho solo in visto in foto: da vivo, e ora anche da morto. Tutti i quotidiani non hanno pubblicato altro, negli ultimi giorni. Perfino una foto di lui con Giancarlo, che hanno reso irriconoscibile per deontologia professionale e per pietà, coprendo gli occhi con un rettangolo nero che rende l’immagine ancora più triste.

Juan Carlos non mi è mai piaciuto. Ripeto, non lo conosco affatto, ma uno che non viaggia mai insieme alla propria compagna… Mi pareva volesse tenere le distanze. Non so, non riesco a farmene un’alta opinione.

***

Il mio spagnolo parlato è molto arrugginito ma a leggere me la cavo benissimo. Sfogliando un quotidiano, mentre sono in cerca di indizi, mi cade l’ occhio su un trafiletto: un’orchestra italiana dà un concerto alla cattedrale proprio questa sera. Ho sentito parlare di questo direttore, un pallone gonfiato che però sa il fatto suo. Sono incuriosito e decido di andare.
Il concerto è prima di cena, al vespro, e quando sono nel mastodontico edificio capisco il perché di questa scelta insolita. Il rosone, al tramonto, si lascia attraversare da un fascio luminoso perfettamente allineato che ne proietta i colori esattamente sotto il secondo rosone, sulla facciata opposta. La figura proiettata conserva la stessa policromia e i due cerchi si sfiorano, quasi a formare un otto.
Che spettacolo: mentre l’orchestra suona divinamente, si forma sulla parete dell’abside questo otto gigante. Se il sette è il simbolo cristiano della perfezione, come i giorni per creare l’universo, che è perfetto, come la somma tra Dio trino e i quattro punti cardinali terresti; l’otto è il sette più uno, ovvero la perfezione in sovrabbondanza, come la celebrazione delle ottave, come l’intervallo musicale ascendente che corrisponde all’estasi.
Dentro la cattedrale mi pareva di assistere anche a me a un’estasi, alla transverberazione dell’infinito, che poi l’infinito si rappresenta con una cifra che è un otto coricato.

***

Quando esco dal concerto sono scosso. La vista di quella proiezione policroma, unita all’armonia sovrannaturale della musica suonata dall’orchestra sotto la direzione di quel talentuoso maestro, mi hanno fatto sentire sospeso come in un altro mondo. Contemplavo le volte gotiche, il soffitto altissimo, le campate e le navate, l’altare appena nascosto dai musicisti, il silenzio profondo di quel luogo sacro. Mi sentivo quasi a contatto col mistero divino.

Appena uscito fuori ho riacceso il telefono e sono comparse alcune notifiche. Tra di esse, ho subito notato quella di un mio amico che si intende molto di social e di ricerche online, tanto che lavora come responsabile per la comunicazione di una nota influencer italiana, una stella nel mondo del fashion blogging.
Avevo chiesto aiuto a questo mio amico per reperire materiale online sull’incidente che è costato la vita a Juan Carlos e al piccolo Giancarlo. Per questo ho aperto il suo messaggio con apprensione. Mi scrive di essere riuscito a trovare un fotogramma di un istante prima dell’incidente. L’ha reperito in un gruppo privato di forze di polizia su Facebook. Ha preteso di essere una giovane recluta della 
guardia civil in procinto di essere assegnata a Soller e l’hanno ammesso. Che gran figlio di puttana, questo mio amico: a forza di viaggiare con la sua bella amica influencer, parla tante lingue e mastica bene persino il catalano.
Ad ogni modo, questo fotogramma non è stato ancora acquisito agli atti dal giudice, ma rivelerebbe una grande novità secondo gli agenti che se lo scambiano online per un confronto di opinioni: il fotogramma mostrerebbe un tentativo di frenata. Strano che la perizia non abbia rilevato tracce di pneumatici sul luogo.

Un fotogramma, dunque. Solo un fottutissimo fotogramma. I commenti parlavano chiaro: non era un’immagine estrapolata da un video ma piuttosto una foto vera e propria, come quella di un autovelox.
Io me la sono guardata e riguardata a lungo, questa foto. Torno al 
Parc de la Mar per capire quale congegno l’abbia scattata, e si tratta proprio di un apparecchio che entra in funzione quando un veicolo accede a quell’area interdetta al traffico. Lo scopo è quello di immortalare il numero di targa e risalire al proprietario del mezzo per recapitargli una bella multa. La macchina fotografica è fissata a un palo, in alto. Evidentemente scatta la foto anche dal lato opposto, dopo che il veicolo è entrato nella zona pedonale, così può riprendere la targa anche se si tratta di una moto.
La foto è di una nitidezza incredibile. Sembra in tonalità di grigio, come le se le immagini fossero state riprese grazie a un sensore a infrarossi. Malgrado il buio, dunque, si vedeva nitidamente la scena dentro l’abitacolo, e questo mi ha fatto impressione. Mi ha fatto impressione vedere la faccia tesa di Juan Carlos pochissimi istanti prima della sua morte e, accanto a lui, la faccia di Giancarlo seminascosta da un palloncino della festa da cui si era appena accomiatato. Il palloncino è chiaramente uno di quelli gonfiati con l’elio, in grado di volare e trattenuti da un filo, la cui estremità è generalmente ben serrata nelle mani di un bambino.
La foto non lasciava spazio a dubbi: il palloncino, non solo fluttuava contro il tettuccio della macchina, ma era tutto proiettato contro il parabrezza, spinto chiaramente in avanti per inerzia. Qualunque altro oggetto non ancorato e libero di muoversi si sarebbe comportato così, scagliandosi in avanti contro il parabrezza, appena il guidatore avesse pigiato il pedale del freno.

***

Rientro a casa di Veronica, la trovo sotto sedativi. L’infermiera che la accudisce mi consiglia di riposare e di rilassarmi con un bel bagno caldo, perché la donna si sarebbe svegliata solo il giorno successivo.
Decido di seguire quel consiglio e mi preparo un bel bagno profumato. La vasca è enorme e lussuosissima. Appena mi immergo, sento il mio corpo fluttuare. Avverto una leggera sonnolenza, mi appisolo un istante e quando mi sveglio sono nel mio appartamento romano immerso nella vasca da bagno a casa mia.
Che brutto sogno. Ma che fortuna che sia stato solo un sogno. Oggi in ufficio ho avuto una giornata pesante e queste sono le conseguenze. Mi sento risollevato per il piccolo Giancarlo, eppure in me prevale quel sentimento di strazio che ho provato sognando e che adesso si attarda a svanire nonostante sia sveglio, come un cattivo odore che non vuole abbandonare una stanza malgrado si vadano ad aprire tutte le finestre. Forse so come far dissipare quell’afrore: devo parlare con qualcuno di questo sogno strambo e così l’incubo sarà libero di volare via. Ovviamente non posso confidarmi con Veronica, perché sarebbe di cattivo gusto; se fossi sposato, ne avrei parlato con mia moglie; con i colleghi poliziotti non è il caso, hanno già tanti pensieri tetri con cui convivere. Non mi resta che parlarne con mio padre, che è un vecchio professore di matematica in pensione ed è ben lieto di ricevere telefonate che interrompano la sua solitudine. Non è la persona più adatta con cui discutere di faccende legate ai sogni e all’inconscio, ma per lo meno sa ascoltare bene.
Afferro il telefono. Il suo numero è tra le mie ultime chiamate in uscita. Ho ancora l’asciugamano attorno ai fianchi e cammino scalzo fino all’armadio in cerca di qualcosa da mettere. Dopo qualche convenevole, vedo al sodo e gli racconto tutto i sogno, senza tralasciare alcun dettaglio.
Quando ho finito lui sospira a lungo. Mi chiede se ricordavo la storia del rosone e gli allineamenti di luce. Me l’aveva raccontato lui anni prima, quando gli avevo parlato dell’imminente trasferimento di Veronica a Maiorca. Mi dice che il fenomeno avviene il 2 di febbraio e l’11 novembre, date simmetriche al solstizio d’inverno. Gli allineamenti astrali lo hanno sempre affascinato, perché ci sono i numeri dentro, e questi numeri li conoscevano già alla perfezione gli astronomi del passato. Poi mi dice una cosa che, se possibile, mi scuote ancora di più: che il palloncino di elio che si schianta contro il parabrezza non è un segno di frenata ma di accelerazione.
Mi riprendo subito dallo shock e gli faccio presente che non ha senso quello che dice. Deve essersi sbagliato, non è logico: un oggetto si proietta in avanti per inerzia in caso di frenata, come un passeggero sull’autobus che cade in avanti se all’improvviso scatta il rosso e l’autista pigia il pedale del freno troppo bruscamente.
Mio padre mi risponde che invece è logico ciò che mi ha detto lui, cioè che il palloncino, in caso di frenata, non va in avanti come tutti gli altri oggetti, ma indietro. La forza di inerzia è in questo caso trascurabile, perché l’elio è leggerissimo, addirittura più leggero dell’aria. Il palloncino è soggetto alla legge di Archimede, come un corpo umano che entra in una vasca: avendo il corpo umano un peso specifico più leggero di quello dell’acqua, riceve una spinta verso l’alto, contraria alla forza di gravità che invece lo spinge in basso. Lo stesso l’elio con l’aria: l’elio è specificamente più leggero e allora l’aria circostante, nella quale è immerso, lo spinge verso l’alto.
Continuo a non capire perché il palloncino, in caso di frenata, dovrebbe andare verso il lunotto posteriore anziché verso il parabrezza. Mio padre mi risponde dicendomi che il principio del grande Archimede vale anche in orizzontale: la macchina, frenando, sposta per inerzia – quello sì – un quantitativo d’aria maggiore verso il parabrezza. Schiaccia l’aria dell’abitacolo verso il parabrezza. L’aria là davanti dentro la macchina diventa più concentrata, più “pesante”. La reazione del palloncino d’elio è quella di essere spinta verso dietro, con una forza di verso opposto, che punta verso i sedili posteriori. Generalmente l’unica forza che si applica al principio di Archimede è quella della gravità terrestre, verso il basso, e la reazione avviene verso l’alto. Ma se la forza applicata al principio di Archimede avviene in avanti, la reazione si avrà nel senso opposto, cioè verso dietro.

***

Chiudo con mio padre, che ha il tatto di non darmi dell’ignorante, e chiamo Veronica. Sembra contenta di sentirmi. Chiedo in generale come va. Mi pare che la mia domanda sia un grilletto che faccia scattare l’esplosione. Va male, malissimo, e in più ha fatto uno strano sogno su Giancarlo. Dice di averlo visto in compagnia di tanti altri bambini su un arcipelago tropicale. Lei non riusciva a raggiungerlo e Giancarlo viveva là in una specie di stato selvaggio e primordiale, desiderando di tornare a casa ma impossibilitato a farlo. A una madre basta uno sguardo per capire quello che passa per la testa e per il cuore dei propri figli. Erano tutti bambini soli e dovevano arrangiarsi senza genitori e adulti. Mi racconta pure che ultimamente non va tanto bene con Juan Carlos: è nervoso, si incazza per qualsiasi sciocchezza, soprattutto per il disordine che porta in giro Giancarlo, sempre più pasticcione e curioso di sperimentare. Fogli, matite colorate, mattoncini Lego dappertutto, mobili, maniglie e telecomandi toccati con le mani unte di patatine.
Le faccio qualche domanda più specifica, per capire la serietà di questi atteggiamenti di Juan Carlos. Non sono uno psicologo, ma i criminali li conosco e sono noiosamente prevedibili. Li puoi raggruppare in poche categorie archetipiche che si contano sulle dita di una mano.
Più risponde alle mie domande, e meno la faccenda mi piace. Gli chiedo dove si trovi adesso Juan Carlos, da come mi parla liberamente ho capito che non è in casa.
Veronica mi dice che è assente per lavoro e tornerà tra un paio di giorni.
Ascoltami, le dico, penso che tu e Giancarlo siate in pericolo. Prendo il primo volo e ti raggiungo. Anch’io ho un sogno da raccontarti, ma lo farò di persona. Se pensi che possa rincasare prima del previsto, vai con Giancarlo in un albergo e aspettami lì.
Veronica si fida. Non protesta, non sminuisce. Forse la mia telefonata era ciò che aspettava senza saperlo, ciò di cui aveva bisogno.
Arrivo a Fiumicino in meno di un’ora, faccio il biglietto e mi imbarco. Una hostess mi fa accomodare al mio posto. La guardo: io ho un debole per le donne dai capelli biondi, ma questa, per essere una brunetta, è molto carina, anzi è proprio bella. Quando siamo in volo, porgendomi una tazza di caffè, non posso fare a meno di notare il suo polso pieno di braccialetti tutti tintinnanti che mi ricordano i sonagli di un trastullo per neonati.

Veronica si fida. Non protesta, non sminuisce. Forse la mia telefonata era ciò che aspettava senza saperlo, ciò di cui aveva bisogno.
Arrivo a Fiumicino in meno di un’ora, faccio il biglietto e mi imbarco. Una hostess mi fa accomodare al mio posto. La guardo: io ho un debole per le donne dai capelli biondi, ma questa, per essere una brunetta, è molto carina, anzi è proprio bella. Quando siamo in volo, porgendomi una tazza di caffè, non posso fare a meno di notare il suo polso pieno di braccialetti tutti tintinnanti che mi ricordano i sonagli di un trastullo per neonati.

(l’immagine: la cattedrale di Palma di Maiorca)



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