“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.” Antonio Gramsci
07 febbraio 2025
KAFKA VISTO DA H. ARENDT
Hannah Arendt
Ripensando a Franz Kafka. In occasione del ventesimo anniversario della morte, 1944, Antologia, Feltrinelli, Milano 2006
Se le opere di Kafka fossero davvero delle semplici profezie di incombenti sciagure, non varrebbero davvero più di tutte le altre apocalittiche profezie che ci hanno tormentato sin dall'inizio del secolo, o, meglio, fin dagli ultimi trenta-quaranta anni del secolo scorso. Charles Péguy, che ha avuto il discutibile onore di essere annoverato fra tali profeti, ha detto una volta: "I1 determinismo, nella misura in cui esso può essere addirittura immaginato, forse non è altro che la legge dei resti". Si tratta di una verità molto precisa. Se è vero che la vita viene inevitabilmente e naturalmente a concludersi con la morte, si può sempre predirne la fine. La via naturale è sempre quella del declino e della fine, ed una società che si rimetta ciecamente al carattere di necessità delle leggi che si è data non potrà che finire. I profeti, da parte loro, non possono essere altro che profeti di disgrazie dal momento che delle catastrofi si possono sempre prevedere. Il miracolo è rappresentato dalla salvezza e non dalla fine perché solo la salvezza, e non la fine, dipende dalla libertà dell'uomo e dalla sua capacità di modificare il mondo ed il suo corso naturale. La folle idea, tanto diffusa ai tempi di Kafka come ancora ai giorni nostri, che il compito dell'uomo sia quello di sottomettersi ad un processo predeterminato da forze qualsiasi, non può che accelerare il declino naturale perché nella follia della sua libera scelta l'uomo non fa altro che venire in aiuto alla Natura e alla sua tendenza verso il declino. Le parole del cappellano della prigione nel Prozess svelano la vera natura dell'occulta teologia e della più intima fede dei funzionari, cioè una fede assoluta nella necessità; questi finiscono per essere degli esecutori di tali necessità, quasi ci fosse bisogno di funzionari per mettere in funzionamento il processo del declino e della rovina. In quanto funzionario della necessità l'uomo diventa un funzionario totalmente superfluo al servizio della legge naturale della caducità, e, dal momento che egli è più che natura, si abbassa al livello di efficace strumento di distruzione. Come una casa costruita dagli uomini secondo dei criteri umani sarà certamente condannata allo sfacelo non appena essa rimarrà disabitata e sarà abbandonata dall'uomo al suo destino, altrettanto certo è che il mondo, costruito dagli uomini e funzionante secondo leggi umane, tornerà ad essere una parte della natura e, in quanto tale, abbandonato al suo catastrofico declino non appena gli uomini decideranno di ridiventare una parte della natura, ovvero uno strumento cieco ma estremamente preciso delle leggi naturali.
In tale contesto è relativamente irrilevante che l'uomo, ossessionato dalla necessità, creda nel progresso o nel declino del mondo. Se il progresso fosse davvero "necessario", se costituisse una legge davvero inevitabile e sovrumana che abbracciasse tutte le epoche della nostra storia e nella cui rete l'umanità fosse fatalmente impigliata, la forza ed il cammino del progresso non potrebbero essere meglio descritti di come ha fatto Walter Benjamin in queste righe delle sue Geschichtsphilosophische Thesen:
"L'angelo della storia [...] ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta."
La migliore dimostrazione che Kafka non appartiene alla schiera dei nuovi indovini è forse il fatto che leggendo le sue storie più terrificanti e più atroci, che nel frattempo hanno trovato riscontro nella realtà se addirittura non ne sono state superate, continua sempre ad assalirci un senso d'irrealtà. Sono i suoi eroi spesso senza nome e contrassegnati da una semplice iniziale. Ma ammettendo pure che la loro seducente anonimità sia dovuta soltanto al caso dell'incompletezza dei suoi racconti, questi personaggi non sono affatto degli uomini, delle persone che noi potremmo ungiorno incontrare nella vita reale. Sebbene siano minuziosamente descritti non possiedono affatto quelle singole e singolari caratteristiche, quei piccoli e spesso superflui tratti del carattere che insieme concorrono a dare la vera immagine di un vero essere umano. Questi personaggi si muovono in una società in cui ognuno ha un ruolo specifico ed in cui ciascuno è, per così dire, definito dalla propria professione; essi si distinguono da quella società ed assumono un ruolo centrale nell'azione in quanto, a differenza di tutti gli altri, non hanno un impiego o un lavoro determinato e il loro ruolo rimane quindi indefinibile. Ne consegue così che neppure gli altri personaggi delle opere di Kafka sono uomini reali. I suoi racconti non hanno niente a che fare con la realtà dei romanzi realisti.
Paul Klee, Angelus Novus, 1920
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