“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.” Antonio Gramsci
03 febbraio 2025
L' ARMISTIZIO DELL' 8 SETTEMBRE 1943
“Armistizio”: radiografia di un’Italietta in mano al Re e Badoglio
28 Dicembre 2024
|In Libri
|Di Onide Donati
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C’è la tragedia di una nazione nei 45 giorni che separano la caduta di Mussolini il 25 luglio 1943 dall’Armistizio dell’8 settembre. Ce li racconta, quei 45 giorni, Giovanni Benaglia in “Armistizio – La storia di come il Re e Badoglio hanno consegnato l’Italia in mano ai nazisti” pubblicato da Boookstones edizioni (pagine 230, euro 18). Benaglia, di professione commercialista, è al suo secondo libro: si era già cimentato nella scrittura con “Colpevole fino a prova contraria. Discorso attorno al nostro sistema fiscale e al suo trattarci come incalliti evasori”, una brillante analisi su l’Italia e le tasse. Ora Benaglia, attingendo a numerose fonti storiche, consegna al lettore il quadro di un’Italietta che si credeva tanto furba da tenere in scacco americani e britannici e di restare “amica” dei tedeschi. Forse nei due libri, pur così tanto diversi, si scorge il minimo comun denominatore di quegli italici vizi che tengono il paese sempre sull’orlo del precipizio: bellico ieri, economico oggi. E oggi, per di più, governato da forze non tanto diverse da quelle del disastro dell’8 settembre.
8 settembre 1943, quando l’Italia collassa e i tedeschi ne prendono il controllo
Certo è che nel precipizio dell’8 settembre non era inevitabile cadere se è vero che ancora, nella mattinata del 10 settembre 1943, le forze armate italiane avevano il controllo militare di Roma e i tedeschi, con presenze troppo frazionate sul territorio, arrancavano sorpresi dalla prestazione dell’ex alleato. L’Italia dalla sera dell’8 settembre era inopinatamente diventata nemica della Germania e si era arresa agli anglo americani mettendosi sotto la loro tutela.
Il Corpo d’armata motorizzato, i Granatieri di Sardegna, i Lanceri di Montebello e altri reparti, pur senza ordini specifici, avevano rintuzzato i movimenti tedeschi. Nonostante tutto: nonostante un armistizio con gli alleati anglo americani interpretato in modo ambiguo dalla Corona e dai vertici politici e militari italiani e sconosciuto a più di mezzo governo; e nonostante la totale assenze di direttive a chi era stato abbandonato sul campo di battaglia. Perché, come si sa, con la resa incondizionata agli alleati anglo americani e l’armistizio l’Italia era collassata mentre ai vertici dello Stato la preoccupazione erano due: salvare la pelle e, se possibile, rubare un po’ di roba pubblica.
Tutto questo succedeva dopo una melina indegna che aveva portato l’Italia a chiedere a inglesi e americani di annunciare l’armistizio, firmato a Cassibile in Sicilia il 3 settembre tra i generali Giuseppe Castellano e Walter Bedell Smith, non prima del 12 settembre. Questo, nei fantasiosi piani di Badoglio e del Re doveva permettere di meglio organizzarsi contro la prevedibile reazione tedesca, di prendere tempo insomma. Ma inglesi e americani tempo non ne avevano e non ne concessero.
La fuga codarda e fin troppo facile del Re e Badoglio
Una saga di errori pietosi cui aveva messo la parola fine l’annuncio dell’armistizio dato nel pomeriggio dell’8 settembre 1943 da Radio Algeri dal generale Eisenhower, comandante in capo delle forze anglo americane e ribadito di malavoglia, alle 19,45, da Pietro Badoglio dai microfoni della Eiar. E pensare che poche ore prima il Re, al Quirinale, aveva rassicurato l’ambasciatore tedesco Rahn che mai e poi mai l’Italia avrebbe tradito la Germania. Il messaggio alla radio di Badoglio ordinava di «cessare le ostilità contro le forze angloamericane e di reagire a eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza». Mentre parlava il presidente del Consiglio aveva un piede sulla via Tiburtina per fuggire dall’inferno che i tedeschi avrebbero scatenato su Roma (già profondamente segnata dal bombardamento anglo americano su San Lorenzo del 19 luglio).
Il libro lascia il lettore all’alba del 9 settembre. Vittorio Emanuele III, Badoglio, una variopinta compagnia di generali, lo stato maggiore militare quasi al completo, parenti e servitù della Corona e della presidenza del Consiglio, fuggono fin troppo comodamente – appunto per la Tiburtina – in direzione Pescara per poi imbarcarsi da Ortona alla volta di Brindisi sulla corvetta “Baionetta”. Il comandante della nave era forse l’unico militare italiano ad avere ricevuto precise disposizioni: portare i fuggitivi (alcuni palesemente imbucati) in salvo a Brindisi. La “Baionetta” aveva levato l’ancora all’1,10 del 10 settembre e aveva sbarcato la comitiva a Brindisi alle 16. A quell’ora Roma era persa, capitolata in mano ai tedeschi comandati dal generale Kesserling, come i due terzi dell’Italia.
Nella tragedia una sola cosa era andata liscia come l’olio: la fuga indecorosa di chi l’Italia doveva difenderla e salvarla. Eppure, durante le lunghe trattative che avevano portato poi alla firma dell’Armistizio a Cassibile in Sicilia il 3 settembre, era stato previsto un piano di difesa della Capitale. Contava sull’impiego di una divisione di paracadutisti americani che avrebbero dovuto assumere il controllo dei punti strategici della città al comando del generale Maxwell Taylor. Gli italiani sapevano perfettamente che l’operazione sarebbe stata autorizzata dagli alleati – già al lavoro per lo sbarco in Normandia – solo nelle condizioni di massima sicurezza, e quindi con un ruolo attivo e coordinato dell’esercito italiano. Il Re, Badoglio e gli alti vertici militari non furono mai all’altezza della situazione e i loro tentennamenti convinsero gli anglo americani che non c’era da fidarsi. E così il generale Taylor la mattina dell’8 settembre invia al comando alleato la parola d’ordine (“Innocuos”) che annulla l’operazione. “È il segnale concordato – scrive Benaglia – per far abortire lo sbarco aviotrasportato. […] Roma e l’Italia si dovranno arrangiare da sole di fronte alla reazione tedesca”.
È alto il sospetto che ai tedeschi, dopo l’8 settembre, Roma sia stata consegnata come ultimo gentile regalo di una monarchia codarda e di un presidente del consiglio inconsistente sul piano militare e politico. E questo forse spiega perché la fuga verso Brindisi sia stata quasi una passeggiata in un territorio a forte presenza tedesca. In ogni caso di tutti i protagonisti di questa storia tragica e farsesca nessuno ha mai pagato nulla, tranne i Savoia che hanno detto addio alla Corona avviati a un regale esilio con un referendum che scelse la Repubblica. Era il minimo sindacale dopo il sostegno al fascismo, la promulgazione delle leggi razziali, l’entrata in guerra e il pasticcio dell’armistizio. Quanto all’onore macchiato dal Re e Badoglio, furono i partigiani con la lotta di Liberazione a restituirlo all’Italia.
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