Clima, il mondo oltre il nulla
Guido VialeConvincere Letta o Calenda che il gas, l’inceneritore, il consumo di suolo, l’auto elettrica, le Olimpiadi con la neve finta (fatta anch’essa con il gas), il nucleare, il pareggio di bilancio o le guerre della Nato non sono la soluzione non è più facile che convincerne Salvini o la Meloni. E certo per riuscirci non bastano i discorsi, né le analisi, e nemmeno le manifestazioni. Ma sarà l’evoluzione del disastro climatico e ambientale incombente a parlare per chi è stato lasciato oggi senza voce. E a parlare sarà la Terra stessa; l’importante è che a quel punto a darle voce ci sia qualcuno; ci siano le nuove generazioni, quelle che devono non solo costruirsi il loro futuro, ma innanzitutto metterlo in salvo
Che rapporto c’è tra il nulla rappresentato dalla scomparsa dell’umanità dalla Terra – dall’estinzione della specie umana o di una sua gran parte, insieme a quella di migliaia di altre specie viventi – e il nulla rappresentato da Carlo Calenda, il grado zero della politica, dell’intelligenza, della cultura, della consapevolezza dei problemi che incombono sul nostro tempo? Vero rappresentante dell’”agenda Draghi”, tanto che non si sa se quel nulla sia Draghi o la sua agenda da sei euro al mese a testa.
Il rapporto è diretto: Calenda rappresenta il punto – uno dei punti – di precipitazione della deriva imboccata ormai da anni dalla politica mondiale di fronte al cambio di paradigma imposto dall’evoluzione del pianeta Terra nell’era dell’Antropocene: come se niente fosse cambiato o dovesse o potesse cambiare.
L’estinzione della specie umana rappresenta ciò che tutti i politici, insieme a gran parte dell’establishment mondiale – economico, accademico, finanziario, religioso (si salva solo papa Francesco) – non vogliono vedere, anche se i più lo sanno, o ne hanno sentito parlare, o lo stanno constatando, ma hanno altro da fare.
Ma che cosa c’è in mezzo tra quei due nulla? Un mondo intero, fatto di vita, di futuro, di pensieri, di passioni, di voglia di vivere come di dolori, di attaccamento alla terra – intesa sia come suolo che ci nutre, sia come Terra, il pianeta che ha fatto nascere ed evolvere la nostra specie – di generazioni che si alternano nell’affrontare i problemi che di volta in volta i tempi impongono loro.
Oggi quei problemi hanno un solo nome: crisi climatica e ambientale. Mancano solo pochi anni (se ancora mancano) all’irreversibilità della catastrofe. Non che di problemi non ce ne siano anche altri, anzi, ce ne sono a bizzeffe: disoccupazione, precariato, emarginazione, fame, povertà, miseria materiale e spirituale, ignoranza, salute, violenza, guerre…
Ma come pensare di affrontarne, o risolverne, anche uno solo, senza fare i conti con un futuro in grado di azzerare qualsiasi risultato? Come evitare di misurarsi con una crisi che già oggi si presenta come cornice, se non come principale causa, della perdita di ogni sicurezza?
Non si sta parlando dell’ambiente come contorno, ornamento o complemento di un programma elettorale, in una lista posticcia di desiderata per fare marketing politico, bensì del nostro (dell’umanità) rapporto con la Terra e dei nostri – pur così differenti, ma al tempo stesso così interconnessi – modi di vivere.
Tra quei due nulla che lo circondano c’è dunque un mondo che deve ancora farsi strada. E che oggi più che mai, con le elezioni alle porte, non può che mettere in chiaro l’inconsistenza delle dispute che sembrano avvincere i protagonisti di quel loro nulla.
Non che sia indifferente se vince Meloni o Letta, anche se ormai è chiaro che “non c’è partita”; è già stata giocata da tempo, anche se io, come tanti altri, ho firmato tutti gli appelli possibili per scongiurare quell’esito. Ma l’indifferenza verso il niente del comune futuro e l’incapacità di vedere il niente del loro presente accomunano entrambi.
Convincere Letta o Calenda che il gas, l’inceneritore, il consumo di suolo, l’auto elettrica, le Olimpiadi con la neve finta (fatta anch’essa con il gas), il nucleare, il pareggio di bilancio o le guerre della Nato non sono la soluzione non è più facile che convincerne Salvini o la Meloni. E certo per riuscirci non bastano i discorsi, né le analisi, e nemmeno le manifestazioni.
Ma sarà l’evoluzione del disastro climatico e ambientale incombente a parlare per chi è stato lasciato oggi senza voce. E a parlare sarà la Terra stessa; l’importante è che a quel punto a darle voce ci sia qualcuno; ci siano le nuove generazioni, quelle che devono non solo costruirsi il loro futuro, ma innanzitutto metterlo in salvo.
Questa campagna elettorale sarà a metà un incubo e a metà una farsa, ma potrebbe diventare l’occasione per mostrare a chi ha ormai rinunciato non solo a votare, ma anche a interessarsi al nulla messo in campo dai contendenti, che qualcosa per cui battersi c’è.
E che è qualcosa per cui ne va non solo del loro futuro, o di quello delle generazioni di un futuro ormai prossimo, ma anche di tutte le cose che stanno loro veramente a cuore.
Perché ormai è chiaro che non è possibile affrontare le tante crisi che ci attanagliano delegandone la soluzione agli esponenti di una democrazia rappresentativa che non rappresenta più nessuno, senza farsi protagonisti di una radicale revisione di tutti i parametri della nostra vita quotidiana – insieme ai milioni di attivisti messi già oggi in campo dai Fridays for Future e dai tanti movimenti loro fratelli e ai miliardi di altri esseri umani che già si vedono o, in un domani ormai prossimo, si vedranno costretti a mobilitarsi per non soccombere.
Senza una partecipazione diretta di tutti gli interessati e senza un conflitto aperto con tutti i promotori e gli spargitori di indifferenza nei confronti della nostra casa comune e del nostro comune futuro non c’è problema al mondo che possa essere affrontato né tanto meno risolto.
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