I doni avvelenati della destra al Mezzogiorno.
Pino Ippolito Armino
I sondaggi dicono che il Mezzogiorno è l’area del Paese nel quale più ampio sarà il successo della coalizione delle destre il prossimo 25 settembre. Secondo l’Istituto Cattaneo, che ha stimato la possibile distribuzione, a questa coalizione andrebbero infatti 44 dei 50 seggi da assegnare con uninominale alla Camera e addirittura 24 su 25 al Senato. I restanti seggi, inoltre, ad eccezione di Napoli dove si profila una possibile vittoria del centrosinistra, sono considerati contendibili (Istituto Cattaneo, 9 agosto 2022). A cosa si deve questo eccezionale risultato? È l’ultimo dei paradossi cui ci ha abituati la storia del nostro Mezzogiorno perché i tre alfieri delle destre portano ciascuno il proprio dono agli elettori meridionali. Ma sono doni avvelenati.
Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia e aspirante presidente del Consiglio, promette l’abolizione del reddito e della pensione di cittadinanza con qualche guarentigia per i disabili, le persone con oltre 60 anni di età, le famiglie senza reddito e con minori a carico. Attualmente i nuclei beneficiari di queste prestazioni sono 1,15 milioni e coinvolgono in totale 2,46 milioni di persone. Di queste 1,69 milioni (69%) risiedono al Sud o nelle Isole. La regione che più ne beneficia è la Campania (22% del totale delle prestazioni erogate), a seguire la Sicilia (19%) (Report Inps, luglio 2022).
Silvio Berlusconi, padre padrone di Forza Italia e aspirante presidente della Repubblica, ha da sempre il suo cavallo di battaglia elettorale nella riduzione delle tasse da attuarsi, in spregio alla Costituzione e a ogni elementare criterio di equità sociale, con flat tax estesa a tutti i contribuenti. Ad avvantaggiarsene, come già sappiamo, sarebbero i redditi più alti. Il 78% dei redditi al di sopra dei 26.000 euro annui si trova al Centro-Nord e solo il 22% è a Mezzogiorno dove risiede il 34% della popolazione italiana.
Ma il dono che dovrebbe risultare più indigesto ai meridionali viene dalla Lega. Matteo Salvini, che è capolista al Senato in Basilicata, Puglia e Calabria, vuole portare a compimento il progetto di autonomia differenziata avanzato da Lombardia, Veneto ed Emila Romagna che il 28 febbraio del 2018 hanno siglato una pre-intesa con l’allora governo Gentiloni.
L’intesa prevede, in estrema sintesi, la distribuzione della spesa pubblica con il criterio della spesa storica che già oggi premia largamente il Centro Nord e contemporaneamente sottrae di fatto al parlamento la possibilità di legiferare, con uniformità per tutto il territorio nazionale, su temi di particolare rilevanza come la sanità, l’istruzione, l’ambiente, le infrastrutture. Il solo vincolo sarebbe quello della definizione dei livelli essenziali di prestazione ma anche qualora venissero infine stabiliti e soprattutto rispettati, cosa tutt’altro che scontata considerata la gravissima disparità territoriale già in essere fra le regioni meridionali e il resto d’Italia, si riferirebbero a un nucleo ridottissimo di garanzie sociali. Sarebbe la fine dello stato unitario. Un risultato pervicacemente perseguito dalla Lega sin dalla sua nascita e che avrebbe esiti catastrofici per tutta l’Italia, questo stentano a capire i dirigenti leghisti, e non per il solo Mezzogiorno.
In conclusione le tre proposte flag della destra (abolizione del reddito di cittadinanza, flat tax e autonomia differenziata), se attuate, comporterebbero un trasferimento netto di risorse dalle aree più povere a quelle più ricche del Paese, dal Sud al Nord dell’Italia. Negli ultimi trent’anni il reddito pro-capite dei meridionali si è ridotto a poco più del 50% di quello del Centro Nord, restituendosi ai livelli dell’immediato dopoguerra. Un nuovo record potrebbe presto essere raggiunto ma i meridionali, se bene informati, possono ancora impedirlo.
da “il Manifesto” del 26 agosto 2022
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