01 aprile 2023

LA VERITA' STORICA SU VIA RASELLA E LE FOSSE ARDEATINE

 


Via Rasella, 23 marzo 1944

La più importante azione di guerra contro gli occupanti nazisti avvenuta in una capitale europea


Collage:


In quell’azione l’orgoglio di una città ribelle
Davide Conti, Il Manifesto, 1 aprile 2023
Il 23 marzo 1944 a Roma i Gruppi di Azione Patriottica (GAP) del Partito Comunista, realizzarono la più importante azione di guerra contro l’esercito occupante nazista in una capitale europea.
Colpirono il III battaglione del Polizeiregiment Bozen in transito in Via Rasella di ritorno dall’addestramento militare. L’attacco provocò la morte di 33 militari tedeschi (il Bozen era formato da altoatesini optanti per la nazionalità germanica) di età compresa tra i 26 ed i 42 anni tutti armati.
I Comandi Alleati espressero encomio e ammirazione per l’azione dei gappisti che operavano dietro le linee naziste mentre gli anglo-americani combattevano sul fronte di Anzio-Nettuno.
Roma dal 10 settembre 1943 era sotto occupazione dei nazisti e dei collaborazionisti fascisti repubblichini. Proprio loro, i «ragazzi di Salò», aiutarono Kappler e le SS a redigere la lista dei 335 uomini che vennero fucilati per vendetta (nel più assoluto segreto per timore della rivolta della città) il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine. Uccisi perché antifascisti, ebrei, dissidenti politici, militari leali.
Nel 1948 i nazisti furono condannati per la strage delle Fosse Ardeatine in quanto questa venne riconosciuta non come una «rappresaglia» (istituto esistente nei codici militari dell’epoca) ma come «war crime», un crimine di guerra.
Un crimine concepito come tale dagli stessi nazisti, tanto che il maggiore Hellmuth Dobbrick (che comandava il battaglione Bozen colpito in Via Rasella) rifiutò di eseguire l’ordine di esecuzione dell’eccidio delle Ardeatine e non fu punito poiché quell’ordine violava gli stessi regolamenti militari tedeschi.
Nel 1950 il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, su proposta del Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, conferì ai partigiani dei GAP Rosario Bentivegna e Franco Calamandrei la medaglia d’argento al valor militare per l’attacco di Via Rasella. Tanti altri gappisti sarebbero stati decorati dalla Repubblica: Lucia Ottobrini, Mario Fiorentini, Maria Teresa Regard, Ernesto Borghesi, Marisa Musu, Pasquale Balsamo, Carlo Salinari. Carla Capponi fu medaglia d’oro.
Nei 271 giorni di occupazione nazifascista di Roma si susseguirono i rastrellamenti di 2.500 carabinieri (7 ottobre 1943); di 1.023 ebrei (16 ottobre 1943); dei quartieri ribelli come il Quadraro (17 aprile 1944); le fucilazioni di Forte Bravetta; le torture di Via Tasso e delle pensioni «Oltremare» e «Jaccarino»; la strage di Pietralata (23 ottobre 1943); quella a La Storta (4 giugno 1944) e altri centinaia di assassinii di cui si è persa memoria in un Paese travolto da un processo di desertificazione culturale che cancella l’eredità della Resistenza e dell’antifascismo.


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Una minaccia alla verità storica
Alessandro Portelli, Il Manifesto, 1 aprile 2023


Ha raccontato Franz Bertagnoli, uno dei componenti del battaglione di polizia Bozen aggregato alle SS, colpito dai fascisti a Roma a via Rasella: «Pretendevano che noi sfilassimo per le strade sempre cantando a squarciagola, come tanti galli, petto in fuori, a urlare in continuazione un cadenzato chicchirichì». Cantavano anche sfilando in via Rasella, armati fino ai denti, tanto che – come racconta un altro di loro, Konrad Sigmund – «avevamo tutti cinque o sei bombe a mano attaccate alla cintola , e ne esplosero parecchie, colpite dalle schegge, altre per il calore dell’incendio che si sviluppò». Se fossero stati meno armati ne sarebbero morti di meno.

Ai bambini del quartiere, quei soldati che marciavano cantando (riluttanti) piacevano assai, e gli andavano appresso. Nella loro memoria infantile questa immagine si trasforma in quella di una banda di innocui musicisti («l’armi che_ ciavevano_ quelli erano la tromba e il tamburo», mi ha raccontato uno di loro, figlio di un ucciso alle Ardeatine), e da lì si diffonde nel senso comune antipartigiano e anti-antifascista, intrecciandosi con tutta la mitologia su via Rasella e le Ardeatine – i poliziotti-SS nazisti «erano vecchi», partigiani «dovevano presentarsi», «li hanno uccisi solo perché erano italiani», «c’era la regola dei dieci italiani per un tedesco», «la rappresaglia è autorizzata dal diritto internazionale» e così via.
Basta informarsi per sapere che queste cose non sono vere.
Per fare un esempio: ci sentiamo ripetere in tutte le salse che «la rappresaglia era autorizzata del diritto internazionale». Però, (a parte il fatto che si trattasse di regole già allora anacronistiche), proprio perché era autorizzata la rappresaglia era anche regolata: per essere legittima doveva rispettare certe modalità, proporzioni, selezione delle vittime.
Nel 1949, il tribunale militare italiano del processo Kappler dichiarò che nessuna di queste norme era stata rispettata e pertanto non si doveva parlare di rappresaglia ma di «omicidio continuato».
Aggiungiamo: la rappresaglia non era automatica, e che non esisteva nessuna «regola dei dieci italiani per un tedesco»: a Civitella in Val di Chiana ne ammazzarono 156 per 3, a Boves in Piemonte 19 per uno; e anche a Roma l’ordine di Hitler era di 50 a 1. Ma si continua impunemente a parlare di rappresaglia e dieci-a-uno, inquinando il senso comune e legittimando arbitrariamente il crimine nazifascista.


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La Russa riscrive la storia: dai fascisti memorabili, ai partigiani contro le bande musicali
Vanessa Ricciardi, Domani, 1 aprile 2023


La Russa già pochi giorni prima di essere eletto seconda carica dello stato, aveva attraversato i social con il suo video del 2018 in cui metteva in mostra con orgoglio il busto di Mussolini regalato dal padre e altri cimeli fascisti nel suo appartamento di Milano. A più riprese ha mostrato tutto il suo imbarazzo per il 25 aprile, festa della Liberazione dal nazifascismo, arrivando a chiedere di non essere più interrogato in proposito.
Il giorno della celebrazione della nascita del Movimento sociale italiano, nato dalle ceneri del partito fascista, si è lasciato andare ai post celebrativi. In passato […]  ha difeso politici a processo per apologia del fascismo, e nel farlo attenuato anche l’appartenenza al fascismo del generale Rodolfo Graziani, il macellaio dell’Etiopia.
Infine durante l’intervista su Rai 2, Belve, di qualche settimana fa, ha ammesso con commozione che avrebbe riportato in vita  Sergio Ramelli, studente neofascista del Fronte della gioventù ucciso a sprangate da un gruppo di Avanguardia Operaia negli anni ‘70. Tutti i 29 aprile Ramelli viene ricordato da centinaia di militanti di estrema destra, da CasaPound a Lealtà Azione e Forza Nuova.
Sul fascismo, il periodo della storia più traumatico per l’Italia, La Russa vorrebbe cominciare a scherzare: «Ci devo stare più attento purtroppo o per fortuna. Sarebbe bello poter fare le battute. Il politically correct lo odio. Non è vero che non si possa…», ha detto in Tv. Sulla Resistenza invece continua a dichiarare cose al limite del ridicolo, ma in questo caso non scherza. Adesso è arrivata la nota di La Russa che ribadisce: «Confermo parola per parola la mia condanna durissima dell’eccidio delle Fosse Ardeatine che solo pochi giorni fa ho definito “una delle pagine più brutali della nostra storia”. Confermo, altresì, che a innescare l’odiosa rappresaglia nazista fu l’uccisione di una banda di altoatesini nazisti e sottolineo che tale azione non è stata da me definita “ingloriosa” bensì “tra le meno gloriose della resistenza”».


Nella foto un momento della liberazione a Venezia.

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