24 luglio 2015

MARIA MESSINA, la timida corrispondente di G. Verga






Maria Messina : una scrittrice dimenticata e da poco riscoperta.
 Giuseppina Bosco

Maria Messina è una donna che ha trovato nella scrittura uno strumento per esprimere la sua  vocazione narrativa e la sua grande sensibilità.
 Nasce nel 1887 ad Alimena, uno sperduto paese della Sicilia in provincia di Palermo. Il padre Gaetano era un maestro elementare, la madre Gaetana Valenza Traiana apparteneva ad una famiglia baronale e, come era consuetudine in quel tempo, ricevette un’educazione domestica e da autodidatta iniziando a formarsi come scrittrice a partire dalla narrativa moderna leggendo  gli scrittori realisti russi quali  Turghenev e  Cecov.

Esordisce con la raccolta “Piccoli gorghi” inserendosi in quel filone narrativo verista inaugurato da scrittori siciliani quali Capuana, Verga, De Roberto. Ma di lei nelle antologie scolastiche non c’è traccia. Un tentativo di riconoscimento sarà l’inserimento negli atti del convegno “Letteratura siciliana al femminile, donne scrittrici, donne personaggio” a cura di Sarah Zappulla Muscarà, docente dell’università di Magistero di Catania, e la pubblicazione da parte della casa editrice Sellerio di Palermo di tutti i romanzi e le novelle della scrittrice, tradotte in diverse lingue e perciò conosciuta all’estero  oltre alle iniziative culturali,  che la città di Mistretta le ha tributato.  Diversi sono stati a partire dagli anni Ottanta gli studi critici su tutta la sua produzione letteraria, di cui  sono stati approfonditi alcuni nuclei tematici, soprattutto in un recente studio di Maria Serena Sapegno, quali il rapporto tra società patriarcale e condizione femminile, coscienza della condizione marginale della donna e desiderio di libertà, costruzione di un’identità sociale. 2
L’esordio letterario di Maria Messina è legato ad alcune novelle ambientate a Mistretta ,dove il padre si era trasferito nell’estate del 1903, per cui la scrittrice dovette abbandonare la città di Palermo per quel paese di provincia e nella novelle “L’ideale infranto” e “Sotto tutela” si può scorgere  il  disagio della scrittrice per un ambiente paesano  privo di stimoli culturali: non arrivavano i giornali, non c’erano biblioteche, teatri, ecc... quasi a sottolineare  la sua insofferenza per quel mondo popolato oltre che da persone umili, da figure femminili silenziose  e rese schiave da una cultura maschilista dominante; nella raccolta di novelle “Pettini fini” (pubblicato per la prima volta nel 1909), Maria Messina  ci offre così un affresco del paese di Mistretta  con i suoi umili protagonisti, i loro vissuti, le vie del paese in cui si rivela l’attaccamento alla scuola verista e il canone dell’impersonalità. Difatti Giovanni Verga ne ricevette una copia dall’autrice in quanto egli rappresentava una “guida sicura, un padre da cui ricevere insegnamento e protezione”3 […] e da quel momento ha inizio una corrispondenza col grande scrittore catanese che durerà una decina d’anni. In una di queste lettere la timida Maria scriverà: "Le parole buone che mi ha detto mi hanno sostenuta nelle ore più amare. Il suo ritratto è stato il mio conforto".
Nei primi anni del Novecento  la scrittrice si trasferisce ad Ascoli Piceno perchè il padre era stato nominato ispettore scolastico. Questo è il periodo in cui dalle novelle rusticane la scrittrice passa a quelle di ambientazione borghese. Nelle successive raccolte di novelle, Le briciole del destino (1918), Il guinzaglio (1921) e Ragazze siciliane (1921), il verismo di Maria Messina comincia  a spostarsi dal mondo rusticano dei " vinti" all’analisi della piccola borghesia. Ma i "vinti" sono per lo più le donne,le quali "non posseggono la forza di offendere né quella di difendersi" : sia nella condizione di mogli recluse tra le mura domestiche sia in quella di nubili  che sprecano le loro esistenze  sacrificandosi per gli altri e consumando la propria giovinezza tra fatiche e lavoro.
Emblematico è il racconto "Casa paterna”6 , in cui si rivela una struttura compositiva più matura, per un abile gioco di architettura letteraria di trama e di intreccio. La protagonista,  Vanna, è una giovane siciliana sposata da poco tempo ad un avvocato romano, la quale ritorna alla casa paterna, dopo aver deciso di lasciare il marito e la città in cui vivono, perché non sopporta la solitudine e l’indifferenza sia della grande città che del marito stesso.
Mentre il viaggio si sta concludendo, è sopraffatta dai ricordi della sua infanzia e della sua giovinezza, rievoca le speranze ed i progetti, ritorna a quel nido pensando di ritrovare la stessa pace e lo stesso amore di allora:  tante cose però sono ormai cambiate, i fratelli sono sposati, e le cognate  non accettano la vergogna che lei porta  in famiglia perché ha osato separarsi dal marito e nemmeno il padre e la madre - ormai succubi delle nuore - possono più aiutarla e pertanto l’epilogo sarà tragico.Fa parte della  raccolta  Le Briciole del destino  anche la novella “L’ora che passa”. La protagonista è Rosalia, maestra elementare che sacrifica se stessa per la cura della famiglia, la quale si trova in condizioni economiche disagiate. Non riesce ad uscire dal “carcere” del suo ruolo, dalla non- vita. Questa estraneità a se stessa rispetto a quella parte di sé che avrebbe voluto vivere ed amare, invece, di guardarsi vivere, sembra riecheggiare il personaggio di Adriano Meis - Pascal, di Luigi Pirandello, meno giocato però sull’assurdità delle situazione, sul grottesco e sul sottile ragionamento, e in ciò si rivela l’originalità e la linearità dell’arte narrativa di Maria Messina
. Non a caso Leonardo Sciascia, in una nota critica,  l’ accosta alla grande scrittrice inglese Katrin Mansfield definendola una “Mansfield siciliana”, forse perché Maria Messina ,al pari della Mansfield ,riesce a rappresentare con poche immagini un universo femminile succube dell’egoismo e del degrado morale di una società maschilista e sa descrivere con brevi squarci momenti di vita quotidiana  e stati d’animo femminili, resi da una struttura sintattica semplice e con diversi  ricorsi all’indiretto libero.
Anche la scrittrice  Ada Negri dedicò una prefazione alla raccolta “Le briciole del destino”e dell’opera dirà “Tu hai voluto studiare questi cantucci di umanità, che sanno di vecchia polvere, di vecchi stracci abbandonati, di vecchie ragnatele, di vecchie lagrime rancide. Tu vi sei riuscita, piccola sorella Maria”.7
La rassegnazione e l’impossibilità di un riscatto per la condizione femminile sono i temi dei romanzi “Casa del vicolo”, di cui la Sapegno fornisce chiare chiavi interpretative e tematiche.  , e “Amore negato”in cui si rivela una maggiore maturità compositiva della scrittrice. Difatti in quest’ultimo romanzo si nota un maggiore scavo  riguardo alle  psicologie femminili, e l’attenzione si sposta verso la città, descrivendo  un ambiente piccolo borghese, (Il romanzo è ambientato ad Ascoli Piceno) in cui si deve sopravvivere alle difficoltà materiali e all’estraneità degli affetti. Sembra quasi riecheggiare lo Svevo dei romanzi giovanili, la cui analisi dell’inettitudine è più legata all’inconscio maschile.
È comunque interessante fornire strumenti interpretativi delle opere di esordio di Maria Messina, analizzando le cinque novelle che la casa editrice Sellerio ha raccolto in  un volume del 1998 dal titolo “Dopo l’inverno”, grazie alle ricerche di Roswita Shoell-Dombrowsky che le ha raggruppate, poiché erano state pubblicate in diverse riviste letterarie del primo Novecento.
La novella “Dopo l’inverno” risente della scuola verista in cui domina la descrizione dell’ambiente rurale siciliano gravato dalla miseria, dall’ignoranza degli umili e dal dramma dell’emigrazione.
Il protagonista, “Ssu Vanni”, un contadino oppresso dalla povertà, tenta, nonostante gli anni e la salute malferma, di lavorare in campagna. Ha un solo figlio, “bello e grande come una  bandiera”, il quale è partito dal paese in primavera con l’intenzione di andare in America.
‘Ssu Vanni ,era divenuto per quella solitudine, asprigno ed irascibile,” e se qualcuno gli si accostava egli se l’aveva a noia”, aveva ricevuto, dopo poco tempo dalla partenza del figlio, alcune lettere. Con l’inizio dell’inverno quelle lettere non arrivarono più, quasi a voler simboleggiare la ciclicità delle stagioni presente nel mito di Persefone e Kore .Quando Ade rapisce Core ,che stava sottoterra  , la madre Persefone per la disperazione  rende infertile la terra, che non dà più i suoi frutti (periodo della stagione invernale),e quando Core poteva tornare libera sulla terra per sei mesi, la dea la rendeva fertile e lussureggiante.
 A metà inverno, verso l’anno nuovo, dopo tanto silenzio, arriva una lettera di Turiddu. E  Ssu Vanni, analfabeta, si rivolge al Rosso, il falegname, per farsela leggere così  seppe che il figlio era partito dall’America e si trovava a combattere in Turchia, a Bengasi.
La novella, pubblicata nel 1912 nel quindicinale “La Donna”, è ambientata in un preciso momento storico, quello di Crispi, e della politica coloniale dell’Italia volta alla conquista della Libia. Anche il Meridione è coinvolto nella propaganda patriottica, per cui Turiddu combatte per la gloria della patria. Anche l’atteggiamento dei paesani cambia nei confronti del contadino che non sarà più deriso ma rispettato: il figlio è un eroe, non uno squattrinato in cerca di fortuna in America. Quando lo’ Ssu Vanni apprende la notizia che un gruppo di feriti della guerra in Libia erano stati    rimpatriati e sarebbero ritornati in paese, inizia a sperare di poter rivedere Turiddu proprio nel periodo in cui “il grano accestiva e le rondini tornavano a stridere sul cielo luminoso(…) e la terra sapeva di tanti buoni aromi (ritorna il mito di Proserpina). Difatti “è festa grande in paese, in quel pomeriggio odoroso di primavera per i soldati reduci.” 8 Il contadino che non osava pensare che tra di loro vi fosse il suo Turiddu, improvvisamente  lo vide tra la folla festante ,accolto dalla banda e dal sindaco del paese che aveva fatto imbandire un tavolo nella piazza per onorare i reduci della guerra “E Ssu Vanni chiedeva perdono a Dio del corruccio germinato nel suo cuore di uomo meschino, di uomo che, roso dalla fatica, non distingue più un bruco dalla foglia; e ora pensava con gioia che quel figlio era suo ,era sangue suo…”9
La novella “Il violino di Sandro”, pubblicato nel 1913 nello stesso quindicinale, è centrata sulla psicologia del protagonista, di nome Sandro, musicista e violoncellista, il quale,convalescente per una malattia dovuta a continue febbri debilitanti, è costretto alla quasi inattività.
La sua malinconica quotidianità è interrotta dall’arrivo dei nuovi vicini della casa gialla : una famiglia che abitava di fronte. La figlia, era una giovane fanciulla dal viso da bambina e dai capelli biondi che brillavano al sole  come “pagliuzze d’oro”. Però la separazione tra le due  abitazioni era colmata dalla finestra da cui spesso Sandro si affacciava per osservare le abitudini della fanciulla dirimpettaia . Il giovane ,invaso da mille fantasie ed emozioni verso di lei, cerca di stabilire un intimo contatto attraverso la musica “La voce umana del violino si diffondeva nella piazza deserta, saliva verso il cielo stellato col profumo dei calicanti ,nelle note lunghe ed appassionate vibrava tutta la tenerezza contenuta nell’anima romantica del convalescente, affinata dalla malattia…gli occhi di tanto in tanto si levavano a cercare colei che restava davanti alla finestra aperta”.10                            
Un giorno mentre il medico parlava sommessamente con  Clara, sorella di Sandro, seppe della menomazione della ragazza dal viso di bambina: la sua sordità. La rivelazione lo fece impallidire e tremare perché aveva cercato di comunicare con lei attraverso l’unica voce e l’unica parola che potesse esprimere i suoi nobili sentimenti. Ma lei non aveva potuto sentirli e così, all’improvviso, il ragazzo  uscì dalla stanza perché la casa  simbolicamente rappresenta la segregazione, la non vita, l’inazione, la soglia tra ciò che è conosciuto e” l’altrove” da scoprire e da conoscere.
Così Sandro cerca di stabilire un contatto vero con la fanciulla per manifestarle il suo amore e lei, se non potè sentire da lontano la dolcezza di quelle note musicali, poteva vedere ed ascoltare da vicino  le parole di Sandro.
“Vincere” è la più assurda ed anche un po’ grottesca novella di Maria Messina in cui si avverte il suo pirandellismo. Intanto la storia ha quasi un impianto teatrale; due spazi interni, i balconi, mettono in relazione due famiglie nello stesso palazzo baronale. La moglie del professore di disegno (da poco trasferitasi in quel luogo) con la signora Panebianco. La figlia del professore, Carmelina, sarà la novità per il giovane aristocratico Giorgio, il quale imporrà subito alla ragazza il suo potere di classe e di maschio “Giocavano a fare il ritratto e le comandava di stare ferma: Carmelina si metteva nella posa che voleva lui davanti la macchina [...],e sul più bello si allontanava, distratta […] Giorgio, che abituato a essere contentato dalla mamma, o contrariato dal papà, obbedito dalla serva, diventava rosso sino alla radice dei capelli”. 11
Il desiderio adolescenziale di Giorgio di autonomia dalla famiglia lo portano a fantasticare sul desiderio di sposare Carmelina, sfidando anche la leggenda di famiglia dello zio ricco che si suicida perché gli fu impedito di sposare una popolana.
La sottomissione di Carmelina nell’accettare di sposare Giorgio, spinta da entrambe le famiglie, la condurrà a recitare il ruolo di moglie felice ed appagata che tutti credevano che fosse ,ma che in realtà non era. Giorgio assume il suo ruolo all’intero di una gerarchia patriarcale e di classe e si occuperà solo delle sue proprietà, trascurando Carmelina. La donna, cosciente della sua condizione infelice, girellava  attorno alla vasca del “ giardino” . “Certe volte  sedeva sull’orlo. Brutta abitudine quella di sedere sull’orlo…Andò a finire che un giorno, dopo averla cercata qua e là nel giardino…Disgrazia…oppure…ma no! Era stata una disgrazia! Una donna fortunata come lei! Se lo dicevano tutti a una voce: le amiche, le vicine. Che le mancava per essere felice?”12
Un suicidio, una disgrazia, qual è la verità? Ecco riecheggiare un certo piradellismo, nel  contrasto tra apparenza e verità. Cosa le mancava per essere felice? Anche Giorgio, avvisato della disgrazia rispose rinfrancato “Una casa spezzata…forse non era destino…”
Lo stile e la lingua di queste novelle può essere definito minimalista, con un ricorso ad un periodare breve, lontano da complessi costrutti sintattici.  Il linguaggio è colloquiale  e risente di espressioni del parlato
Giuseppina Bosco
                                                                                                                                                     
1 Bartolotta , “ Literary” , studio su  Maria Messina.
2 Maria Serena Sapegno, Sulla soglia : la narrativa di Maria Messina, in “altre lettere”, 14-03-2012
3  Bartolotta ibidem
4 Cfr.Palermo,Sandron. 1911. Così scrive al Verga da Ascoli Piceno
5 Bartolotta ibidem                                                                                                               
6  M. Messina, Casa paterna. Palermo, Sellerio 1981
7 Bartolotta, ibidem
8 Maria Messina, “Dopo l’inverno”. Sellerio 1998, Palermo,  pag 16
9 Maria Messina, ibidem,  pag 20
10 Maria Messina, ibidem, pag 25
11 Maria Messina, ibidem, pag 63
12 Maria Messina, ibidem, pag 77

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