Maria Messina : una scrittrice dimenticata e da poco riscoperta.
Giuseppina Bosco
Maria
Messina è una donna che ha trovato nella scrittura uno strumento per esprimere
la sua vocazione narrativa e la sua
grande sensibilità.
Nasce nel 1887 ad Alimena, uno sperduto paese
della Sicilia in provincia di Palermo. Il padre Gaetano era un maestro
elementare, la madre Gaetana Valenza Traiana apparteneva ad una famiglia
baronale e, come era consuetudine in quel tempo, ricevette un’educazione
domestica e da autodidatta iniziando a formarsi come scrittrice a partire dalla
narrativa moderna leggendo gli scrittori
realisti russi quali Turghenev e Cecov.
Esordisce
con la raccolta “Piccoli gorghi” inserendosi in quel filone narrativo verista
inaugurato da scrittori siciliani quali Capuana, Verga, De Roberto. Ma di lei
nelle antologie scolastiche non c’è traccia. Un tentativo di riconoscimento
sarà l’inserimento negli atti del convegno “Letteratura siciliana al femminile,
donne scrittrici, donne personaggio” a cura di Sarah Zappulla Muscarà, docente
dell’università di Magistero di Catania, e la pubblicazione da parte della casa
editrice Sellerio di Palermo di tutti i romanzi e le novelle della scrittrice,
tradotte in diverse lingue e perciò conosciuta all’estero oltre alle iniziative culturali, che la città di Mistretta le ha
tributato. Diversi sono stati a partire
dagli anni Ottanta gli studi critici su tutta la sua produzione letteraria, di
cui sono stati approfonditi alcuni
nuclei tematici, soprattutto in un recente studio di Maria Serena Sapegno,
quali il rapporto tra società patriarcale e condizione femminile, coscienza
della condizione marginale della donna e desiderio di libertà, costruzione di
un’identità sociale. 2
L’esordio
letterario di Maria Messina è legato ad alcune novelle ambientate a Mistretta
,dove il padre si era trasferito nell’estate del 1903, per cui la scrittrice
dovette abbandonare la città di Palermo per quel paese di provincia e nella
novelle “L’ideale infranto” e “Sotto tutela” si
può scorgere il disagio della scrittrice per un ambiente paesano privo di stimoli culturali: non arrivavano i
giornali, non c’erano biblioteche, teatri, ecc... quasi a sottolineare la sua insofferenza per quel mondo popolato
oltre che da persone umili, da figure femminili silenziose e rese schiave da una cultura maschilista
dominante; nella raccolta di novelle “Pettini fini” (pubblicato per la prima
volta nel 1909), Maria Messina ci offre
così un affresco del paese di Mistretta
con i suoi umili protagonisti, i loro vissuti, le vie del paese in cui
si rivela l’attaccamento alla scuola verista e il canone dell’impersonalità. Difatti
Giovanni Verga ne ricevette una copia dall’autrice in quanto egli rappresentava
una “guida sicura, un padre da cui ricevere insegnamento e protezione”3
[…] e da quel momento ha inizio una corrispondenza col grande scrittore
catanese che durerà una decina d’anni. In una di queste lettere la timida Maria scriverà: "Le parole buone che mi ha detto mi
hanno sostenuta nelle ore più amare. Il suo ritratto è stato il mio
conforto".
Nei primi anni del Novecento la scrittrice si trasferisce ad Ascoli Piceno
perchè il padre era stato nominato ispettore scolastico. Questo è il periodo in
cui dalle novelle rusticane la scrittrice passa a quelle di ambientazione
borghese.
Nelle successive raccolte di novelle, Le
briciole del destino (1918), Il
guinzaglio (1921) e Ragazze
siciliane (1921), il verismo di Maria Messina comincia a spostarsi dal mondo rusticano dei "
vinti" all’analisi della piccola borghesia. Ma i "vinti" sono
per lo più le donne,le quali "non posseggono la forza di offendere né
quella di difendersi" : sia nella condizione di mogli recluse
tra le mura domestiche sia in quella di nubili che sprecano le loro esistenze sacrificandosi per gli altri e consumando la
propria giovinezza tra fatiche e lavoro.
Emblematico è il racconto
"Casa paterna”6 , in cui si rivela una
struttura compositiva più matura, per un abile gioco di architettura letteraria
di trama e di intreccio. La protagonista,
Vanna, è una giovane siciliana sposata da poco tempo ad un avvocato
romano, la quale ritorna alla casa paterna, dopo aver deciso di lasciare il
marito e la città in cui vivono, perché non sopporta la solitudine e
l’indifferenza sia della grande città che del marito stesso.
Mentre il viaggio si sta concludendo, è sopraffatta dai ricordi della sua infanzia e della sua giovinezza, rievoca le speranze ed i progetti, ritorna a quel nido pensando di ritrovare la stessa pace e lo stesso amore di allora: tante cose però sono ormai cambiate, i fratelli sono sposati, e le cognate non accettano la vergogna che lei porta in famiglia perché ha osato separarsi dal marito e nemmeno il padre e la madre - ormai succubi delle nuore - possono più aiutarla e pertanto l’epilogo sarà tragico.Fa parte della raccolta Le Briciole del destino anche la novella “L’ora che passa”. La protagonista è Rosalia, maestra elementare che sacrifica se stessa per la cura della famiglia, la quale si trova in condizioni economiche disagiate. Non riesce ad uscire dal “carcere” del suo ruolo, dalla non- vita. Questa estraneità a se stessa rispetto a quella parte di sé che avrebbe voluto vivere ed amare, invece, di guardarsi vivere, sembra riecheggiare il personaggio di Adriano Meis - Pascal, di Luigi Pirandello, meno giocato però sull’assurdità delle situazione, sul grottesco e sul sottile ragionamento, e in ciò si rivela l’originalità e la linearità dell’arte narrativa di Maria Messina. Non a caso Leonardo Sciascia, in una nota critica, l’ accosta alla grande scrittrice inglese Katrin Mansfield definendola una “Mansfield siciliana”, forse perché Maria Messina ,al pari della Mansfield ,riesce a rappresentare con poche immagini un universo femminile succube dell’egoismo e del degrado morale di una società maschilista e sa descrivere con brevi squarci momenti di vita quotidiana e stati d’animo femminili, resi da una struttura sintattica semplice e con diversi ricorsi all’indiretto libero.
Mentre il viaggio si sta concludendo, è sopraffatta dai ricordi della sua infanzia e della sua giovinezza, rievoca le speranze ed i progetti, ritorna a quel nido pensando di ritrovare la stessa pace e lo stesso amore di allora: tante cose però sono ormai cambiate, i fratelli sono sposati, e le cognate non accettano la vergogna che lei porta in famiglia perché ha osato separarsi dal marito e nemmeno il padre e la madre - ormai succubi delle nuore - possono più aiutarla e pertanto l’epilogo sarà tragico.Fa parte della raccolta Le Briciole del destino anche la novella “L’ora che passa”. La protagonista è Rosalia, maestra elementare che sacrifica se stessa per la cura della famiglia, la quale si trova in condizioni economiche disagiate. Non riesce ad uscire dal “carcere” del suo ruolo, dalla non- vita. Questa estraneità a se stessa rispetto a quella parte di sé che avrebbe voluto vivere ed amare, invece, di guardarsi vivere, sembra riecheggiare il personaggio di Adriano Meis - Pascal, di Luigi Pirandello, meno giocato però sull’assurdità delle situazione, sul grottesco e sul sottile ragionamento, e in ciò si rivela l’originalità e la linearità dell’arte narrativa di Maria Messina. Non a caso Leonardo Sciascia, in una nota critica, l’ accosta alla grande scrittrice inglese Katrin Mansfield definendola una “Mansfield siciliana”, forse perché Maria Messina ,al pari della Mansfield ,riesce a rappresentare con poche immagini un universo femminile succube dell’egoismo e del degrado morale di una società maschilista e sa descrivere con brevi squarci momenti di vita quotidiana e stati d’animo femminili, resi da una struttura sintattica semplice e con diversi ricorsi all’indiretto libero.
Anche la scrittrice Ada Negri dedicò una prefazione alla raccolta
“Le briciole del destino”e dell’opera
dirà “Tu hai voluto studiare questi cantucci
di umanità, che sanno di vecchia polvere, di vecchi stracci abbandonati, di
vecchie ragnatele, di vecchie lagrime rancide. Tu vi sei riuscita, piccola
sorella Maria”.7
La rassegnazione e l’impossibilità di
un riscatto per la condizione femminile sono i temi dei romanzi “Casa del
vicolo”, di cui la
Sapegno fornisce chiare chiavi interpretative e tematiche. , e “Amore negato”in cui si rivela una maggiore
maturità compositiva della scrittrice. Difatti in quest’ultimo romanzo si nota
un maggiore scavo riguardo alle psicologie femminili, e l’attenzione si sposta
verso la città, descrivendo un ambiente
piccolo borghese, (Il romanzo è ambientato ad Ascoli Piceno) in cui si deve
sopravvivere alle difficoltà materiali e all’estraneità degli affetti. Sembra
quasi riecheggiare lo Svevo dei romanzi giovanili, la cui analisi
dell’inettitudine è più legata all’inconscio maschile.
È comunque
interessante fornire strumenti interpretativi delle opere di esordio di Maria
Messina, analizzando le cinque novelle che la casa editrice Sellerio ha
raccolto in un volume del 1998 dal
titolo “Dopo l’inverno”, grazie alle ricerche di Roswita
Shoell-Dombrowsky che le ha raggruppate, poiché erano state pubblicate in
diverse riviste letterarie del primo Novecento.
La novella
“Dopo l’inverno” risente della scuola verista in cui domina la descrizione
dell’ambiente rurale siciliano gravato dalla miseria, dall’ignoranza degli umili
e dal dramma dell’emigrazione.
Il
protagonista, “Ssu Vanni”, un contadino oppresso dalla povertà, tenta, nonostante
gli anni e la salute malferma, di lavorare in campagna. Ha un solo figlio, “bello
e grande come una bandiera”, il quale è
partito dal paese in primavera con l’intenzione di andare in America.
‘Ssu Vanni
,era divenuto per quella solitudine, asprigno ed irascibile,” e se qualcuno gli
si accostava egli se l’aveva a noia”, aveva ricevuto, dopo poco tempo dalla
partenza del figlio, alcune lettere. Con l’inizio dell’inverno quelle lettere
non arrivarono più, quasi a voler simboleggiare la ciclicità delle stagioni presente
nel mito di Persefone e Kore .Quando Ade rapisce Core ,che stava
sottoterra , la madre Persefone per la
disperazione rende infertile la terra,
che non dà più i suoi frutti (periodo della stagione invernale),e quando Core
poteva tornare libera sulla terra per sei mesi, la dea la rendeva fertile e
lussureggiante.
A metà inverno, verso l’anno nuovo, dopo tanto
silenzio, arriva una lettera di Turiddu. E
Ssu Vanni, analfabeta, si rivolge al Rosso, il falegname, per farsela
leggere così seppe che il figlio era
partito dall’America e si trovava a combattere in Turchia, a Bengasi.
La novella,
pubblicata nel 1912 nel quindicinale “La Donna”, è ambientata in un preciso
momento storico, quello di Crispi, e della politica coloniale dell’Italia volta
alla conquista della Libia. Anche il Meridione è coinvolto nella propaganda
patriottica, per cui Turiddu combatte per la gloria della patria. Anche
l’atteggiamento dei paesani cambia nei confronti del contadino che non sarà più
deriso ma rispettato: il figlio è un eroe, non uno squattrinato in cerca di
fortuna in America. Quando lo’ Ssu Vanni apprende la notizia che un gruppo di
feriti della guerra in Libia erano stati
rimpatriati e sarebbero ritornati in paese, inizia a sperare di poter
rivedere Turiddu proprio nel periodo in cui “il grano accestiva e le rondini tornavano a stridere sul cielo
luminoso(…) e la terra sapeva di tanti buoni aromi (ritorna il mito di
Proserpina). Difatti “è festa grande in paese, in quel pomeriggio odoroso di
primavera per i soldati reduci.” 8 Il contadino che non osava
pensare che tra di loro vi fosse il suo Turiddu, improvvisamente lo vide tra la folla festante ,accolto dalla
banda e dal sindaco del paese che aveva fatto imbandire un tavolo nella piazza
per onorare i reduci della guerra “E Ssu Vanni chiedeva perdono a Dio del
corruccio germinato nel suo cuore di uomo meschino, di uomo che, roso dalla
fatica, non distingue più un bruco dalla foglia; e ora pensava con gioia che
quel figlio era suo ,era sangue suo…”9
La novella
“Il violino di Sandro”,
pubblicato nel 1913 nello stesso quindicinale, è centrata sulla psicologia del
protagonista, di nome Sandro, musicista e violoncellista, il
quale,convalescente per una malattia dovuta a continue febbri debilitanti, è
costretto alla quasi inattività.
La sua
malinconica quotidianità è interrotta dall’arrivo dei nuovi vicini della casa
gialla : una famiglia che abitava di fronte. La figlia, era una giovane
fanciulla dal viso da bambina e dai capelli biondi che brillavano al sole come “pagliuzze d’oro”. Però la separazione
tra le due abitazioni era colmata dalla
finestra da cui spesso Sandro si affacciava per osservare le abitudini della
fanciulla dirimpettaia . Il giovane ,invaso da mille fantasie ed emozioni verso
di lei, cerca di stabilire un intimo contatto attraverso la musica “La voce
umana del violino si diffondeva nella
piazza deserta, saliva verso il cielo stellato col profumo dei calicanti ,nelle note lunghe ed appassionate vibrava
tutta la tenerezza contenuta nell’anima romantica del convalescente, affinata dalla malattia…gli occhi di tanto in tanto
si levavano a cercare colei che restava davanti alla finestra aperta”.10
Un giorno mentre
il medico parlava sommessamente con Clara, sorella di Sandro, seppe della
menomazione della ragazza dal viso di bambina: la sua sordità. La rivelazione
lo fece impallidire e tremare perché aveva cercato di comunicare con lei
attraverso l’unica voce e l’unica parola che potesse esprimere i suoi nobili
sentimenti. Ma lei non aveva potuto sentirli e così, all’improvviso, il ragazzo uscì dalla stanza perché la casa simbolicamente rappresenta la segregazione, la
non vita, l’inazione, la soglia tra ciò che è conosciuto e” l’altrove” da
scoprire e da conoscere.
Così Sandro
cerca di stabilire un contatto vero con la fanciulla per manifestarle il suo
amore e lei, se non potè sentire da lontano la dolcezza di quelle note
musicali, poteva vedere ed ascoltare da vicino
le parole di Sandro.
“Vincere” è
la più assurda ed anche un po’ grottesca novella di Maria Messina in cui si
avverte il suo pirandellismo. Intanto la storia ha quasi un impianto teatrale; due
spazi interni, i balconi, mettono in relazione due famiglie nello stesso
palazzo baronale. La moglie del professore di disegno (da poco trasferitasi in
quel luogo) con la signora Panebianco. La figlia del professore, Carmelina, sarà
la novità per il giovane aristocratico Giorgio, il quale imporrà subito alla
ragazza il suo potere di classe e di maschio “Giocavano a fare il ritratto e le comandava di stare ferma: Carmelina si
metteva nella posa che voleva lui davanti la macchina [...],e sul più bello si allontanava,
distratta […] Giorgio, che abituato a essere contentato dalla mamma, o
contrariato dal papà, obbedito dalla serva, diventava rosso sino alla radice
dei capelli”. 11
Il
desiderio adolescenziale di Giorgio di autonomia dalla famiglia lo portano a
fantasticare sul desiderio di sposare Carmelina, sfidando anche la leggenda di
famiglia dello zio ricco che si suicida perché gli fu impedito di sposare una
popolana.
La
sottomissione di Carmelina nell’accettare di sposare Giorgio, spinta da
entrambe le famiglie, la condurrà a recitare il ruolo di moglie felice ed
appagata che tutti credevano che fosse ,ma che in realtà non era. Giorgio
assume il suo ruolo all’intero di una gerarchia patriarcale e di classe e si
occuperà solo delle sue proprietà, trascurando Carmelina. La donna, cosciente
della sua condizione infelice, girellava
attorno alla vasca del “ giardino” . “Certe volte sedeva sull’orlo. Brutta
abitudine quella di sedere sull’orlo…Andò a finire che un giorno, dopo averla
cercata qua e là nel giardino…Disgrazia…oppure…ma no! Era stata una disgrazia! Una
donna fortunata come lei! Se lo dicevano tutti a una voce: le amiche, le
vicine. Che le mancava per essere felice?”12
Un suicidio, una disgrazia, qual è la verità? Ecco
riecheggiare un certo piradellismo, nel
contrasto tra apparenza e verità. Cosa le mancava per essere felice?
Anche Giorgio, avvisato della disgrazia rispose rinfrancato “Una casa
spezzata…forse non era destino…”
Lo stile e la lingua di queste novelle può essere definito
minimalista, con un ricorso ad un periodare breve, lontano da complessi
costrutti sintattici. Il linguaggio è
colloquiale e risente di espressioni del
parlato.
Giuseppina Bosco
1 Bartolotta , “ Literary” , studio su Maria Messina.
2 Maria Serena Sapegno, Sulla soglia : la narrativa di Maria
Messina, in “altre lettere”, 14-03-2012
3 Bartolotta ibidem
4 Cfr.Palermo,Sandron. 1911. Così scrive al Verga da Ascoli
Piceno
5 Bartolotta ibidem
6 M. Messina, Casa
paterna. Palermo, Sellerio 1981
7 Bartolotta, ibidem
8 Maria Messina, “Dopo l’inverno”. Sellerio 1998, Palermo, pag 16
9 Maria Messina, ibidem,
pag 20
10 Maria Messina, ibidem, pag 25
11 Maria Messina, ibidem, pag 63
12 Maria Messina, ibidem, pag 77
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