Jean Starobinski: l’inesauribile richiamo del segreto
di Lucia Amara
Il 2021 ha sancito i cinquant’anni dalla pubblicazione di Les mots sous les mots di Jean Starobinski, uno studio dedicato, come recita il sottotitolo, alla ricerca sugli anagrammi di Ferdinand de Saussure. Uscito nel 1971 per le edizioni Gallimard Les mots sous les mots riorganizzava, con l’aggiunta di qualche inedito, la «sostanza» di un grappolo di articoli che, tra il 1964 e il 1970, Jean Starobinski aveva pubblicato in diverse riviste tra cui «Mercure de France» e «Tel Quel».
L’operazione messa in atto da Starobinski sui Cahiers di Saussure in Les mots sous les mots non è di tipo filologico ma prevede la selezione e l’estrazione di alcune parti dei Cahiers dedicati all’anagramma utilizzando un criterio di tipo tematico e intervallando regolarmente i passi di Saussure con commentari. L’innesco è a tal punto efficace che qualcuno potrebbe osare definire il saggio di Starobinski un apocrifo. Alla sua uscita Les mots sous les mots ebbe una fortuna immediata per aver mostrato un lato del tutto inedito della produzione di Saussure, indiscusso padre dello strutturalismo e della linguistica moderna ; e una fortuna più duratura, divenendo in un certo qual senso il capostipite, se non addirittura l’autorevole nume tutelare di una nuova epoca dell’analisi del testo, in virtù della quale si poteva legittimare l’inizio della semiotica letteraria. L’anagramma, per definizione, è un procedimento, di origini remotissime e rintracciabile anche nella cabala ebraica, basato sulla permutazione di lettere o sillabe di una parola, in modo da ottenere altre parole o frasi di significato diverso. Ferdinand de Saussure nutrì l’intuizione che l’anagramma, con tutto l’insieme delle complesse procedure al termine delle quali si produce la versificazione, fosse il congegno testuale alla base della poesia di molte letterature antiche . L’anagramma consiste nello smembrare lettera per lettera un nome, solitamente quello di un dio o di un eroe, a cui segue la «disseminazione», lo spargimento dei fonemi tra le sillabe dei versi producendo l’effetto che Saussure chiama «armonia fonica». Questo procedimento, che ha le regole di un computo di tipo matematico, poteva mettere in crisi o far luce sulle dinamiche volontarie e involontarie che soggiacciono alla creazione poetica. Starobinski rimarca che Saussure nell’abbozzare la teoria sugli anagrammi non aveva la pretesa di definire l’essenza della creazione poetica, tuttavia questa teoria ha il merito di segnalarci ciò che concepiamo come «il nascosto», ciò che in un testo si configura come latente. Saussure delimitò il campo di ricerca sugli anagrammi e lo circoscrisse alla poesia classica (dalla poesia greca omerica a quella latina, dalla poesia germanica a quella vedica) e alla versificazione in latino di poeti contemporanei come Giovanni Pascoli. Nonostante non abbia in alcun modo cercato sotto il nome del dio nascosto un livello simbolico, o un’origine religiosa, la ricerca di un «antecedente sonoro della trama di un testo» – come lo definisce Starobinski – fa capo a una serie di dispositivi estendibili oltre il verso classico ad altre tipologie di produzione poetica e linguistica. Ferdinand de Saussure aveva cominciato la sua ricerca sugli anagrammi nel 1906 e vi si dedicò almeno fino al 1909, riempiendo un numero corposo di quaderni e producendo una mole di lavoro impressionante. Gli anagrammi formano un insieme di più di cento quaderni di scuola insieme a circa 2500 foglietti di note. Una ricerca minuziosa che per la sua maggioranza giace tuttora inedita dentro i Cahiers che formano la collezione, conservata nell’Archivio della Biblioteca di Ginevra, negli ultimi anni arricchita di nuovi manoscritti. La cautela, quasi ossessiva, davanti alla scoperta del procedimento anagrammatico, attestata dai dubbi più volte espressi nella corrispondenza con i suoi amici e allievi, tra cui Antoine Meillet, fu probabilmente il motivo per cui il linguista affidò la ricerca sugli anagrammi alle minute dei suoi quaderni senza mai trarne una vera e propria pubblicazione. Spesso si dice che con gli anagrammi Saussure abbia messo alla prova una modalità della produzione del discorso che in un certo qual senso avrebbe potuto far barcollare la monumentalità di una relazione comprovata, quella tra significante e significato, che si produce nell’articolazione tra langue e parole e che il linguista sviluppò negli anni tra il 1906 e il 1911 nel Cours de linguistique générale, considerato la summa del suo pensiero e pubblicato postumo nel 1916.
Quando nel 1971 esce Les mots sous les mots di Jean Starobinski, fu la prima volta che un pubblico più vasto poteva leggere stralci direttamente estratti dai Cahiers di Saussure sugli anagrammi e l’impressione suscitata fu importante e ricca di conseguenze. La prima ricezione venne dall’ambiente della teoria del testo e soprattutto in ambito francese, tra i nomi più rilevanti Barthes, Kristeva, Todorov; poi tra i filosofi, come Derrida e Baudrillard; infine nell’ambiente della psicanalisi con Lacan e Irigaray. Il silenzio della maggior parte dei linguisti dell’epoca fu squarciato da rare voci provenienti dalla linguistica di stampo più interdisciplinare interessata soprattutto a questioni di poetica, primo tra tutti Roman Jakobson.
A lungo, e ancora oggi in molti casi, la ricezione degli anagrammi di Saussure è filtrata da Les mots sous les mots di Jean Starobinski e questo ha depistato la ricerca saussuriana fuori dai binari della linguistica favorendo almeno due tendenze, la prima è quella di utilizzare gli anagrammi saussuriani come strumenti di analisi della poesia moderna a partire da Mallarmé; l’altra tendenza si rintraccia nella ripresa della teoria saussuriana laddove il linguista l’aveva abbandonata cercandone lo sviluppo in altri autori, quali Freud, Bakhtine, Benveniste.
Se si indaga la ricezione del libro di Starobinski e degli anagrammi di Saussure in Italia, il panorama non è così fulgido ed evidente come in Francia e le influenze appaiono più magmatiche, forse perché ancora poco indagate. Tuttavia ci preme ricordare qualche dimora emblematica in cui questa ricezione ebbe luogo, tra gli anni sessanta e gli anni settanta, consapevoli di averne dimenticate di altrettanto importanti. Del 1968 è l’articolo di Aldo Rossi, Gli anagrammi di Saussure: Poliziano, Bach e Pascoli, pubblicato nella rivista «Paragone». Nello stesso anno, Giuseppe Nava pubblica il ritrovato carteggio tra Saussure e Giovanni Pascoli nei «Cahiers Ferdinand de Saussure», la rivista ginevrina che si produce attorno al Cercle Ferdinand de Saussure e che ancora oggi è il punto di riferimento più autorevole degli studi filologici dell’opera saussuriana. Nel 1979 la rivista «Il piccolo Hans» dedica il numero 22 agli anagrammi, contenente in apertura un saggio di Carlo Ossola e una dichiarata attenzione e aderenza, come si legge nella nota del curatore, all’«ordine del significante» di marca lacaniana. La parola dipinta di Giovanni Pozzi è del 1981 e porta traccia degli anagrammi saussuriani scelti e commentati da Starobinski. Ma il fatto più significativo della ricezione italiana risulta la pubblicazione della traduzione di Les mots sous les mots, uscita nel 1982, in pieno dibattito ‘anagrammatico’, per la casa editrice il Melangolo. La traduzione italiana ha una firma celebre, quella di Giorgio Raimondo Cardona, glottologo e linguista, studioso di oralità e raffinatissimo traduttore di opere fondamentali nel dibattito del secondo novecento (tra cui Franz Boas, di cui curò lo studio sulle lingue degli indiani d’America e John R. Searle, di cui tradusse Atti linguistici), prematuramente scomparso nel 1988. In virtù delle importanti aggiunte di Cardona all’apparato di note di Starobinski, sottoforma di note del traduttore (ntd), l’edizione italiana potrebbe essere a tutto merito considerata un’edizione augmentèe. La versione italiana si chiude con un breve ma acutissimo ed erudito saggio di Enrica Salvaneschi, da cui crediamo bisognerebbe ripartire per rintracciare il portato della tradizione e della ricezione Saussure/Starobinski.
Nell’ultimo ventennio gli studi di Saussure hanno intrapreso le strade del rigore filologico e del confronto diretto sui manoscritti, di certo più attinente al metodo adottato dallo stesso Saussure. Eppure permane intatto il fascino suscitato da Le parole sotto le parole, soprattutto per l’incanto che ti coglie di fronte a un’esegesi capace di creare altri testi.
Così concludiamo con Starobinski: «… accade che ogni linguaggio sia combinazione, senza che nemmeno intervenga un’arte combinatoria. I decifratori, siano essi cabalisti o fonetisti, hanno il campo libero: una lettura simbolica o numerica, o sistematicamente attenta a un aspetto parziale può sempre fare esistere un fondo latente, un segreto dissimulato, un linguaggio sotto il linguaggio. E se non ci fosse cifra? Resterebbe l’inesauribile richiamo del segreto, quell’attesa della scoperta, questi passi sperduti nel labirinto dell’esegesi».
Articolo ripreso da https://www.nazioneindiana.com/2021/12/30/lucia-amara/
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