12 dicembre 2021

VIVA LO SCIOPERO GENERALE!

 


LO SCIOPERO INDETTO DALLA CGIL È PIÙ CHE LEGITTIMO! Si è perso anzi tempo ad indirlo. La pandemia sta diventando un affare per i ricchi (Grandi imprese farmaceutiche, grande industria, banche, ecc.) e sta sempre più impoverendo ed emarginando giovani, pensionati e lavoratori dipendenti. La sanità pubblica si occupa solo di Covid ed il servizio sanitario nazionale, previsto dalla legge 833, non esiste più da decenni. (fv)

LA BELLEZZA DI SCIOPERARE

di Christian Raimo


Si dice che si viva sempre in un’epoca di transizione, ma quello che ormai è evidente è che viviamo in un’epoca di fine. Il novecento è stato un secolo lunghissimo, a dispetto delle sue interpretazioni affrettate, che non smette di finire.
Stiamo dentro almeno tre crisi planetarie: il cambiamento climatico, quella del patriarcato, quella del neoliberismo (ovvero della fase più avanzata del capitalismo). C’è un mondo che sta finendo e un altro che fatica a iniziare. Questa fatica è espressa dall’egemonia del distopico: ci affanniamo a trovare un nuovo realismo. La pandemia ha fatto deflagrare, ha evidenziato, ha accelerato questi processi che stavano emergendo anche nella scena pubblica. Quello che prima era sottotraccia, inconscio, ora è visibile.

Ma come finiscono le cose? In che fase di queste crisi siamo? Come vengono distrutte, superate queste forme di dominio predatorio di un essere vivente sugli altri esseri viventi, di un genere sugli altri generi, di una classe sull’altra?
All’apparenza in una forma melodrammatica. Dovunque si piange, dovunque assistiamo alle lacrime pubbliche di chi finora ha praticato questo dominio e ora sente che non è più possibile, o allo scioglimento del trucco come in un film di Luchino Visconti: le lacrime di Elsa Fornero, le lacrime di Allegra Stratton, la tintura che cola sul volto di Rudolph Giuliani nella conferenza stampa dopo Capitol Hill…

Ma questa modalità comprende solo una parte della performance della fine. La forma che questa fine prende è nella maggior parte dei casi diversa. Non melodrammatica, ma aggressiva, cinica quando non sadica, indifferente: è la forma del backlash – come l’ha definito Susan Faludi -, del contrattacco, dell’esasperazione parossistica di quel dominio.

Di fronte a una crisi irreversibile, ecco cosa abbiamo: negazionismo, recrudescenza, misoneismo, delegittimazione del nuovo, della critica, del conflitto, del dissenso. Ogni dialettica è negata, quella della storia più delle altre; per questo il distopico è diventato così mainstream, anche nell’entertainment e dilaga: perché è la forma della fantascienza che non apre a un mondo nuovo, ma stira fino alla tensione massima il presente.

Ma c’è un sintomo in più che dobbiamo cogliere in questa crisi multifattoriale. La crisi estrema, la fine che non finisce, si mostra come una ferita narcisistica. Se per il patriarcato sembra essere giunta una crisi irreversibile che tenta di contenersi come una crisi di mezz’età, assumendo forme di reiterazione del dominio in modalità che sembrano meno predatorie: il paternalismo, o il patetico (come chi si tinge i capelli o Weinstein che cammina con il girello); dall’altra parte invece il neoliberismo con le sue promesse mancate e i suoi danni planetari non solo non accetta la possibilità di una sua seria crisi, ma reagisce come un narcisista di fronte alla mancanza di consenso, di plauso. Come è possibile? Come mai non ti piaccio? Eppure finora era così. Come è possibile che un governo dei migliori non solo venga sostenuto da tutto il parlamento ma non abbia le fanfare a ogni angolo di strada? Come è possibile che nonostante tutta la bontà di chi decida i destini collettivi, qualcuno decida di non applaudire e scioperare?

Ecco la ferita narcisistica. Qualcuno che dice: non mi piace. Nonostante quel dominio si presenti in forme più suadenti e dolci: resilienza, educazione alla responsabilità, ripartenza, valore sociale, rigenerazione urbana… Cosa deve fare di più per piacere?

Eppure in massa, ovunque, cominciano a dichiararsi i no. Netti, argentini, rotondi.

Le grandi dimissioni sono un fenomeno globale che si amplierà. È come se un fronte di Bartleby si stesse affacciando al mondo e dicesse, con pacata determinazione, Preferirei di no.

Di fronte a questi no, come nel racconto di Bartleby, si impazzisce: cosa succede? Perché? Bartleby si è ammalato all’improvviso? Tutta questi no sono sintomi di depressione collettiva, di irresponsabilità, di mancanza di buon senso?

Il conflitto, il dissenso viene così delegittimato.
Ma questa delegittimazione non è una novità. Margaret Thatcher è la prima a avere l’intuizione che poteva minare nel profondo la cultura del lavoro del movimento operaio. Nel 1984-1985 il Regno Unito è attraversato da un leggendario sciopero dei minatori: dura 51 settimane, coinvolge 165mila lavoratori, e finisce con una resa da parte del sindacato della National union of mineworkers, sconfitto dall’intransigenza della 
iron lady. Ma a Margaret Thatcher non basta vincere, vuole delegittimare la battaglia: uno degli elementi che usa per sfiancare/trattare i sindacati a la proposta di spesare le spese psicologiche degli operai che avrebbero perso il lavoro. Il conflitto viene ridotto a disagio, a trauma.

Il quarantennio del neoliberismo nasce così insomma, come un dominio sociale e sulla psiche. Quale è allora la novità attuale?

Finora questa delegittimazione attraverso la patologizzazione è riuscita. I decenni che abbiamo vissuto ci hanno mostrato come questo conflitto venisse preso in carico e introiettato da chi subiva il dominio.
Oggi può andare diversamente? Sì. La pandemia ha slatentizzato sia l’aggressività del dominio nelle sue forme di backlash, sia ha permesso di fare acting out a chi sentiva ma non riusciva a legittimare il conflitto, ha dato la possibilità ai subalterni di emanciparsi non solo dal dominio dalla patologizzazione della crisi.

È come se arrivato il tempo di ribaltare le diagnosi: ovvero il tempo che la ferita narcisistica del capitalismo sanguini. Si può scioperare, dimettersi, sindacalizzarsi, rivendicare diritti, senza dover minimamente cedere alle lusinghe o alle proiezioni del capitalismo che dice Ma come? Non ti piaccio più? Sei sicuro?

La risposta è un bellissimo no.


Articolo ripreso da   minima&moralia  domenica, 12 Dicembre 2021 ·




Nessun commento:

Posta un commento