07 giugno 2022

DONNE IN POESIA

 



MONDO ILLEGITTIMO? DONNE IN POESIA POST 68

di Elisa Donzelli

 

Nel 1976, due anni prima dell’antologia Poeti italiani del Novecento di Pier Vincenzo Mengaldo, Biancamaria Frabotta curava e introduceva, con una nota di Dacia Maraini, Donne in poesia la prima antologia di sole voci femminili dal dopoguerra alla metà degli anni Settanta. Il titolo non era stato scelto con facilità, non senza difficoltà e ripensamenti. Di questa difficoltà ho raccolto testimonianza il 15 aprile scorso, a casa di Biancamaria riparlando con lei di un’operazione a suo avviso oggi tanto dimenticata quanto ancora fraintesa. Quale la questione aperta sul titolo? Non solo e non tanto poesia femminile, come inizialmente si era pensato per l’antologia, ma “donne in poesia” in quanto voci interiorizzate come maschili, femminili, cangevoli di fronte al cruccio dell’identità ma accomunate dall’idea della “separatezza come punto di forza”, non della “esclusione culturale” rispetto agli uomini. Una considerazione questa che ho trovato quanto più attuale e lungimirante in ragione delle tendenze sempre più fluide che attraversano la percezione delle differenze sessuali nelle ultime generazioni. LGBTQ+ ha significato in questi anni scavalcare la soglia dell’intolleranza e aprire alla plurivocità di una soglia identitaria affatto monolitica, protesa finalmente a rivendicare una libertà di espressione soggettiva che tenga conto del nostro essere (e sempre più) in moto perenne nello spazio e nel tempo anche interiori. Ciò detto – e sento il dovere di testimoniarlo proprio per come le nuove generazioni ci si augura potranno proseguirne e interpretarne il pensiero – Biancamaria era una donna nata nel 1946 che con forza ed intelligenza credeva nella libertà di espressione personale e sessuale, ma anche nella differenza erratica dei sessi. Tutto partiva dall’idea che le donne avessero sviluppato la propria voce, per motivi culturali e antropologici, sull’ambivalenza che per secoli le lasciava sospese tra storia e metastoria. Con una scelta coraggiosa che, oggi che il femminismo non è più quel fenomeno politico e sociale a tutto campo come negli anni Settanta, potrebbe apparire desueta e inattuale e che invece sanciva per la prima volta un principio storico e letterario: la legittimazione della specificità autoriale di una donna nel mondo della poesia italiana. E questo significava fare i conti almeno con due grandi aspetti:

 

– quello dell’identità come mutevole espressione di un viaggio che nelle donne, a partire dalla storia che il proprio corpo disegna nel mondo, è soggetto quanto più a metamorfosi.

 

– quello dell’ammissione implicita di un silenzio: l’impossibilità di stabilire uno o più canoni, o di affermare l’inesistenza di un canone, per la poesia delle donne italiane del Novecento alla luce della storia letteraria, della storia delle antologie, e soprattutto di quella dell’editoria di poesia del nostro paese.

 

Dall’antologia Poeti d’oggi del 1925 (Papini-Pancrazi) a quella di Antonio Porta del 1979 (Poesia degli anni Settanta), così come nelle principali o minori collane di poesia italiane, per cinquant’anni le donne sono state drasticamente inferiori come presenza numerica agli uomini. Se non assenti. Alcuni recenti studi stanno tentando di ricostruire alcune prime statistiche in relazione alla presenza in antologie pubblicate dagli anni Settanta ad oggi (rigoroso il lavoro anche di impianto ermeneutico della tesi di Roberto Binetti e buono il contributo di Sara Vergari, anche se l’auspicio è quello di retrodatare di cinquant’anni almeno le indagini). Nel complesso le voci di donne dal 1970 in poi sono sotto la media del 3 per cento, più spesso corrispondono all’1 o al 2 per cento. Mentre, secondo alcuni miei primi sondaggi sulla presenza femminile nelle principali collane di poesia dagli anni Venti agli anni Ottanta, la curva è anche più bassa. Il quadro dagli anni Novanta ad oggi è cambiato ma non tanto da spostare di molto i numeri, e va detto soprattutto in neo-collane di editori indipendenti, più che nella grande editoria che spesso punta sull’individuazione di voci di donne in poesia fortemente legata a criteri commerciali. Voglio, tuttavia, allertare i ricercatori.

 

Bisognerà ripartire dai dati concreti ma sarebbe riduttivo piangere sulla sola dinamica dell’assenza, perché esistono delle ragioni storiche e sociali, di conseguenza estetiche, per le quali un editore di poesia mostra più fatica nell’individuare il libro di una donna che la (o lo) convinca pienamente. E nel caso della collana che dirigo credo di aver già fatto capire che, per l’idea soggettiva che mi sono fatta, tutto questo dipenda dalla maggiore difficoltà che le donne hanno nel sentirsi autorizzate (legittimate?) a fare i conti con il reale inteso come mondo collettivo, e non solo dell’intimità. Però sento ogni giorno il peso di questa assenza.

 

Nell’ambito dei progetti mossi dal gruppo poetipost68, l’incontro da me voluto e concepito Mondo Illegittimo? Donne in poesia post 68 che si terrà al Teatro Fontana di Milano il 12 giugno prossimo, intende mettere sullo stesso tavolo otto diverse voci di poete nate negli anni ’70 e ’80 con l’intento di riprendere con sistematicità un discorso che, fatte salve alcune lodevoli ma sporadiche iniziative non sempre consapevoli del dato storico e bibliografico dal quale ripartire, sino ad oggi è rimasto sospeso al 1976 soprattutto nel confronto dialettico tra la voce delle donne che confluirono nell’antologia Savelli, le poete nate tra anni Cinquanta e Sessanta che invece, in alcuni casi, hanno conquistato pienamente uno spazio editoriale e un riconoscimento letterario (un esempio per tutti è quello di Antonella Anedda), e le donne in poesia nate per anagrafe nel pieno, o subito dopo i conflitti politici degli anni Settanta. Sul piano editoriale segnalo come tappa intermedia dopo l’antologia Frabotta il lavoro di Mariapia Quintavalla nel 1988 per Campanotto, mentre Nuovi poeti italiani 6 di Giovanna Rosadini non si poneva come inchiesta e meriterebbe un discorso a parte. Di recente la Società Italiana delle Letterate, con Elvira Federici e Gabriella Musetti tra le altre, ha avviato il programma Repertorio critico delle poete italiane contemporanee notevole di menzione e che sarà interessante capire in quale direzione critica si muoverà. Notevole per merito e trasversalità di vedute – non focalizzato sulla questione del passaggio generazionale che qui si propone – è al momento il progetto ideato dai ricercatori Adele Bardazzi e Roberto Binetti Non solo musepanorama della poesia italiana dal 1970, promosso dalla John Fell Fund of the University of Oxford. Ed è importante, anche bello, che qualcosa dall’estero, e in chi è all’inizio del proprio percorso di ricerca, si sia mosso in autonomia individuando questa necessità.

 

Ma ripartiamo dal 1976, che vuol dire quasi mezzo secolo. Nell’antologia di Frabotta le donne incluse avevano preso direttamente parte ai movimenti studenteschi e femministi, alcune si erano astenute, altre (si veda il caso di Elsa Morante) non avevano voluto partecipare al progetto. E la curatrice si era impuntata scegliendo di includere nel volume anche Morante con la sola scheda bibliografica, ma senza testi. Le donne coinvolte avevano tutte risposto diversamente alle cinque domande poste al fondo del libro, comprendendo che si trattava di un terreno difficile dove la dialettica andava costruita con la consapevolezza che le questioni poste dovevano restare aperte. In ogni caso si trattava di persone per lo più nate negli anni in cui era nata la Repubblica e il voto alle donne, e di donne che, attivamente o meno, avevano respirato la temperie di un’epoca mossa dalla spinta della politica. Donne che biologicamente potevano essere le nostre nonne ma soprattutto le nostre madri, anche se la maggior parte delle poete di quel tempo non ebbero figli (e non trascurerei di chiederci, tra volontà e necessità, perché fu in prevalenza così).

 

Cosa è accaduto a noi donne in poesia nate dopo il Sessantotto? Potenzialmente figlie di quelle madri e poi nipoti o sorelle minori di donne nate negli anni Sessanta?

Nel 1982 Philip Abrams scriveva che “il problema delle generazioni consiste nella sincronizzazione reciproca di due calendari diversi: quello del ciclo vitale dell’individuo e quello dell’esperienza storica”. Siamo state – ciascuna con storie, formazione, biografie, provenienze geografiche diverse – figlie del precariato professionale, sentimentale, familiare. Così come è cambiato per noi il concetto di maternità, di unione di coppia e di famiglia. Ma a differenza di quelle madri non abbiamo avuto importanti e tangibili esperienze storiche in rapporto alle quali sia stato possibile assemblare nuovi significati. Tutto questo può entrare in tangenza con la lingua della poesia? Ed ha a che fare con la letterarietà? E se la scelta è quella di scrivere per distogliere lo sguardo dal reale o costruire una alternativa ad esso, è davvero possibile che il reale non si rifranga nel desiderio più intimo dei nostri libri di versi?

 

Da sempre la poesia viaggia singolarmente, ma singola raggiunge altre voci a ricordarci che “storia di vita e storia del mondo si fondono sino a trasformarsi reciprocamente”. “L’identità” scriveva ancora Abrams, allargando la prospettiva di Mannheim, “si costituisce all’interno di questa duplice costruzione del tempo”. E le generazioni, anche la nostra “non-generazione”, ha in comune con le altre almeno tre fattori, inevitabili: mediazione, estraneità, conflitto.

Non so cosa accadrà a Milano il 12 giugno ma ho sentito il dovere, prima ancora il bisogno, di porre le stesse domande del 1976 ad alcune poete coetanee con un percorso ‘singolare’. E quelle domande sono riscritte da chi, come me, è nata nel 1979 ed è da poco nata scopertamente poeta. Dunque in parte sono domande che cambiano rispetto al ’76, ma ne accolgo la latenza. Soprattutto mi auguro cambino le risposte delle poete che hanno accolto la sfida sororale di partecipare a questo incontro. Consapevole che – io per prima – non sarò in grado di rispondere, o di rispondere per davvero, al modo delle nostre madri.

 

Domande rivolte a Maria Borio, Tiziana Cera Rosco, Laura Di Corcia, Elisa Donzelli, Isabella Leardini, Francesca Matteoni, Marilena Renda, Lidia Riviello:

 

– Qual è la tua conoscenza e relazione con l’opera poetiche delle donne del primo e del secondo Novecento? Hai avuto maestre della poesia italiana e/o straniera?

 

– Consideri la tua voce “in poesia” prevalentemente legata ad un genere, a più generi o neutra? Pensi che esista una specificità poetica femminile o comunque legata al tuo essere ‘donna’, in relazione ai motivi e alle scelte formali sottese alla tua opera?

 

– Ritieni che la questione di una voce più o meno femminile abbia a che vedere con la formazione, o rimozione, dell’Io nella tua poesia? E di conseguenza di uno o più tu e/o di un noi.

 

– Qual è il tuo rapporto con il maternage in poesia e quale quello con il sororale? Quale, se vi è distinzione, la presenza della voce maschile (paterna, fraterna, antagonista) come alter ego, come tu, o possibile personaggio?

 

– Ritieni esista una differenza tra uomini e donne nella poesia di chi è nato negli anni Settanta e Ottanta in merito alla relazione tra opera e realtà circostante, storia, cronaca, mondi?

 

– In ragione della crescente tendenza a una visione fluida dei generi ed orientamenti sessuali, pensi sia ancora possibile parlare di femminile o di donne in poesia nel nostro tempo?

 

 

[Immagine: Aleksandr Rodchenko, Lilja Brik, 1924].

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