Oltre il pacifismo
La proposta antimilitarista, così come quella della decrescita, si scontra oggi contro due muri persistenti e rigidi nelle loro premesse, arroganti e presuntuosi nelle loro posture. Il primo è quello rappresentato dai nostri avversari, da tempo incorreggibili e impermeabili ad argomentazioni razionali o proteste politicamente codificate. Il secondo – più doloroso e inopinato – è quello interno: l’indisponibilità al cambiamento dei nostri stessi alleati (a parole) e compagni di strada (nei cortei).
Proverò qui a descrivere meglio, più in dettaglio seppur brevemente e molto schematicamente, questi assunti:
- Il pacifismo non può opporsi alla guerra, ma ne rappresenta da sempre solo la sua foglia di fico. Se vogliamo opporci alla guerra dobbiamo uscire dal pacifismo – aprire un conflitto con esso – e assumere posizioni antimilitariste e nonviolente: opporsi alla preparazione e alla legittimazione-giustificazione della guerra (produzione-vendita delle armi, patriottismo, diritto alla difesa armata…) e organizzare forme alternative di intervento e gestione nei conflitti (sociali, nazionali e internazionali); chi non si impegna per questo ma dice di non volere la guerra – e organizza marce e manifestazioni per la pace quando scoppia – o è un ingenuo (pacifista) oppure è un politico (o un pacifista o un sindacalista) di professione.
- Il pacifismo è morto da tempo, insieme alla sinistra tradizionale: quel che resta è soltanto un ripetersi rituale di petizioni (di principio), proteste ritualizzate, manifestazioni autoconsolatorie, convegni autoreferenziali. Vedo lo stesso limite nel movimento per la decrescita: un movimento che non è riuscito a farsi azione diretta nonviolenta per il cambiamento sociale e politico dell’occidente post-industriale. La proposta culturale, pur degna e ben argomentata, non basta (se non a chi nutre per essa un interesse meramente intellettuale).
- Il pacifismo fallisce anche nel suo proporsi come solidarismo umanitario (finto-vero volontariato, Ong), a supporto delle vittime della guerra. Tanto è ladro chi ruba che chi para il sacco, ricordava Don Milani. Gandhi capì presto che lavorare come portantino della Croce Rossa nella guerra anglo-boera significava collaborare alla guerra. La dimensione del servizio e della cura è ormai preda del soft power, attuale forma del dominio maternalista e paternalista post-democratico, come ampiamente dimostrato dalla vicenda pandemica, con la sua “guerra sanitaria”, perfetto preambolo alla guerra in corso. La nonviolenza invita alla lotta e alla resistenza come forma dell’amore: se vogliamo davvero amare l’umanità dobbiamo abbandonare i buonismi, gli assistenzialismi pelosi, gli umanitarismi di parte.
- Le nostre società sono già dentro la loro catastrofe: essa non è più evitabile o rinviabile. Va assunta come prospettiva politica collettiva dentro cui dovremo necessariamente vivere nei prossimi decenni. Questa assunzione non è ancora avvenuta da parte nostra, mentre è già gestita e agita da coloro che l’hanno prodotta e cercano di trarne ora ulteriore vantaggio, proprio attraverso la deriva emergenziale permanente e la sua militarizzazione-digitalizzazione nella microfisica di vita quotidiana. I nostri avversari stanno già realizzando la loro “pedagogia delle catastrofi” e stanno già ottenendo rapidi ed enormi risultati, illudendo (loro stessi e gran parte di noi) che sarà possibile evitare il disastro se sapremo affidarci a loro e alle loro soluzioni (tecnologiche, finanziarie, militari) da shock economy. Da parte nostra, non siamo stati invece capaci di fare questo passaggio, pur essendo consapevoli da tempo che anche la decrescita, se non fosse stata scelta e gestita con spirito ecologico e lungimiranza, sarebbe stata comunque subìta e violentemente orientata ad un aumento della distruzione e della diseguaglianza, come di fatto sta ormai avvenendo, nella altrui (e soprattutto nostra) assoluta impotenza.
Sintesi dell’intervento all’incontro web “Guerra, nonviolenza, decrescita“ (con Mario Agostinelli, Bruna Bianchi e Daniela Padoan) promosso dall’Associazione della decrescita il 19 maggio 2022)
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