Guccini, Cenne e Folgore, cantori dei dodici mesi
A metà della sua Canzone dei dodici mesi Francesco Guccini brinda a Cenne e Folgore, due poeti del dolce stil novo. E' un omaggio dovuto a chi lo aveva ispirato con con due bellissimi e poco conosciuti sonetti, dedicati ai dodici mesi dell'anno. Siamo di fronte ad una sorta di sfida poetica, accompagnata sicuramente da musica e vino e belle fanciulle. Il primo augura ai suoi amici e alle sue amiche le cose più belle che possano accadere nel corso dell'anno, tutte legate al ciclo delle stagioni e ai lavori dei campi. Il secondo si diverte a smontare tutto e, usando gli stessi materiali dell'amico Folgore, risponde augurando quanto di peggio possa esserci, donne brutte e vino cattivo.
Folgore da San Gimignano
Sonetto dei dodici mesi
A
la brigata nobele e cortese
en tutte quelle parte, dove sono
con
allegrezza stando, sempre dono
cani, uccelli e danari per
ispese,
ronzin portanti, quaglie a volo prese,
bracchi levar,
correr veltri a bandono:
in questo regno Niccolò corono,
per
ch'ell'è 'l fior de la città sanese;
Tengoccio e Min di Tengo
ed Ancaiano,
Bartolo con Mugàvero e Fainotto,
che paiono
figliuoi del re Priàno,
prodi e cortesi più che Lancilotto;
se
bisognasse, con le lance in mano
fariano tarneamenti a Camelotto.
I'
doto voi del mese di gennaio
corte con fuochi di salette
accese,
camere e letta d'ogni bello arnese,
lenzuol di seta e
copertoi di vaio,
treggea, confetti e mescere a razzaio,
vestiti
di doagio e di racese;
e 'n questo modo stare alle difese,
muova
scirocco, garbino e rovaio;
uscir di fuor alcuna volta il
giorno,
gittando della neve bella e bianca
alle donzelle che
saran d'attorno;
e, quando la compagna fosse stanca,
a questa
corte facciasi ritorno,
e sí riposi la brigata franca.
E
di febbraio vi dono bella caccia
di cerbi, cavrïuoli e di
cinghiari,
corte gonnelle con grossi calzari,
e compagnia che
vi diletti e piaccia;
can da guinzagli e segugi da traccia,
e
le borse fornite di danari,
ad onta degli scarsi e degli avari,
o
chi di questo vi dà briga e 'mpaccia;
e la sera tornar co'
vostri fanti
carcati della molta salvaggina,
avendo gioia ed
allegrezza e canti;
far trar del vino e fumar la cucina,
e fin
al primo sonno star razzanti;
e poi posar infin' alla mattina.
Di
marzo sí vi do una peschiera
di trote, anguille, lamprede e
salmoni,
di dentici, dalfini e storïoni,
d'ogn'altro pesce in
tutta la riviera;
con pescatori e navicelle a schiera
e
barche, saettíe e galeoni,
le qual vi portino a tutte stagioni
a
qual porto vi piace alla primiera:
che sia fornito di molti
palazzi,
d'ogn'altra cosa che vi sie mestiero,
e gente v'abbia
di tutti sollazzi.
Chiesa non v'abbia mai né monistero:
lasciate
predicar i preti pazzi,
ché hanno assai bugie e poco vero.
D'april
vi dono la gentil campagna
tutta fiorita di bell'erba
fresca;
fontane d'acqua, che non vi rincresca,
donne e
donzelle per vostra compagna;
ambianti palafren, destrier di
Spagna,
e gente costumata alla francesca
cantar, danzar alla
provenzalesca
con istormenti nuovi d'Alemagna.
E d'intorno vi
sian molti giardini,
e giacchito vi sia ogni persona;
ciascun
con reverenza adori e 'nchini
a quel gentil, c'ho dato la
corona
de pietre prezïose, le piú fini
c'ha 'l Presto Gianni
o 'l re di Babilona.
Di
maggio sí vi do molti cavagli,
e tutti quanti sieno
affrenatori,
portanti tutti, dritti corritori;
pettorali e
testiere di sonagli,
bandiere e coverte a molti intagli
e di
zendadi di tutti colori;
le targe a modo delli
armeggiatori;
vïuole e rose e fior, ch'ogn'uom v'abbagli;
e
rompere e fiaccar bigordi e lance,
e piover da finestre e da
balconi
in giú ghirlande ed in su melerance;
e pulzellette e
giovani garzoni
baciarsi nella bocca e nelle guance;
d'amor e
di goder vi si ragioni.
Di
giugno dovvi una montagnetta
coverta di bellissimi
arbuscelli,
con trenta ville e dodici castelli
che sieno
intorno ad una cittadetta,
ch'abbia nel mezzo una fontanetta;
e
faccia mille rami e fiumicelli,
ferendo per giardini e
praticelli
e rinfrescando la minuta erbetta.
Aranci e cedri,
dattili e lumìe
e tutte l'altre frutte savorose
impergolate
sien su per le vie;
e le genti vi sien tutte amorose,
e
faccianvisi tante cortesie,
ch'a tutto 'l mondo sieno grazïose.
Di
luglio in Siena, in su la Saliciata,
con le piene inguistare de'
trebbiani;
nelle cantine li ghiacci vaiani,
e man e sera
mangiare in brigata
di quella gelatina ismisurata,
istarne
arrosto e giovani fagiani,
lessi capponi e capretti sovrani,
e,
cui piacesse, la manza e l'agliata.
Ed ivi trar buon tempo e
buona vita,
e non uscir di fuor per questo caldo;
vestir
zendadi di bella partita;
e, quando godi, star pur fermo e
saldo,
e sempre aver la tavola fornita,
e non voler la moglie
per castaldo.
D’agosto
sí vi do trenta castella
in una valle d’alpe montanina,
che
non vi possa vento di marina,
per istar sani e chiari come
stella;
e palafreni da montare in sella,
e cavalcar la sera e
la mattina;
e l’una terra all’altra sia vicina,
ch’un
miglio sia la vostra giornatella,
tornando tuttavïa verso
casa;
e per la valle corra una fiumana,
che vada notte e dí
traente e rasa;
e star nel fresco tutta meriggiana;
la vostra
borsa sempre a bocca pasa,
per la miglior vivanda di Toscana.
Di
settembre vi do deletti tanti:
falconi, astori, smerletti,
sparvieri;
lunghe, gherbegli, geti con carnieri,
bracchetti
con sonagli, pasto e guanti;
bolze, balestre dritt'e ben
portanti,
archi, strali, ballotte e ballottieri,
sianvi mudati
guilfanghi ed astieri
nidaci e di tutt'altri uccel volanti,
che
fosser boni da snidar e prendere:
e l'un e l'altro tuttavia
donando,
e possasi rubar e non contendere;
quando con altra
gente rencontrando,
la vostra borsa si' acconcia a spendere
e
'n tutto abbiate l'avarizia en bando.
Di
ottobre nel contà c'ha buono stallo,
e' pregovi, figliuoi, che
voi n'andate;
traetevi bon tempo ed uccellate
come vi piace, a
piè ed a cavallo.
La sera per la sala andate a ballo,
e
bevete del mosto ed inebriate,
ché non ci ha miglior vita, en
veritate:
e questo è vero come 'l fiorin giallo.
E poscia vi
levate la mattina,
e lavativ'el viso con le mani;
lo rosto e
'l vino è bona medicina.
A le guagnele, starete più sani,
ca
pesce in lag' o fiume o in marina,
avendo meglior vita di
cristiani!
E
di novembre a Petriuolo al bagno,
con trenta muli carchi de
moneta:
la ruga sia tutta coverta a seta;
coppe d'argento,
bottacci di stagno:
e dar a tutti stazzonier guadagno;
torchi,
doppier che vegnan di Chiareta;
confetti con cedrata de Gaeta;
e
béa ciascun e conforti 'l compagno.
E 'l freddo vi sia grande e
'l foco spesso;
fagiani, starne, colombi, mortiti,
levori,
cavrioli rosto e lesso:
e sempre aver acconci gli appetiti;
la
notte 'l vento, 'l piover a ciel messo:
e siate ne le letta ben
forniti.
E
di decembre una città in piano:
sale terrene, grandissimi
fochi,
tappeti tesi, tavolier e giochi,
torticci accesi, star
co' dadi en mano,
e l'oste inebriato e catellano,
e porci
morti e finissimi cochi,
ghiotti morselli, ciascun béa e
mandochi:
le botte sian maggior che San Galgano.
E siate ben
vestiti e foderati
di guarnacche, tabarri e di mantegli
e di
cappucci fini e smesurati;
e beffe far de' tristi cattivegli,
de'
miseri dolenti sciagurati
avari: non vogliate usar con egli.
Sonetto
mio, a Niccolò di Nisi,
colui ch'è pien di tutta
gentilezza,
di' da mia parte con molt'allegrezza
che eo so
acconcio a tutti soi servisi;
e più m'è caro che non val
Parisi,
d'avere sua amistade e contezza:
se ello avesse
emperial ricchezza,
stare' lì me' che San Francesco en
Sisi.
Raccomendame e lui tutta fiata
ed a la so' compagna ed
Ancaiano,
ché senza lui non è lieta brigata.
Folgore vostro
da San Giminiano
vi manda, dice e fa questa ambasciata:
che
voi n'andaste con su' cor en mano.
Cenne da la Chitarra
Risposta per contrarî ai sonetti de’ mesi di Folgore da San Geminiano
Ala
brigata avara senza arnesi:
in tutte quelle parti dove
sono,
davanti a’ dadi e tavolier’ li pono
perché al sole
stien tutti distesi;
e in camicia stieno tutti i mesi
per
poter più leggèr’ ire al perdono;
entro la malta e ’l fango
gl’imprigiono,
e sien domati con diversi pesi.
E Paglierino
sia lor capitano;
e abbia parte di tutto lo scotto,
con Benci
e Lippo savio da Chianzano,
Senso da Panical ch’ha leggier
trotto.
Chi lo vedesse schermir giuso al piano,
ciascun
direbbe: «E’ pare un anitrotto».
Io
vi doto, del mese di gennaio,
corti con fumo al modo
montanese,
letta qual’ ha nel mare il genovese,
acqua e
vento che non cali maio,
povertà di fanciulle a colmo staio,
da
ber aceto forte galavrese
e stare come ribaldo in arnese,
con
panni rotti senza alcun denaio.
Ancor vi do così fatto
soggiorno:
con una vecchia nera, vizza e ranca,
catun gittando
de la neve a torno;
apresso voi seder in una banca,
e
resmirando quel so viso adorno;
così riposi la brigata manca.
Di
febbraio vi metto in valle ghiaccia
con orsi grandi vecchi
montanari,
e voi cacciando con rotti calzari;
la nieve metta
sempre e si disfaccia;
quel che piace a l’uno a l’altro
spiaccia:
con fanti ben ritrosi e bacalari;
tornando poi la
sera ad osti cari,
lor moglie tesser tele ed ordir accia.
E ’n
questo vo’ che siate senza manti,
con vin di pome, che stomaco
affina;
in tal’ alberghi gran sospiri e pianti,
tremuoti,
venti; e no sia con ruina,
ma sian sì forti, che ciascun si
smanti
da prima sera enfino la mattina.
Di
marzo vi riposo in tal manera:
in Puglia piana, tra molti
lagoni,
e ’n essi gran mignatte e ranaglioni;
poi da mangiar
abbiate sorbe e péra,
olio di noci vecchio, mane e sera,
per
far caldegli, arance e gran cidroni;
barchette assai con remi e
con timoni,
ma non possiate uscir de tal rivera;
Case de
paglia con diversi razzi;
da bere vin gergon, che sia ben
nero;
letta di schianze e di gionchi piumazzi.
Tra voi signore
sia un priete fero,
che da nessun peccato vi dislazzi;
per
ciascun loco v’abbia un munistero.
Di
aprile vi do vita senza lagna:
tafani a schiera con asini a
tresca,
ragghiando forte, perché non v’incresca,
quanti ne
sono in Perosa o Bevagna;
con birri romaneschi di Campagna
e
ciaschedun di pugna sì vi mesca:
e, quando questo a gioco non
rïesca,
restori i marri de’ pian de Romagna.
Per danzatori
vi do vegli armini,
una campana, la qual peggio sona,
stormento
sia a voi, e non refini.
E quel che ’n millantar sì largo
dona,
en ira vegna de li soi vicini,
perché di cotal gente sì
ragiona.
Il
maggio voglio che facciate en Cagli
con una gente di
lavoratori,
con muli e gran destrier’ zoppicatori:
per
pettorali forti reste d’agli.
Intorno questo sìanovi gran
bagli
di villan scapigliati e gridatori,
de’ qual’
resolvan sì fatti sudori,
8che turben l’aire sì che mai non
cagli;
altri villan poi facendovi mance
di cipolle porrate e
di marroni,
1usando in questo gran gavazze e ciance:
in giù
letame ed in alto forconi;
vecchie e massai baciarsi per le
guance;
di pecore e di porci si ragioni.
Di
giugno siate in tale campagnetta,
che ve sieno corbi ed
argironcelli;
le chiane intorno senza caravelli:
entro nel
mezzo v’abbia una isoletta,
de la qual esca sì forte
venetta,
che mille parte faccia e ramicelli
d’aqua di solfo,
e cotai gorgoncelli,
8sì ch’ella adacqui ben tal
contradetta.
Sorbi e pruni acerbi siano lìe,
nespole crude e
cornie savorose;
le rughe sian fangose e strette vie;
le genti
vi sian nere e gavinose,
e faccianvisi tante villanie,
che a
Dio ed al mondo sïano noiose.
Di
luglio vo’ che sia cotal brigata
en Arestano, con vin di
pantani,
con acque salse ed aceti soprani,
carne di porco
grasso apeverata;
e poi, diretro a questo, una insalata
di
salvi’ e ramerin, per star più sani,
carne de volpe guascotta
a due mani
e, a cui piacesse, drieto cavolata;
con panni
grossi lunghi d’eremita:
e sia sì forte e sì terribil
caldo
1com’ha il solleone a la finita;
ed un brutto converso
per castaldo,
avaro, che si apaghi di tal vita:
la moglie a
ciaschedun sia’n manovaldo.
D’agosto
vi reposo en aire bella,
en Sinegallia, che me par ben fina;
il
giorno sì vi do, per medicina,
che cavalcate trenta
migliatella,
e tutti en trottier’ magri senza sella,
sempre
lung’ a un’acqua de sentina;
da l’altra parte si faccia
tonnina,
8poi ritornando a poso di macella.
E, se ben cotal
poso non vi anasa,
mettovi en Chiusi la città sovrana,
1sì
stanchi tutti da non disfar l’asa;
la borsa di ciascuno stretta
e vana,
e stare come lupi a boc[c]a pasa,
tornando in Siena un
dïe la semana.
Di
settembre vi do gioielli alquanti:
àgor’ e fusa, cumino et
asolieri;
nottol’ e chieppe con nibbi lanieri;
archi da lana
bistorti e pesanti;
barbagianni, assïuoli allocchi tanti
quanti
ne son de qui a Monpeslieri;
guanti di lana, borsa da
braghieri,
stando così a vostre donne davanti.
E sempre
questo comparar e vendere
con tal mercadantìa il più usando;
e
di settembre tal diletto prendere;
e per Siena entro gir alto
gridando:
«Muoia chi cortesïa vuol defendere,
ch’i
Salimbeni antichi li diêr bando».
D’ottobre
vi conseglio senza fallo
che ne la Falterona dimorate,
e de le
frutta, che vi so’, mangiate
a riglie grand’, e non vi canti
gallo.
Chiare vi son l’acque come cristallo;
or bevete,
figliuoli, e restorate;
uccellar bono v’è a’ varchi, en
veritate,
ché farete nel collo nervo e callo,
in quell’aire,
ched è sottile e fina:
ben stanno en Pisa più chiari i
pisani,
e ’l genovese lungo la marina.
Prendere ’l mi’
consegl’ non siate vani:
arosto vi darò mésto con strina,
che
’l sentiranno i piedi con le mani.
Di
novembre vi metto in un gran stagno,
in qual parte più pò
fredda pianeta,
con quella povertà che non si acqueta
di
moneta acquistar, che fa gran danno.
Ogni buona vivanda vi sia in
banno;
per lume, facelline da verdeta;
castagne con mele aspre
di Faeta:
istando tutti ensieme en briga e lagno.
E fuoco non
vi sia, ma fango e gesso,
se no ’n alquanti luochi di
romiti
che sia di venti miglia lo più presso;
di vin e carne
del tutto sforniti:
schernendo voi qual è più laido
biesso,
veggendovi star tutti sì sguarniti.
Di
dicembre vi pongo in un pantano
con fango, ghiaccia ed ancor
panni pochi;
per vostro cibo fermo fave e mochi;
per oste
abbiate un troio maremmano;
un cuoco brutto, secco, tristo e
vano,
che vi dia colli guascotti e, que’, pochi:
e qual tra
voi ha lumi, dadi o rochi
tenuto sia come tra savi un vano.
Panni
rotti vi do e debrilati;
apresso questo, onn’omo en
capegli;
bottacci di vin montanar fallati.
E chi ve mira sì
se meravegli,
vedendovi sì brutti e rabuffati,
tornando in
Siena così bei fancegli.
PUBBLICATO DA VENTO LARGO A 19:05
ETICHETTE: POESIA
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