I DANNATI della TERRA, I DANNATI senza TERRA
I nuovi dannati della terra ci sono, i dannati del tempo a consegna, gli afro chini sui pomodori in Capitanata, gli operai delle siviere di Taranto, gli ultimi delle periferie metropolitane, i nativi custodi dell’Amazzonia. Non è la “moltitudine”, sono i subalterni.- fe.d.
L'introduzione di Leonardo Pegoraro al suo “I dannati senza terra - i genocidi dei popoli indigeni in Nord America e in Australasia”, con prefazione di Franco Cardini, Meltemi ed. 2019
“Raphael Lemkin, il coniatore della parola “genocidio”, è considerato a buon diritto il padre fondatore dei genocide studies: una nuova branca del sapere affermatasi soprattutto nei paesi anglofoni (in questo campo le scienze sociali registrano in Italia un sensibile ritardo) e sviluppatasi a cominciare dagli anni Settanta, sotto l’urto dei massacri in Biafra e in Pakistan orientale (l’odierno Bangladesh). A dare nuovo impulso alla ricerca sono intervenute, nei primi anni Novanta, le guerre in ex Jugoslavia e la catastrofe ruandese. I genocide studies vantano oggi decine e decine di studiosi appartenenti ad aree disciplinari fra loro diverse (giurisprudenza, sociologia, politologia, storia, filosofia, antropologia, psicologia); corsi universitari e programmi di ricerca ad hoc, tra cui il Genocide Studies Program presso la Yale University; associazioni internazionali quali l’International Association of Genocide Scholars; riviste specializzate come il “Journal of Genocide Research”, il “Genocide Studies and Prevention” e l’Holocaust and Genocide Studies; numerose monografie e studi collettanei tra i quali, per menzionarne soltanto uno, The Oxford Handbook of Genocide Studies. Cercando di misurarsi con questo filone di studi e adottando un approccio di carattere interdisciplinare, la prima parte del libro ha a oggetto l’analisi – a tratti filologica – degli scritti lemkiani, nonché del vasto dibattitto interpretativo sul significato da attribuire al lemma in questione. Attraverso un serrato confronto critico con le letture dominanti sviluppate su questo tema e la problematizzazione di alcuni luoghi comuni troppo sbrigativamente dati per assodati, si tenta di fornire una risposta a diverse domande come: il genocidio costituisce un fenomeno unicamente novecentesco? Tale categoria è stata coniata e va utilizzata solamente in relazione alla Shoah? Si può parlare di “genocidio di classe”? Quali differenze sussistono tra il concetto di pulizia etnica e quello di genocidio? Che rapporto c’è tra il genocidio e il colonialismo? In che senso Hitler e Mussolini hanno a modello gli Stati Uniti allorché si apprestano a colonizzare, rispettivamente, l’Europa orientale e l’Etiopia? In che modo la tradizione di pensiero liberale rimuove il “male” da essa provocato? Che cos’è una “democrazia genocidaria” e perché l’avvento dell’ideologia e della pratica liberaldemocratiche ha comportato i genocidi più efferati contro i popoli indigeni? Al di fuori di un’ottica eurocentrica e in alternativa alla teoria del totalitarismo – ideologicamente impegnata, per un verso, ad accusare di genocidio il comunismo e il nazismo e, per l’altro, a tutelare la presunta immacolatezza dell’Occidente liberale – la seconda parte del libro consiste, senza alcuna presunzione di completezza, in uno sforzo volto a indagare una storia plurisecolare spesso negata, minimizzata o del tutto ignorata. È la storia del multiverso di genocidi indigeni perpetrati dagli Stati Uniti (probabilmente lo Stato “mega-genocidario” per eccellenza), dal Canada, dall’Australia e dalla Nuova Zelanda, ovvero da paesi riconosciuti dal credo liberale come suoi figli legittimi e da esso reputati liberi e democratici. La tragedia inflitta ai popoli indigeni dal colonialismo anglosassone – una tragedia i cui effetti distruttivi sulle vittime perdurano ancora oggi – rappresenta una delle pagine più buie della storia dell’umanità e con la quale, forse proprio per questa ragione, il mondo liberale non sembra intenzionato a fare pienamente i conti.”,
Leonardo Pegoraro
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