La MEDEA di Pier Paolo PASOLINI
La luce - è vero - è quella dei sogni: l’ultima luce del sole a filo dell’orizzonte. Fra due o tre minuti il sole sarà scomparso, e sarà il grigio, la divina tetraggine soffusa di rosa. Ma ora il biondo della luce passa sull’erba, sul greto, sul grano e si specchia, accecante, contro il fondale della tebaide…
Quaggiù sul greto, a incidersi nella mia retina… ci sono degli operai turchi, che spingono un carro a forma di «V», nero e grigio… Dietro, ecco un gruppo sparso e composto in un disordine corrusco ma nitido da pittore fiammingo. Al centro c’è una figura femminile. Essa è coperta fino all’altezza del seno da un velo bianco, dietro a cui si intravvede appena il viso e la lunga capigliatura. Da sotto questo velo bianco, pende un mazzo di collane dorate, grossissime, che mandano un suono opaco, come i campanacci delle mandrie: penzolano, queste collane, su una «pazienza» azzurra listata d’argento - sembra vecchissima, di quelle conservate nelle teche dei musei, che a toccarle, si direbbe che debbano andare in polvere… Essa procede così come una regina non vista. Dietro a lei, un altro gruppetto: e tra questo la fedele cameriera, vestita di rosso e di verde, che tiene per il guinzaglio i due magici cagnolini, innocenti come due insetti, due farfalline al loro primo svolazzare qua e là, e insieme decrepiti, di una saggezza di re contadini. E dietro ancora… tutti gli altri, che non sanno quanto quella morente luce del sole…
(dalla sceneggiatura della sua Medea scritta da P.P. Pasolini)
“A volte scrivo la sceneggiatura senza sapere chi sarà l’attore. In questo caso sapevo che sarebbe stata la Callas, quindi ho sempre calibrato la mia sceneggiatura in funzione di lei”.
[ P. P. PASOLINI da: “Il caos” sul «Tempo» 1969 - Le regole di un’illusione Medea ]
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