Nell’ambito della rassegna “La punta della lingua” (17° edizione) il 24 giugno, ad Ancona, Massimo Raffaeli dialogherà con Linnio Accorroni, autore de Il libro o la vita (manuale di disintossicazione), con una nota introduttiva di Gilberto Severini (Pequod, 2022). Riproduciamo alcune pagine del libro, una sorta di “operetta” (poco) morale per chi ha contratto il morbo della lettura in cui dialogano due personaggi: un lettore incantato e innamorato della lettura e il suo doppio opposto, cinico e disincantato
IL LIBRO O LA VITA.
Manuale di disintossicazione
di Linnio Accorroni
— […] Le vite degli altri, lette, anzi divorate, a pezzi e bocconi, sulle pagine dei libri. Speravo che esse, per cannibalesca assimilazione, finissero per abbellire e rendere magari più interessante la mia. Pezzi di esistenza altrui, residui biografici, frammenti di Vite che non sono la mia, come nel titolo del più bel libro di Emanuel Carrère. Vite false, cartacee e libresche che dovevano surrogare la non esistenza della mia, così mediocremente e desolatamente vera. Era l’inizio di una malattia endemica con la quale avrei dovuto fare i conti per tutto il corso della mia esistenza. Una malattia che traeva nuovo vigore e linfa dai libri che amici, parenti o conoscenti, mi regalavano o da quelli che prendevo in prestito dalla biblioteca. Vedi che, dopo averci girato un po’ attorno, torniamo sempre al punto di partenza. Libri. Solo libri. Sempre libri. Era come procurare la droga ad un drogato.
— Similitudine bizzarra la tua, ma allineata a tutto quel ciarpame, saturo di maledettismo prêt-à-porter, nel quale ti rinvolti, giustappunto come un maiale nel brago. Basta ricordare i tuoi famosi punti cardinali: Nichilismo, Cinismo, Sarcasmo e Orgasmo. Copiati pari pari da un personaggio di Deconstructing Harry di Woody Allen, va detto. Ma, al di là di questi tuoi balzani imperativi categorici, come puoi negare che leggere sia fra le attività più nobili ed elevate a cui possa dedicarsi un essere umano? La lettura non solo ci dà la straordinaria opportunità di sapere meglio chi siamo, ma anche quella di scoprire luoghi, persone, eventi, che ci sarebbero fatalmente ignoti, se rimanessimo ancorati alla necessariamente limitata esperienza della nostra vita. Non ti ricordi di quando Umberto Eco sosteneva – e nessuno, dotato di un briciolo di ragione, può affermare il contrario -, che i libri ci assicurano la possibilità, un tempo solo privilegio degli Dèi, di vivere più vite contemporaneamente e di poter aspirare, quindi, in un certo senso, anche all’immortalità? C’è quella sua famosa dichiarazione che viene ripresa tutte le volte che qualcuno si azzarda a mettere in discussione l’importanza della lettura: «Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria! Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito […] perché la lettura è una immortalità all’indietro». Sei talmente presuntuoso da mettere in dubbio le affermazioni di questo grande intellettuale che tutto il mondo ci ha invidiato?
— Per carità. Di Eco certo non si può né pensare, né, tantomeno, dir male. Dio, Eco, Patria e Famiglia. Tantomeno potrei farlo io. Io ipocrita Lettore, grumo compatto di rimorsi, frustrazioni ed angosce, divorato da quella nietzscheana «passione atroce» che è il risentimento. Umberto Eco, invece. Tutt’altra musica, rispetto alla mia. Lui pipa, barba e Dams, lui Aristotele e Joyce, lui e l’odore del Nobel, lui il Vattimo e la Enza Sampò, lui e l’erre moscia, lui e le sue settimanali Bustine di Minerva sull’ Espresso, lui che stasera è a cena con Borges e domani con Calvino, lui che prende un gin-tonic con Susan Sontag, un Negroni con Noam Chomski ed uno spritz con Hans Magnus Enzensber- ger, lui e la sua casa-biblioteca che, per attraversarla tutta, devi fare una mini-maratona (c’è un video che immortala l’Eco podista, nonché bibliofilo, su YouTu- be), lui ed Il nome della rosa ed i fantastiliardi in diritti d’autore, lui suonatore di flauto dolce, in sovrappiù. Grande, immensa, infinita invidia e riconoscenza per l’Umbertone nazionale. Eppure, se posso, c’è qualcosa che non mi convince nel suo ragionamento. Se ci pensi bene, quella frase che hai così pignolescamente riportato prima, ma anche altre sue dichiarazioni similari, ci consegnano un’immagine consolatoria, benevola, quasi agiografica della figura del Lettore. Per Eco, chi legge è una persona fortunata, una specie di Beniamino degli Dèi. Per me, invece, il Lettore è un paria, un maledetto, un appestato. Quelle pontificali, ottimistiche affermazioni di Sant’Eco, Protettore dei Libri, dei Lettori, delle Biblioteche e dei Scaffali e dei Flauti Dolci, mi ricordano le statuette che, a Natale, si mettono nel presepio. Spostale come e quando vuoi. La scena complessiva non cambia. Quelle sue riflessioni, così olimpiche, così sagge, non sfiorano il senso tragico che, per me, è immanente ad ogni pratica di lettura. Pensa a quella sua frase celeberrima: «Leggere significa vivere tante vite». Gronda di un falso disgustoso ottimismo. Pare coniata apposta per apparire in quelle insulse, deleterie Pubblicità Progresso, promosse periodicamente dal Ministero della Cultura, atte ad incentivare, con scarsissimi risultati, la diffusione della lettura. Starebbe bene, per il suo languido ottimismo, nei cartigli dei Baci Perugina. Ecco qua: mangia il Bacio e leggi l’Eco (ma anche viceversa).
Pezzo ripreso da https://www.leparoleelecose.it/?p=44488
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