UN FILM DA VEDERE!
Ennio (Elio Germano): "Questo processo è davvero lo specchio del nostro Paese nell'aspetto più retrivo, più meschino, più criminale. È per quello che devi combattere."
Ettore (Leonardo Maltese): "Il processo è assurdo, perché non c'è nessun colpevole, perché non c'è nessuna colpa."
Aldo (Luigi Lo Cascio): "Non voglio essere un martire, né mostro né martire."
Sono queste tre citazioni chiave tratte dai dialoghi del nuovo, bello e commovente film di Gianni Amelio, "Il signore delle formiche".
Sia chiaro, commovente non nel senso della resa cinematografica, quello magari anche, ma soprattutto in quanto storia vera (e lo è), purtroppo attuale nei contenuti sostanziali e nella umanissima sofferenza narrata, descritta, pennellata.
Un cuore davvero umano, un animo gentile, un appartenente sincero e onesto al consorzio sociale (da "socius", alleato) e naturale non può non emozionarsi, commuoversi, non può non sentire empatia e solidarietà per la sofferenza e l'ingiustizia sofferta da Ettore e Aldo.
Partirei dalla prima citazione: "Questo processo è davvero lo specchio del nostro Paese nell'aspetto più retrivo, più meschino, più criminale. È per quello che devi combattere."
Nell'Italietta bigotta degli anni Sessanta (che poi è la stessa Italietta bigotta di oggi che si prepara al voto) il processo contro "plagio", perché per la cultura macista e post(?) fascista non poteva darsi un maschio italiano omosessuale, per cui la stessa parola per descrivere la questione non era presente nel lessico, un po' come la mafia che allora appunto non esisteva, si diceva, in quell'Italietta lì, questo processo istruito con delirante impianto accusatorio (occorre precisare però che a quel tempo l'Italia era in buona compagnia, si pensi a quanto accaduto al povero professor Alan Turing in Gran Bretagna) era già addivenuto ad una sentenza, ancor prima della conclusione dell'iter processuale.
Sin dall'inizio la morbosa e ipocrita certezza della "dittatura dell'opinione pubblica diffusa" aveva già condannato il "mostro", divenuto "martire", in quanto testimone egli stesso del suo abominio, da deridere e "appendere alla forca" del pubblico ludibrio. Il processo stesso fu una farsa e qui il film ricorda il processo farsa del film "Sacco e Vanzetti". La condanna era già stata emessa e scritta, senza alcuna possibilità di redenzione o meglio di assoluzione.
Ed ecco la seconda citazione:
"Il processo è assurdo, perché non c'è nessun colpevole, perché non c'è nessuna colpa."
In effetti è improprio parlare di assoluzione, perché lì dove non c'è colpa, non può esserci assoluzione. Durante il processo si tenta in tutti modi di presentare l'imputato, il prof. Braibanti, come luminare "deviato" (aggettivo proprio di recente usato da una certa parte politica), dedito alla corruzione, mediante anche i libri e la cultura (già, quei libri che, sempre per la stessa parte politica, sarebbe meglio bruciare come in passato), delle giovani e fragili menti dei ragazzi da lui avvicinati. È incredibile notare come, chi in questo processo punta il dito contro la "colpevolezza del demonio seduttore" sia in realtà esso stesso mistificatore diabolico della verità secondo i dettami del senso (e del dogma) comune. Il Male abbigliato di luce benevola è invece esso stesso vero fautore del maligno, a tutto detrimento del Bene naturale, dell'Amore spontaneo, accusato di essere impuro e contro natura. Da ciò la scelta iniziale dell'imputato di non difendersi, poiché è già tutto scritto, dato, stabilito.
Giungiamo così alla terza citazione: "Non voglio essere un martire, né mostro né martire."
L'imputato, ormai totalmente disincantato e consapevole del Male diffuso del mondo, a tal punto che, neanche coloro che lo dovrebbero difendere, lo difendono (il partito, il giornale, la delegazione sovietica), con un moto di onesta e tragica dignità vuole mantenere equidistanza dai due poli, quello dei carnefici e quello dei sostenitori, che lo attanagliano e vorrebbero strumentalizzarlo.
La vicenda umana così tragica di questo professore, dal carattere difficile, arrogante, eppure uomo libero da qualunque appartenenza di fazione (anche rispetto ai suoi "simili"), fustigatore di convenzioni e cliché, ricorda quella tanto simile, seppur ancora più tragica, nei contenuti e nei tempi, di Pier Paolo Pasolini. Anche il suo rapporto con una madre, amorevole, libera ella stessa e per questo sola nella sua comunità ("Non ti ho messo al mondo per restare qui"), carica di dignità e rettitudine morale, presenta ampie similitudini con il rapporto che Pasolini aveva con la sua mamma.
A questa figura materna fa da contrappunto la figura terribile della madre di Ettore (lasciato solo perché indegno del "clan", unica anima liberata da sé di quel clan). È lei la vera carnefice di tutta la vicenda.
Un'ultima considerazione sull'oggetto di studio del professor Braibanti: le formiche.
Le formiche hanno quel senso di appartenenza alla propria comunità, dove tutte si danno reciproco sostegno e nessuna viene lasciata da sola, che è paradigmatico di ciò che dovrebbe essere la società umana. Che dovrebbe, ma che invece di fatto, sin dalla notte dei tempi, non è.
Un film, questo di Gianni Amelio, "Il signore delle formiche", che propone una pagina vera e triste, di fatti realmente accaduti in un recente passato, che stenta a passare, che va visto e va fatto vedere nelle scuole, perché "è per questo che si deve combattere", sempre, anche nei tempi più bui: per non cedere all'oscurantismo, che non dorme mai, per non cedere alla "banalità del male".
ROBERTO CRINO'
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