«TRA NOI E LE COSE SI FRAPPONE LA LUCE»: “FINESTRA SUL NULLA” DI EMIL CIORAN
Nel 1970, intervistato da François Bondy, Emil Cioran racconta di vivere in un bell’appartamento a Parigi, con splendida vista sui tetti del Quartiere Latino, grazie, per certi versi, alla sua opera o, come dice lui, allo «snobismo letterario». Arrivato a Parigi dalla Romania per scrivere una tesi di dottorato alla Sorbonne a cui non lavorerà mai (su «qualcosa» che riguardava l’etica di Nietzsche, ricorda) preferendo girare la Francia in bicicletta, giunto a quarant’anni gli viene impedito di continuare a mangiare per pochi franchi alla mensa universitaria e così Cioran si stanca anche di vivere in brutte camere d’albergo. Chiede allora a un’agente immobiliare di trovargli un appartamento, ma non riceve nessuna proposta fino a che non arriva la svolta: «Allora – racconta nell’intervista raccolta in Un apolide metafisico – le ho mandato un mio libro appena pubblicato, con dedica. Due giorni dopo mi ha portato qui, dove l’affitto è sui cento franchi, cifra adeguata ai miei mezzi di sussistenza. Cose che capitano con le dediche d’autore». Sembra paradossale che uno scrittore come Cioran, restio a scrivere («È una cosa che detesto, e infatti ho scritto pochissimo. La maggior parte del tempo non faccio niente») e ancor di più a fare della scrittura una professione, affidi proprio allo «snobismo letterario» la possibilità di avere un buon rifugio da cui riflettere sulle proprie sofferenze e costruire un esteso e multiforme sistema di pensiero che pian piano prende la forma di un’indagine metafisica, e impietosa, sull’uomo.
Adelphi pubblica adesso Finestra sul nulla (con la traduzione di Cristina Fantechi e la cura di Nicolas Cavaillès) che per formato e natura dei testi assume la forma di un piccolo breviario da consultare all’occorrenza, quando si è in cerca di una parola che non rincuori meccanicamente, ma metta piuttosto in moto onestamente il pensiero («Il mio intento, quando scrivo un libro, è di svegliare qualcuno, di fustigarlo. Poiché i libri che ho scritto sono nati dai miei malesseri, per non dire dalle mie sofferenze, è proprio questo che devono trasmettere in qualche maniera al lettore»). Si tratta di una serie di aforismi inediti, conservati presso la Bibliothèque Littéraire Jacques Doucet di Parigi, scritti in romeno probabilmente tra il 1943 e il 1945, certamente precedenti al Sommario di decomposizione (1949), la sua prima opera scritta direttamente in francese, lingua di cui Cioran diventerà maestro. Nel raccontare della sua casa affacciata sui tetti del Quartiere Latino è facile cogliere l’ironia di Cioran nel descrivere la propria situazione e anche in questo breve frammento si ricrea quello strano incantesimo che caratterizza tutta l’opera di Cioran: un afflato profondamente pessimista (seppure Cioran dicesse di non essere pessimista ma «violento») che si lega a uno stile vivace, umoristico e caustico nello stesso tempo, come se non esistesse nessun altro modo per esorcizzare i vizi e i dolori dell’uomo se non mettendoli in vetrina (e da questo punto di vista anche le interviste si trasformano in formidabile strumento letterario).
Così si può comprendere veramente la portata dell’opera di Cioran ed entrare nel vivo della sua scrittura, così come è più immediato anche valutare l’assenza totale di qualsiasi riferimento in queste pagine alla violenza della Seconda Guerra Mondiale che stava infuriando intorno a lui e che aveva in Parigi uno dei suoi luoghi nevralgici. Per Cioran infatti, come emerge limpidamente dall’oscurità delle sue pagine, il fatto particolare non esiste, la contingenza non genera interesse, perché esiste solo ciò su cui si posa il suo pensiero e vive il suo corpo, cioè la vita umana e il suo destino. Così in questo libro troviamo Cioran riflettere su temi a lui molto cari, come la morte («Ho preso sul serio la morte. L’ho preceduta» o «È al fatto di rimandare la morte in quanto problema che l’uomo deve la sua salvezza quotidiana, il proprio dolce sopore davanti all’ineluttabile»), il pianto («Gli occhi sanno piangere prima di vedere. La vita inizia con questo paradosso. Quando tuttavia incominciano a vedere, avrebbero un tale bisogno di lacrime che piangere diviene loro impossibile. E il paradosso cresce» o «Se avessi potuto piangere sulla mia esistenza, già da un pezzo sarei diventato un filosofo razionalista. Ma le lacrime senza esercizio si frappongono tra me e qualsiasi omaggio alla mente») o l’amicizia («Di tutte le codardie che rendono possibili i rapporti tra gli esseri umani, la più delicata resta comunque l’amicizia. La sincerità totale è compatibile solo con il monastero o l’assassinio»).
Tra questi aforismi, che anticipano, escluso il primo libro del 1933 Al culmine della disperazione («Al culmine della disperazione contiene già tutto quello che verrà dopo. E’ il più filosofico dei miei libri»), i testi più importanti di Cioran come Storia e utopia, Sommario di decomposizione o L’inconveniente di essere nati, si ritrovano quindi tutti i temi più cari allo scrittore rumeno: c’è spazio infatti per una riflessione nostalgica e sofferente sull’infanzia («Quando, cullato dall’amore, riscopri l’innocenza dell’infanzia e le attrattive dell’avvenire, non lontano il Diavolo sorride. Lui lo sa che finirai comunque nelle sue braccia, le braccia del risveglio e dell’insonnia»), per Cioran luogo mitico fino ai dieci anni quando lasciò il piccolo villaggio di Rapinali per andare alla scuola media di Sibiu («Per me, da bambino, quel paese montano aveva un enorme vantaggio: dopo la colazione potevo sparire fino a mezzogiorno, poi tornavo a casa, e un’ora dopo sparivo di nuovo in giro per i monti»), ma anche molto spazio per il tema, centrale per la sua vita, dell’insonnia, sofferenza che con il suo rovesciamento dei classici ritmi giornalieri genera in Cioran una visione eccezionale sull’esistenza umana invitandolo a comprendere cosa significhi essere estromessi dai vivi («La morte è il prolungamento – senza coscienza – di un’implacabile insonnia…, una veglia eterna al di fuori dello spirito» o «La natura ci ha donato il sonno, incoscienza reversibile, per guarirci dal male che lo stato di veglia infligge alla materia. Quelli che hanno perduto il sonno sono esclusi dai benefici di questo recupero quotidiano, e trascinano con loro, nelle loro notti e nei loro giorni, la loro sete di riposo, incapaci di ritrovare un controllo dietro palpebre sempre socchiuse»).
Finestra sul nulla, ultimo libro scritto da Cioran in lingua rumena prima del passaggio definitivo al francese, segna quindi un momento fondamentale nell’opera dello scrittore che, non a caso, includerà anche alcuni di questi frammenti e i temi che lo interessano in alcune delle opere successive: anche l’esperienza biografica, gli anni ormai trascorsi a Parigi senza indirizzo, l’anonimato in cui si è rinchiuso, l’addio definitivo alla Romania e la ricerca di un modo per sopravvivere, portano Cioran a pensare in modo diverso alla strutturazione dei contenuti nella sua opera, a rendere evidente alla sua mente come questa vita separata non possa trovare altra costruzione letteraria se non quella del frammento, specchio fedele del palpitare della sofferenza e del disincanto a cui niente, già a questo punto, può porre rimedio («La voluttà ci rivela i limiti della carne, l’amore quelli dell’anima.»).
Durante un’intervista Cioran, parlando della sua opera, ha confessato: «Il mio pensiero non si presenta come un processo ma come un risultato, come un residuo. È quanto resta dopo la fermentazione, le scorie, la feccia». In questa breve definizione sembra essere racchiuso uno dei luoghi più profondi dell’opera di Cioran, l’impossibile unità del pensiero e la ricerca, attraverso la scrittura aforistica, di enucleare la natura più radicale e sotterranea dell’Assoluto. Ecco perché Finestra sul nulla, per la sua natura e per i suoi temi, rappresenta certamente un ottimo viatico all’opera del grande scrittore, ma anche un fondamentale incubatore delle riflessioni che costelleranno i suoi libri successivi.
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