“Tuttolibri” della “Stampa” e l’ultima intervista a PPP
25 AGOSTO 2016
Pezzo ripreso da http://www.centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it/category/attivit
“Tuttolibri”,
lo storico supplemento culturale del quotidiano “La Stampa”, oggi
diretto da Bruno Bentavoli, ha compiuto 40 anni nel novembre
2015. Nato da un’idea dell’allora direttore del giornale,
Arrigo Levi, vide la luce infatti il 1° novembre 1975
come settimanale autonomo del sabato, che fu affidato
agli inizi a un terzetto di giovani firme del giornalismo italiano:
Vittorio Messori, Mario Varca e Alberto Sinigaglia.
Ed è
quest’ultimo, con l’occasione dell’anniversario, a
rievocare le origini e la storia di questo glorioso periodico,
che aiuta tuttora lettori e librai a orientarsi nel vasto mondo di
carta della scrittura, letteraria e saggistica. Lo fa con un articolo
uscito il 21 agosto 2016, in cui è immancabile il richiamo a
Pasolini, dato che, proprio sul numero 2 di “Tuttolibri”
dell’8 novembre 1975, uscì l’a sua ultima, inquietante
intervista,realizzata il pomeriggio del 1° novembre da Furio
Colombo.
Il quale riflette su quella conversazione in un ricordo
che, apparso di recente sempre su “La Stampa” (31 ottobre
2015), riproduciamo di seguito.
Nasce
“Tuttolibri”, una bussola per lettori, scrittori e librai
di
Alberto Sinigaglia
www.lastampa.it – 21 agosto 2016
La
mattina di sabato 1° novembre 1975, giorno in cui nacque
“Tuttolibri”, Pier Paolo Pasolini telefonò alla redazione. Gli
era piaciuta la formula del primo settimanale italiano interamente
dedicato a narratori, poeti, saggisti, editori. E confermava che quel
pomeriggio avrebbe incontrato Furio Colombo per l’intervista in
programma sul terzo numero [poi l’intervista uscì sul numero
2, ndr.].
Sarebbe stata la sua ultima intervista, forse la più bella, certo la
più famosa, perché quella notte Pasolini fu assassinato. Il dialogo
uscì il sabato successivo con la foto dello scrittore e regista in
copertina e con il titolo profetico suggerito da lui: Siamo
tutti in pericolo.
In poche ore di
“Tuttolibri” n. 2 furono vendute 177 mila
copie. Del primo numero si erano superate le 130 mila.
“Tuttolibri”
era stato subito apprezzato dai quindicimila librai e cartolibrai
italiani, per i quali era diventato uno strumento
indispensabile. Forniva infatti l’elenco di ogni libro uscito la
settimana precedente, con qualche riga di descrizione. Ad attirare
autori e lettori erano invece le recensioni, più numerose di quelle
fornite dalle pagine dei libri de “La Stampa” o del “Corriere
della Sera” o di “Paese Sera”, allora molto curate, o del
“Giornale nuovo”» di Montanelli, nato l’anno prima (“la
Repubblica” sarebbe arrivata nel 1976). E pagine di “schede”
tre volte più lunghe delle recensioni-bonsai sopravvissute negli
attuali periodici.
Arrigo Levi con i giornalisti e i tipografi del n. 1 di “Tuttolibri-La Stampa” (novembre 1975)
L’idea
di un settimanale non genericamente culturale, ma specificamente
libraio, venne al direttore de “La Stampa” Arrigo Levi,
fortemente sostenuta da Giovanni Giovannini, inviato e vicedirettore
del quotidiano, posto da Gianni Agnelli al vertice dell’Editrice.
Figlio del grande giornale, avallato dalla sua autorevolezza, ma
autonomo in edicola, “Tuttolibri”, oltre a essere specchio
completo e limpido del mercato editoriale italiano, molto bene
informato sulle novità di quello straniero, dava voce agli autori,
ai redattori editoriali, agli agenti letterari e ai traduttori, fino
a quel momento trascurati.
A realizzare il progetto, avviato da
Mario Bonini, colto regista delle “Enciclopedie” Garzanti,
riuscirono tre giovani giornalisti: Vittorio Messori, che di lì a
poco avrebbe conosciuto fama internazionale con Ipotesi
su Gesù,
Mario Varca, che sarebbe stato a lungo capo della redazione esteri de
“La Stampa”, ed io, cui toccò di impugnare il timone per una
precedente esperienza editoriale. Il successo consentì di arruolare
il critico teatrale Osvaldo Guerrieri. A infondere saggezza ai
quattro moschettieri c’era Carlo Casalegno, il vicedirettore
politico e culturale de “La Stampa”. Furio Colombo, inviato a New
York, era il loro radar internazionale. Il poeta Giovanni Raboni
guidava la schiera dei critici.
Primo Levi, Massimo Mila e
tanti altri grandi collaboratori de “La Stampa” passavano per
suggerire un’idea, un consiglio, una proposta. Il più assiduo e
fecondo era Giovanni Arpino, che era un inviato della redazione
sportiva. Venivano in visita Giulio Einaudi, Valentino Bompiani e
Giorgio Fattori, capo del gruppo Fabbri-Bompiani-Sonzogno-Etas Libri,
scortato da Oreste del Buono. Fattori sarebbe succeduto a Levi quale
direttore de “La Stampa” e avrebbe trasformato “Tuttolibri”
in supplemento del quotidiano, il padre dei supplementi culturali
oggi più in voga. Del Buono, sarebbe di lì a poco diventato una
delle nostre firme più popolari.
La pagina di “Tuttolibri” dell’8 novembre 1975
“Quell’intervista
con Pasolini era gravida di morte”
di Furio Colombo
www.lastampa.it – 31 ottobre 2015
Non
ero mai stato a casa di Pasolini, all’Eur. Ma lui era stato a casa
nostra (Alice, Daria molto piccola e io ) molte volte, una casa di
affitto sulle dune di Sabaudia, da cui si vedeva «la casa di
Moravia» (come dicevamo tutti del quadrato di cemento, tre camere e
cucina ) che era da poco la nuova casa di Dacia e Alberto, dopo che
avevano lasciato (loro e anche noi) la casa di Fregene. Se non
avevano voglia di cucinare, tutti e tre venivano da noi. E poteva
accadere che arrivassero Enzo Siciliano, che era già lo “storico”
di Pasolini, e Flaminia, colta e attivissima. Ma a volte non c’era
nessuno, nella casa cubo, e Pier Paolo veniva da solo.
Due
argomenti, mentre si cucinava nella stessa stanza: letteratura
(ricordo un suo discorso affettuoso e limpido su un libro di Ottiero
Ottieri, non noto, ma importante scrittore e comune amico ) e vita
italiana. Era già iniziata la grande discesa, a cui si arriverà
passando dalla sua morte. Ma non era una conversazione di lamenti e
sospiri. Eravamo nella storia, punto e basta. Chi ha detto che la
storia debba essere divertente o «andare nella direzione
giusta»?
Quello di Pasolini era un discorrere di fatti,
intuizioni, un allargare all’improvviso lo spazio su cose non
ancora viste o capite dagli altri, ma ovvie, secondo lui. E mai
raccontate come una scoperta, solo constatazioni. Ah, e c’era un
terzo argomento, l’America, ma entrava negli altri due, la
letteratura o la vita italiana che cambia. Gli interessava il parere
di Alice, fresca di università americane ricche di
docenti-scrittori, e coinvolta nei diritti civili e nella pace in
Vietnam. Il discorrere di Pasolini con le donne (le donne che gli
interessavano ) era forse il solo veramente alla pari, in quegli
anni. Del resto avevo conosciuto Pasolini, ritornando da un mio primo
periodo in America, quando Silvana Ottieri (grande intellettuale
rimasta deliberatamente in ombra accanto al marito), leggendo una mia
recensione, aveva esclamato: «Ma come, non conosci
Pasolini?».
Pasolini è entrato nella mia vita già nelle
dimensioni che, insieme a tanti nel mondo, gli conosco e gli
riconosco adesso. Sapevo prima, e sapevo durante gli anni della
nostra amicizia, la traccia profonda del suo lavoro, scrivere,
filmare, parlare. S’intende che la scorta di Moravia e di Dacia
Maraini, in questo percorso, ha contato moltissimo. Ma quando Arrigo
Levi, direttore di questo giornale (del quale sono stato parte per
vent’anni), mi ha chiesto di iniziare il nuovo “Tuttolibri” con
una intervista a Pasolini (un’idea di Alberto Sinigaglia), mi è
sembrato un compito facile e naturale. Il testo dimostra di no. Siamo
stati ore insieme, con lunghe pause e una asciutta severità da parte
sua, che sembrava isolarlo, come se fossimo parte di una sequenza
pubblica, e qualcuno filmasse. Tutto girava intorno alla frase: «Noi
non sappiamo chi, in questo momento, sta pensando di ucciderci». E
la lunga conversazione, che non era con me ma con tanti che lo
tenevano d’occhio, con intensa ammirazione o con odio, è rimasta
aperta.
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